Alcune riflessioni dal Convegno di Hohenheim sul diritto degli stranieri
Il Convegno di Hohenheim sul diritto degli stranieri, organizzato dall’Accademia Cattolica della diocesi di Rottenburg-Stoccarda dal 25 al 27 gennaio, ha trattato quest’anno il tema “Libertà”, mettendolo in relazione con il fenomeno migratori. Il gesto di partire, di mettersi in movimento verso il nuovo tocca nel suo nocciolo profondo la questione della libertà. Hanna Arendt, filosofa tedesca di origini ebraiche, scriveva nel 1960: “Tra tutte le libertà specifiche che ci vengono in mente… la libertà di movimento non è solo storicamente la più antica, ma anche la più elementare; il poter partire verso dove si vuole andare è il gesto primordiale dell’essere liberi, mentre, invece, la limitazione della libertà di movimento è stata da sempre la premessa della schiavitù”. In effetti, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite proclama: “Ogni persona ha diritto di abbandonare qualsiasi paese, compreso il proprio, e di rientrare nel proprio paese” (art. 13). È la libertà di emigrare, diritto umano riconosciuto a livello internazionale. Ma, come ha sottolineato il Prof. Eberhard Eichenhofer a Hohenheim, ad esso non corrisponde il diritto di immigrare in un altro paese: la sovranità di ogni stato nazionale, infatti, si esprime, secondo il diritto internazionale, nel controllo del proprio territorio e di chi vi si stabilisce. Tuttavia, se non vi è libertà di immigrare, la libertà di emigrare non può concretamente attuarsi.
Pertanto, la libera circolazione dei cittadini europei sul territorio dell’Unione Europea non è solo una questione burocratica o economica, ma una grande conquista di civiltà. Attraverso di essa si è riusciti a rendere concreta la libertà di emigrare con l’effettiva possibilità di stabilirsi, di vivere e di lavorare senza grosse restrizioni in qualsiasi paese membro. Nell’UE le migrazioni dei cittadini europei sono organizzate come un diritto. Ciò non avviene, invece, a livello mondiale, se non in alcuni casi: il ricongiungimento famigliare e il diritto d’asilo per coloro a cui viene riconosciuto lo status di rifugiati, perché perseguitati nei loro paesi di origine. Nell’ambito delle migrazioni per lavoro, invece, prevale il punto di vista degli interessi dello stato sovrano.
Controllo delle frontiere e diritti umani. Ma la tensione tra “libertà di emigrare” e “diritto dello stato di controllare i propri confini” si rende drammaticamente evidente alle frontiere esterne dell’Unione Europea. Le tragedie nel Mediterraneo o al confine tra Turchia e Grecia, i respingimenti verso le coste del Nord Africa, la presenza di centri di detenzione per migranti in paesi esterni all’UE, ma finanziati da fondi europei, ripropongono la questione del rispetto dei diritti umani. Secondo la riflessione del Prof. Eichenhofer, dal fatto che l’emigrazione sia riconosciuta come un diritto umano deriva che nel contrasto all'immigrazione clandestina gli stati debbano usare moderazione. Dal punto di vista dell’ingresso in uno stato, infatti, i cosiddetti migranti irregolari compiono un atto non autorizzato dalle leggi, ma dal punto di vista dell’emigrazione dal loro paese stanno esercitando un loro diritto fondamentale. Quando ciò avviene per motivi gravi, dovrebbe prevalere il principio della solidarietà. La libertà di emigrare rimanda, inoltre, alla libertà di non dover emigrare dal proprio paese e, quindi, alla responsabilità della comunità internazionale di combattere le cause degli esodi forzati, come la povertà e le persecuzioni.
Il beato G.B. Scalabrini scriveva già nel 1887: “L’emigrazione nella quasi totalità dei casi non è un piacere, ma una necessità ineluttabile… impedendola si viola una sacro diritto umano, abbandonandola a sé la si rende inefficace”. Come emerso anche dal dibattito a Hohenheim, è compito della politica trovare un accordo tra il diritto umano di emigrare e la concreta possibilità di stabilirsi in un nuovo paese con tutte le conseguenze sociali, economiche e culturali che questo comporta. Le migrazioni dovrebbero essere gestite attivamente tenendo conto del bene dei migranti, dei paesi di partenza e di destinazione. Siamo ancora molto lontani da questo obbiettivo, ma l’ottica che vede nella libertà di movimento qualcosa che appartiene alla natura e alla dignità dell’uomo può aiutare a mantenere un orizzonte più ampio rispetto all'interesse economico. Se un mondo senza frontiere non è al momento realizzabile, un mondo pieno di muri, controlli e fili spinati non è, d'altra parte, vivibile per l’uomo.
