La nascita di quello che è considerato il primo, in ordine di tempo, risale al 6 gennaio, quando nel comune di Ayutla de los Libres, sulle montagne di Guerrero, 800 uomini armati con machete e fucili si sono organizzati in gruppi per difendere le loro comunità bersaglio di ripetute violenze da parte di bande criminali.
Misna - In poco tempo, i ‘poliziotti comunitari’, uno dei nomi con cui sono chiamati, hanno cominciato sistematicamente a pattugliare le strade, installando posti di blocco, finendo per arrestare una cinquantina di presunti delinquenti con l’obiettivo di processarli: grazie a un accordo raggiunto con il ministro degli Interni, Miguel Ángel Osorio Chong, una trentina di fermati sono stati infine consegnati alla magistratura e i rimanenti liberati, in cambio dell’impegno del governo a far sì che il comune possa in tempi brevi avere una ‘polizia comunitaria’ legalizzata.
Sta di fatto che, secondo giuristi, difensori dei diritti umani e analisti, i cosiddetti ‘gruppi di autodifesa’ in Messico stanno proliferando a fronte dell’impunità di cui gode la criminalità organizzata in un paese in cui l’offensiva militare contro il narcotraffico condotta dalla precedente amministrazione non è riuscita a evitare un bagno di sangue con oltre 70.000 morti nei sei anni di presidenza di Felipe Calderón (2006-2012).
Nelle ultime settimane è stata registrata la creazione di ‘gruppi di autodifesa’ principalmente negli Stati di Michoacán, nell’ovest, in almeno tre comunità, a Oaxaca, nel sud, e in quello centrale di México; tutti in regioni duramente colpite da insicurezza e povertà.
Oltre il dibattito politico che ne è seguito, il presidente della Commissione nazionale dei diritti umani, Raúl Plascencia Villanueva, ha avvertito della “linea molto sottile che separa le organizzazioni di autodifesa e i gruppi paramilitari”, paventando una escalation.
Misna - In poco tempo, i ‘poliziotti comunitari’, uno dei nomi con cui sono chiamati, hanno cominciato sistematicamente a pattugliare le strade, installando posti di blocco, finendo per arrestare una cinquantina di presunti delinquenti con l’obiettivo di processarli: grazie a un accordo raggiunto con il ministro degli Interni, Miguel Ángel Osorio Chong, una trentina di fermati sono stati infine consegnati alla magistratura e i rimanenti liberati, in cambio dell’impegno del governo a far sì che il comune possa in tempi brevi avere una ‘polizia comunitaria’ legalizzata.
Sta di fatto che, secondo giuristi, difensori dei diritti umani e analisti, i cosiddetti ‘gruppi di autodifesa’ in Messico stanno proliferando a fronte dell’impunità di cui gode la criminalità organizzata in un paese in cui l’offensiva militare contro il narcotraffico condotta dalla precedente amministrazione non è riuscita a evitare un bagno di sangue con oltre 70.000 morti nei sei anni di presidenza di Felipe Calderón (2006-2012).
Nelle ultime settimane è stata registrata la creazione di ‘gruppi di autodifesa’ principalmente negli Stati di Michoacán, nell’ovest, in almeno tre comunità, a Oaxaca, nel sud, e in quello centrale di México; tutti in regioni duramente colpite da insicurezza e povertà.
Oltre il dibattito politico che ne è seguito, il presidente della Commissione nazionale dei diritti umani, Raúl Plascencia Villanueva, ha avvertito della “linea molto sottile che separa le organizzazioni di autodifesa e i gruppi paramilitari”, paventando una escalation.
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