Dal gennaio 2009 ad oggi , sono state oltre una novantina le più importanti operazioni svolte dalle forze di polizia e dalla magistratura italiana contro la criminalità dei trafficanti di persone.
Liberainformazione - Indagini lunghe, durate mesi, talvolta anni, che hanno evidenziato, tra l’altro, la pericolosità di diversi gruppi criminali stranieri (romeni, nigeriani, albanesi, iracheni, afghani e pakistani), con le caratteristiche, talvolta, tipiche delle associazioni a delinquere mafiose. Per i delinquenti cinesi, che pure hanno dimostrato ancora una particolare predilezione nel settore specifico, il traffico di connazionali continua a rappresentare un mezzo indispensabile e funzionale allo sviluppo delle proprie attività imprenditoriali.
In alcune indagini sono emerse collaborazioni anche con le mafie nostrane. E’ il caso, per esempio, delle operazioni svolte dai Carabinieri di Locri, nel febbraio e giugno 2009, dove tra una sessantina di arrestati (italiani, pakistani e indiani), alcuni appartenevano alla ‘ndrangheta (cosca Iamonte). In realtà, già nel 2006, con l’operazione “Rima”, svolta dai Carabinieri di Catanzaro e conclusasi con 34 ordinanze di custodia in carcere, si era evidenziata la partecipazione della mafia calabrese nella gestione dei migranti “clandestini”. A marzo del 2011, poi, a Catania e Siracusa, la Polizia aveva arrestato diciannove egiziani, mentre altre quattro persone, affiliate al clan mafioso Brunetta, erano state denunciate in stato di libertà per associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Anche in questo primo periodo del 2013, nonostante le condizioni certamente non favorevoli del mare, scafisti e trafficanti sono stati all’opera. Trecentotredici le persone sbarcate in Italia alla data del 16 febbraio: sulle coste siciliane (42), pugliesi (234) e calabre(37). Si è trattato, in gran parte, di profughi siriani (85), pakistani (119), afghani (81) e iraniani (14), che hanno pagato migliaia di euro a testa per il “viaggio”. Centotrenta gli stranieri “intercettati” in acque internazionali (diretti verso le nostre coste) e “ripresi in carico” dalle autorità greche senza intervento italiano. Sempre nello stesso periodo, sono state arrestate otto persone tra scafisti, organizzatori e basisti e sequestrate quattro imbarcazioni.
Il livello di complessità delle organizzazioni criminali dei trafficanti, la loro ramificazione su scala internazionale, la disponibilità di cospicui capitali per predisporre strutture logistiche, mezzi di trasporto, tracciare rotte, corrompere funzionari pubblici, rendono sempre più difficili le indagini e sempre più produttiva questa tipologia di criminalità. Impressionante, nel leggere le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, la disinvolta spregiudicatezza con cui le persone coinvolte, a vari livelli, nella struttura criminale, parlano del loro “lavoro”, dei profitti, delle perdite, quasi rientrassero in una sorta di “piano aziendale” o di attività “benefica”.
Nel 1998, un trafficante turco, intercettato, affermava che “..nell’ultimo mese abbiamo fatturato 7,5 milioni di dollari solo con le navi dei curdi…ogni nave ci costa dagli 80 ai 100 mila dollari…le compriamo nel Mar Nero…abbiamo pagato mazzette alla polizia e ai politici per circa 2,5 milioni di dollari…altrimenti non si riuscirebbe a far partire le navi dai porti turchi…alla fine ci è rimasto un utile netto di circa 5 milioni depositato nelle banche della Cipro turca”. Più o meno nello stesso periodo, un trafficante albanese, vantando la “serietà” della sua organizzazione, garantiva un secondo viaggio gratis se il primo andava male e affermava beatamente: “E’ come alla Standa, paghi uno e prendi due!”.
Ci sono, poi, due trafficanti “benefattori”, uno è pakistano (“Dò la possibilità di un avvenire a gente disperata”), il secondo turco (“Dò una risposta alla fame di alcuni e al bisogno di manodopera di altri…poiché l’Europa non offre sponde legali all’immigrazione, ne costruisco di illegali”. C’è, inoltre, il trafficante libico che si definisce “connection-man” e che, in una intercettazione telefonica del 2009, “lamenta” con alcuni interlocutori la perdita di una trentina di giovani nigeriane destinate alla prostituzione in Italia dopo il naufragio (28 marzo 2009) di alcuni barconi partiti dalla Libia con circa seicento migranti.
La breve rassegna di questo odiosissimo spaccato criminale la concludiamo, infine, con un trafficante curdo che, nel 2011, offriva una visione penosa di come andavano (vanno) le cose nel nostro paese dove, diceva “..è possibile permanere per almeno 4 o 5 anni perché l’Italia non fa rimpatri” ( in realtà è perché, in materia ci sono complicate procedure di contenzioso e lunghi tempi dei tribunali competenti a decidere sulle impugnazioni delle decisioni delle Commissioni territoriali), e comunque “…in Italia con le mazzette si ottiene tutto… come in Turchia”. Purtroppo non possiamo dargli torto!
