Da gennaio in Danimarca è vietato installare sistemi di riscaldamento a combustibili fossili nei nuovi edifici. E' solo una delle misure con cui si vuole arrivare entro il 2050 a soddisfare con le rinnovabili l'intero fabbisogno energetico. L'obiettivo 2020 è 35% di energia pulita sul fabbisogno totale, tagliando del 33% il consumo delle fonti fossili.
Qualenergia - Il primo gennaio 2013 potrebbe essere una data storica nel cammino verso la decarbonizzazione completa del sistema energetico: per la prima volta in un paese è vietata l'installazione nelle case di sistemi di riscaldamento a combustibili fossili. La nuova norma è entrata in vigore con l'anno nuovo in Danimarca, tra le nazioni che con più decisione si stanno muovendo per abbandonare l'energia sporca. In tutti nuovi edifici è infatti non è più permesso installarecaldaie a gas o a olio combustibile. Dal 2016 le caldaie ad olio combustibile dovranno sparire anche dagli edifici esistenti, qualora possano essere serviti da reti di teleriscaldamento o dal gas. Per sostenere questa conversione dei sistemi di riscaldamento domestici dal 2912 al 2015 Copenhagen stanzierà 42 milioni di corone danesi, cioè circa 5,6 milioni di euro. Un provvedimento del genere preso in Italia avrebbe dell'incredibile, ma in Danimarca la scelta di abbandonare le fossili è stata presa molto sul serio. Mettere al bando le caldaie a fonti fossili è infatti tra le misure contenute nella legge danese sull'energia, approvata dal Parlamento a marzo 2012 quasi all'unanimità: con 171 voti su 179. Un provvedimennto che stabilisce politiche e obiettivi al 2020 per portare il paese entro il 2050 a soddisfare con le rinnovabili l'intero fabbisogno energetico, dal riscaldamento, ai trasporti, all'elettricità.
La legge (vedi sintesi, pdf) prevede che il Paese già al 2020 raggiunga una quota di rinnovabili sul fabbisogno energetico totale pari al 35%. Per lo stesso anno le emissioni di gas serra dovranno essere ridotte del 34% rispetto ai livelli del 1990, mentre i consumi di energia caleranno del 12% rispetto ai livelli del 2006 e la domanda di fonti fossili verrà tagliata di un terzo. Pilastro della strategia energetica danese è l'efficienza energetica, sul versante elettrico si dà molta importanza a fonti come biogas, biomasse e soprattutto eolico. Già ora il vento fornisce circa il 25% dell'elettricità del Paese e, nel giro di 7 anni, il piano prevede di arrivare al 50% (con contestuale sviluppo di accumuli e altre tecnologie della smart grid), mentre le grandi centrali a carbone dovranno gradualmente convertirsi a biomassa.
Anche sui fabbisogni termici – come mostra il provvedimento sulle caldaie - le fonti pulite dovranno crescere molto velocemente e le fossili essere gradualmente accantonate. In parallelo al divieto di installare caldaie a fonti fossili nei nuovi edifici, si stanziano fondi (i 42 milioni di corone già citati) per convertire a energia rinnovabile le caldaie a olio combustibile esistenti; si promuove il teleriscaldamento da biomasse, mentre altri fondi (35 milioni di corone) sono destinati a promuovere la geotermia a bassa entalpia e le pompe di calore. Una conversione alle rinnovabili poi interesserà anche i processi industriali: circa 500 milioni di corone (67 milioni di euro) all'anno dal 2014 al 2020 e 250 milioni di corone per il 2013. Nei trasporti invece i danesi punteranno sull'elettrificazione, per esempio con fondi ad hoc per installare le colonnine di ricarica per le auto elettriche.
Quanto costerà questo piano ambizioso e da dove verranno i soldi? Come avviene da noi per il supporto alle rinnovabili (e per parte degli interventi di efficienza energetica) le risorse vengono dalle bollette energetiche. Tuttavia il Governo di Copenhagen compenserà in parte il caro energia riducendo la pressione fiscale sulle stesse. Il prezzo resterà comunque caro per i consumatori danesi: il calcolo governativo prevede che al 2020 la bolletta rincari in media di 173 euro per famiglia e per le aziende aumenti di circa 27 euro per ogni impiegato. Un costo che però, secondo il Governo danese, è un investimento: la transizione energetica, si spiega, non penalizzerà il Paese, anzi, “rafforzerà la competitività delle aziende danesi e metterà al riparo i cittadini da esorbitanti rincari dei combustibili fossili”. Solo con il miglioramento dell'efficienza energetica infatti, ci si aspetta che la Danimarca risparmi 242 milioni di euro l'anno per il 2020, ed è quasi certo che il prezzo delle fonti fossili lieviterà negli anni a venire.
A Copenhagen insomma si ragiona di energia guardando al lungo periodo. Sarebbe bello che si provasse a farlo anche in Italia, dove ci si preoccupa, giustamente, ma forse troppo, dei soldi che vanno alle rinnovabili – 12,5 miliardi l'anno al 2016, secondo le ultime stime allarmate di Assoelettrica - e troppo poco degli oltre 60 miliardi all'anno che da lungo tempo spendiamo in importazioni di energia fossile, cui si aggiungono i circa 9 miliardi di incentivi pubblici all'anno che le fonti sporche ricevono in Italia (vedi QualEnergia.it). Un conto che sarà sempre più caro e che, se non seguiremo l'esempio danese, pagheremo per sempre con l'aggiunta delle incalcolabili ricadute ambientali e sanitarie. E poi c'è tutta la partita di una politica industriale green capace di rimettere in moto la sfiatata economia del nostro paese.