Il Convegno di Hohenheim sul diritto degli stranieri, organizzato dall’Accademia Cattolica della diocesi di Rottenburg-Stoccarda dal 25 al 27 gennaio, ha trattato quest’anno il tema “Libertà”, mettendolo in relazione con il fenomeno migratori. Il gesto di partire, di mettersi in movimento verso il nuovo tocca nel suo nocciolo profondo la questione della libertà. Hanna Arendt, filosofa tedesca di origini ebraiche, scriveva nel 1960: “Tra tutte le libertà specifiche che ci vengono in mente… la libertà di movimento non è solo storicamente la più antica, ma anche la più elementare; il poter partire verso dove si vuole andare è il gesto primordiale dell’essere liberi, mentre, invece, la limitazione della libertà di movimento è stata da sempre la premessa della schiavitù”. In effetti, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite proclama: “Ogni persona ha diritto di abbandonare qualsiasi paese, compreso il proprio, e di rientrare nel proprio paese” (art. 13). È la libertà di emigrare, diritto umano riconosciuto a livello internazionale. Ma, come ha sottolineato il Prof. Eberhard Eichenhofer a Hohenheim, ad esso non corrisponde il diritto di immigrare in un altro paese: la sovranità di ogni stato nazionale, infatti, si esprime, secondo il diritto internazionale, nel controllo del proprio territorio e di chi vi si stabilisce. Tuttavia, se non vi è libertà di immigrare, la libertà di emigrare non può concretamente attuarsi.
Pertanto, la libera circolazione dei cittadini europei sul territorio dell’Unione Europea non è solo una questione burocratica o economica, ma una grande conquista di civiltà. Attraverso di essa si è riusciti a rendere concreta la libertà di emigrare con l’effettiva possibilità di stabilirsi, di vivere e di lavorare senza grosse restrizioni in qualsiasi paese membro. Nell’UE le migrazioni dei cittadini europei sono organizzate come un diritto. Ciò non avviene, invece, a livello mondiale, se non in alcuni casi: il ricongiungimento famigliare e il diritto d’asilo per coloro a cui viene riconosciuto lo status di rifugiati, perché perseguitati nei loro paesi di origine. Nell’ambito delle migrazioni per lavoro, invece, prevale il punto di vista degli interessi dello stato sovrano.
Controllo delle frontiere e diritti umani. Ma la tensione tra “libertà di emigrare” e “diritto dello stato di controllare i propri confini” si rende drammaticamente evidente alle frontiere esterne dell’Unione Europea. Le tragedie nel Mediterraneo o al confine tra Turchia e Grecia, i respingimenti verso le coste del Nord Africa, la presenza di centri di detenzione per migranti in paesi esterni all’UE, ma finanziati da fondi europei, ripropongono la questione del rispetto dei diritti umani. Secondo la riflessione del Prof. Eichenhofer, dal fatto che l’emigrazione sia riconosciuta come un diritto umano deriva che nel contrasto all'immigrazione clandestina gli stati debbano usare moderazione. Dal punto di vista dell’ingresso in uno stato, infatti, i cosiddetti migranti irregolari compiono un atto non autorizzato dalle leggi, ma dal punto di vista dell’emigrazione dal loro paese stanno esercitando un loro diritto fondamentale. Quando ciò avviene per motivi gravi, dovrebbe prevalere il principio della solidarietà. La libertà di emigrare rimanda, inoltre, alla libertà di non dover emigrare dal proprio paese e, quindi, alla responsabilità della comunità internazionale di combattere le cause degli esodi forzati, come la povertà e le persecuzioni.
Il beato G.B. Scalabrini scriveva già nel 1887: “L’emigrazione nella quasi totalità dei casi non è un piacere, ma una necessità ineluttabile… impedendola si viola una sacro diritto umano, abbandonandola a sé la si rende inefficace”. Come emerso anche dal dibattito a Hohenheim, è compito della politica trovare un accordo tra il diritto umano di emigrare e la concreta possibilità di stabilirsi in un nuovo paese con tutte le conseguenze sociali, economiche e culturali che questo comporta. Le migrazioni dovrebbero essere gestite attivamente tenendo conto del bene dei migranti, dei paesi di partenza e di destinazione. Siamo ancora molto lontani da questo obbiettivo, ma l’ottica che vede nella libertà di movimento qualcosa che appartiene alla natura e alla dignità dell’uomo può aiutare a mantenere un orizzonte più ampio rispetto all'interesse economico. Se un mondo senza frontiere non è al momento realizzabile, un mondo pieno di muri, controlli e fili spinati non è, d'altra parte, vivibile per l’uomo.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.