Liberainformazione - Indagini lunghe, durate mesi, talvolta anni, che hanno evidenziato, tra l’altro, la pericolosità di diversi gruppi criminali stranieri (romeni, nigeriani, albanesi, iracheni, afghani e pakistani), con le caratteristiche, talvolta, tipiche delle associazioni a delinquere mafiose. Per i delinquenti cinesi, che pure hanno dimostrato ancora una particolare predilezione nel settore specifico, il traffico di connazionali continua a rappresentare un mezzo indispensabile e funzionale allo sviluppo delle proprie attività imprenditoriali.
In alcune indagini sono emerse collaborazioni anche con le mafie nostrane. E’ il caso, per esempio, delle operazioni svolte dai Carabinieri di Locri, nel febbraio e giugno 2009, dove tra una sessantina di arrestati (italiani, pakistani e indiani), alcuni appartenevano alla ‘ndrangheta (cosca Iamonte). In realtà, già nel 2006, con l’operazione “Rima”, svolta dai Carabinieri di Catanzaro e conclusasi con 34 ordinanze di custodia in carcere, si era evidenziata la partecipazione della mafia calabrese nella gestione dei migranti “clandestini”. A marzo del 2011, poi, a Catania e Siracusa, la Polizia aveva arrestato diciannove egiziani, mentre altre quattro persone, affiliate al clan mafioso Brunetta, erano state denunciate in stato di libertà per associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Anche in questo primo periodo del 2013, nonostante le condizioni certamente non favorevoli del mare, scafisti e trafficanti sono stati all’opera. Trecentotredici le persone sbarcate in Italia alla data del 16 febbraio: sulle coste siciliane (42), pugliesi (234) e calabre(37). Si è trattato, in gran parte, di profughi siriani (85), pakistani (119), afghani (81) e iraniani (14), che hanno pagato migliaia di euro a testa per il “viaggio”. Centotrenta gli stranieri “intercettati” in acque internazionali (diretti verso le nostre coste) e “ripresi in carico” dalle autorità greche senza intervento italiano. Sempre nello stesso periodo, sono state arrestate otto persone tra scafisti, organizzatori e basisti e sequestrate quattro imbarcazioni.
Il livello di complessità delle organizzazioni criminali dei trafficanti, la loro ramificazione su scala internazionale, la disponibilità di cospicui capitali per predisporre strutture logistiche, mezzi di trasporto, tracciare rotte, corrompere funzionari pubblici, rendono sempre più difficili le indagini e sempre più produttiva questa tipologia di criminalità. Impressionante, nel leggere le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, la disinvolta spregiudicatezza con cui le persone coinvolte, a vari livelli, nella struttura criminale, parlano del loro “lavoro”, dei profitti, delle perdite, quasi rientrassero in una sorta di “piano aziendale” o di attività “benefica”.
Nel 1998, un trafficante turco, intercettato, affermava che “..nell’ultimo mese abbiamo fatturato 7,5 milioni di dollari solo con le navi dei curdi…ogni nave ci costa dagli 80 ai 100 mila dollari…le compriamo nel Mar Nero…abbiamo pagato mazzette alla polizia e ai politici per circa 2,5 milioni di dollari…altrimenti non si riuscirebbe a far partire le navi dai porti turchi…alla fine ci è rimasto un utile netto di circa 5 milioni depositato nelle banche della Cipro turca”. Più o meno nello stesso periodo, un trafficante albanese, vantando la “serietà” della sua organizzazione, garantiva un secondo viaggio gratis se il primo andava male e affermava beatamente: “E’ come alla Standa, paghi uno e prendi due!”.
Ci sono, poi, due trafficanti “benefattori”, uno è pakistano (“Dò la possibilità di un avvenire a gente disperata”), il secondo turco (“Dò una risposta alla fame di alcuni e al bisogno di manodopera di altri…poiché l’Europa non offre sponde legali all’immigrazione, ne costruisco di illegali”. C’è, inoltre, il trafficante libico che si definisce “connection-man” e che, in una intercettazione telefonica del 2009, “lamenta” con alcuni interlocutori la perdita di una trentina di giovani nigeriane destinate alla prostituzione in Italia dopo il naufragio (28 marzo 2009) di alcuni barconi partiti dalla Libia con circa seicento migranti.
La breve rassegna di questo odiosissimo spaccato criminale la concludiamo, infine, con un trafficante curdo che, nel 2011, offriva una visione penosa di come andavano (vanno) le cose nel nostro paese dove, diceva “..è possibile permanere per almeno 4 o 5 anni perché l’Italia non fa rimpatri” ( in realtà è perché, in materia ci sono complicate procedure di contenzioso e lunghi tempi dei tribunali competenti a decidere sulle impugnazioni delle decisioni delle Commissioni territoriali), e comunque “…in Italia con le mazzette si ottiene tutto… come in Turchia”. Purtroppo non possiamo dargli torto!
di Piero Innocenti
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