Qualenergia - Il primo gennaio 2013 potrebbe essere una data storica nel cammino verso la decarbonizzazione completa del sistema energetico: per la prima volta in un paese è vietata l'installazione nelle case di sistemi di riscaldamento a combustibili fossili. La nuova norma è entrata in vigore con l'anno nuovo in Danimarca, tra le nazioni che con più decisione si stanno muovendo per abbandonare l'energia sporca. In tutti nuovi edifici è infatti non è più permesso installarecaldaie a gas o a olio combustibile. Dal 2016 le caldaie ad olio combustibile dovranno sparire anche dagli edifici esistenti, qualora possano essere serviti da reti di teleriscaldamento o dal gas. Per sostenere questa conversione dei sistemi di riscaldamento domestici dal 2912 al 2015 Copenhagen stanzierà 42 milioni di corone danesi, cioè circa 5,6 milioni di euro. Un provvedimento del genere preso in Italia avrebbe dell'incredibile, ma in Danimarca la scelta di abbandonare le fossili è stata presa molto sul serio. Mettere al bando le caldaie a fonti fossili è infatti tra le misure contenute nella legge danese sull'energia, approvata dal Parlamento a marzo 2012 quasi all'unanimità: con 171 voti su 179. Un provvedimennto che stabilisce politiche e obiettivi al 2020 per portare il paese entro il 2050 a soddisfare con le rinnovabili l'intero fabbisogno energetico, dal riscaldamento, ai trasporti, all'elettricità.
La legge (vedi sintesi, pdf) prevede che il Paese già al 2020 raggiunga una quota di rinnovabili sul fabbisogno energetico totale pari al 35%. Per lo stesso anno le emissioni di gas serra dovranno essere ridotte del 34% rispetto ai livelli del 1990, mentre i consumi di energia caleranno del 12% rispetto ai livelli del 2006 e la domanda di fonti fossili verrà tagliata di un terzo. Pilastro della strategia energetica danese è l'efficienza energetica, sul versante elettrico si dà molta importanza a fonti come biogas, biomasse e soprattutto eolico. Già ora il vento fornisce circa il 25% dell'elettricità del Paese e, nel giro di 7 anni, il piano prevede di arrivare al 50% (con contestuale sviluppo di accumuli e altre tecnologie della smart grid), mentre le grandi centrali a carbone dovranno gradualmente convertirsi a biomassa.
Anche sui fabbisogni termici – come mostra il provvedimento sulle caldaie - le fonti pulite dovranno crescere molto velocemente e le fossili essere gradualmente accantonate. In parallelo al divieto di installare caldaie a fonti fossili nei nuovi edifici, si stanziano fondi (i 42 milioni di corone già citati) per convertire a energia rinnovabile le caldaie a olio combustibile esistenti; si promuove il teleriscaldamento da biomasse, mentre altri fondi (35 milioni di corone) sono destinati a promuovere la geotermia a bassa entalpia e le pompe di calore. Una conversione alle rinnovabili poi interesserà anche i processi industriali: circa 500 milioni di corone (67 milioni di euro) all'anno dal 2014 al 2020 e 250 milioni di corone per il 2013. Nei trasporti invece i danesi punteranno sull'elettrificazione, per esempio con fondi ad hoc per installare le colonnine di ricarica per le auto elettriche.
Quanto costerà questo piano ambizioso e da dove verranno i soldi? Come avviene da noi per il supporto alle rinnovabili (e per parte degli interventi di efficienza energetica) le risorse vengono dalle bollette energetiche. Tuttavia il Governo di Copenhagen compenserà in parte il caro energia riducendo la pressione fiscale sulle stesse. Il prezzo resterà comunque caro per i consumatori danesi: il calcolo governativo prevede che al 2020 la bolletta rincari in media di 173 euro per famiglia e per le aziende aumenti di circa 27 euro per ogni impiegato. Un costo che però, secondo il Governo danese, è un investimento: la transizione energetica, si spiega, non penalizzerà il Paese, anzi, “rafforzerà la competitività delle aziende danesi e metterà al riparo i cittadini da esorbitanti rincari dei combustibili fossili”. Solo con il miglioramento dell'efficienza energetica infatti, ci si aspetta che la Danimarca risparmi 242 milioni di euro l'anno per il 2020, ed è quasi certo che il prezzo delle fonti fossili lieviterà negli anni a venire.
A Copenhagen insomma si ragiona di energia guardando al lungo periodo. Sarebbe bello che si provasse a farlo anche in Italia, dove ci si preoccupa, giustamente, ma forse troppo, dei soldi che vanno alle rinnovabili – 12,5 miliardi l'anno al 2016, secondo le ultime stime allarmate di Assoelettrica - e troppo poco degli oltre 60 miliardi all'anno che da lungo tempo spendiamo in importazioni di energia fossile, cui si aggiungono i circa 9 miliardi di incentivi pubblici all'anno che le fonti sporche ricevono in Italia (vedi QualEnergia.it). Un conto che sarà sempre più caro e che, se non seguiremo l'esempio danese, pagheremo per sempre con l'aggiunta delle incalcolabili ricadute ambientali e sanitarie. E poi c'è tutta la partita di una politica industriale green capace di rimettere in moto la sfiatata economia del nostro paese.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.