Come da pronostici miglior film è “Argo” di Ben Affleck. Daniel Day-Lewis vince l’Oscar per il miglior attore con “Lincoln”. Bella e brava Jennifer Lawrence. Spielberg grande sconfitto.
È impossibile accontentare i gusti di tutti. Questa volta, però, possiamo dire che i giurati dell’Academy sono riusciti nell’impresa di assegnare i premi con grande equilibrio. Spesso ci siamo sentiti traditi da scelte che non condividevamo: film votati per scombinare le carte, attori premiati solo perché lo meritavano l’anno precedente... Nella notte di domenica, invece, abbiamo assistito al trionfo dei più bravi, come da tempo non succedeva. Se è vero che l’Oscar è il premio assegnato al “migliore”, in questa 85ma edizione degli Academy Awards i quasi 6mila membri della giuria ci sono andati molto vicino.
Certo, non si può parlare di suspense: in fondo i pronostici sono stati quasi tutti rispettati. Pochi colpi di scena, dunque. Uno di questi è la mancata statuetta per la miglior regia a Steven Spielberg, per il suo “Lincoln”. E come si può dar torto ai giurati? Spielberg ha costruito il suo film sulle parole, sui dialoghi, tralasciando completamente l’aspetto epico. Una pellicola dallo stile perfetto, ma con poca anima. Solo nel finale la sceneggiatura si fa più ricca, ma è ormai troppo tardi. In sala, accanto a me, all’anteprima stampa (pomeridiana), colleghi che sbadigliavano, altri che russavano… Cosa non ha funzionato? Forse l’aver puntato troppo al significato di quei giorni, prima della votazione per l’abolizione della schiavitù: evidentemente gli sceneggiatori devono aver pensato che il tema, così forte e sentito in patria, avrebbe potuto colmare alcune evidenti lacune. Il ritmo, però, è lento e in alcuni tratti si sfiora la noia; e non solo perché conosciamo già il finale della storia.
Potremmo dire lo stesso di “Zero Dark Thirty” o di “Argo”: il primo è il film sulla caccia e l’uccisione di Osama bin Laden; “Argo” è una storia vera, accaduta nel 1979 a Teheran, resa nota da Clinton nel 1997 e raccontata in un libro. Entrambi, però, a differenza di “Lincoln”, fanno quasi dimenticare il loro epilogo tanto è potente la sceneggiatura. Il film di Kathryn Bigelow potrebbe essere stato penalizzato per alcune scene di tortura nelle prigioni della CIA nei confronti di prigionieri politici (per costringerli a rivelare informazioni fondamentali per trovare il nascondiglio di bin Laden). Alcuni senatori si sono scagliati contro il film definendolo “grossolanamente inaccurato e fuorviante”. Accuse che potrebbero aver pesato sulle scelte dell’Academy. “Argo” invece è piaciuto a tutti: sapevamo che ci sarebbe stato l’happy end, eppure ci ha tenuti incollati alla poltrona per due ore, con continui colpi di scena. Senza mai un conflitto a fuoco o un inseguimento d’auto. Farcito qua e là con qualche goccia di humor (le battute del “finto” produttore cinematografico sono spassose), mai sopra le righe. Il protagonista non è un agente segreto alla 007 e non si atteggia ad eroe, ma ottiene la fiducia del suo gruppo e ogni volta che appare si percepisce un carisma non ostentato. Ogni scena è studiata per raccontare e tenere sulla corda lo spettatore. Meritato l’Oscar per la sceneggiatura non originale. Bravo Ben Affleck, sempre più maturo come regista, in barba a quanti – soprattutto a Hollywood - storcono il naso di fronte ad un sex symbol che si impone non solo come interprete. Insomma, per alcuni sembra quasi un peccato che lui sia giovane e bello!
Sorpresa per il filosofico “Vita di Pi”, che esce vincitore con quattro statuette: Migliore Regia per Ang Lee (già premiato nel 2005 per “Brokeback Mountain”), Migliore Fotografia, Miglior colonna sonora e Migliori effetti speciali.
“Lincoln” resta il vero sconfitto di questa edizione 2013 degli Oscar: nonostante la prestigiosa statuetta vinta da Daniel Day-Lewis come miglior attore protagonista (per lui è il terzo Oscar, record assoluto per Hollywood), ci si aspettava di più dal kolossal di Spielberg e dalle sue 12 candidature. Porta a casa solo un altro premio per la Migliore scenografia. Negli Stati Uniti il film è però campione di incassi al box office: un segnale importante in un paese dove le sale cinematografiche sono frequentate sempre più da adolescenti. Non è questo il caso. Resta la classica sensazione di un’occasione sprecata. Quanto al protagonista, non poteva non vincere: il film si regge tutto su di lui, nessun vivente ha conosciuto Lincoln, ma d’ora in poi lo immagineremo con il suo volto dolce e risoluto, con quella camminata un po’ curva e dinoccolata. Da noi, purtroppo, è penalizzato anche dal doppiaggio: la voce italiana di Lincoln è quella di Pierfrancesco Favino, che in altre prove sa essere convincente, qui lo è un po’ meno.
Tra tanti bei film, un altro sconfitto è “Les Miserables” di Tom Hooper, otto candidature e tre statuette conquistate: Miglior Attrice Non Protagonista per Anne Hathaway, Miglior Trucco e Parrucco e Miglior Mixer del Suono. Per il ruolo di Fantine, la Hathaway si è tagliata i capelli quasi a zero ed è dimagrita di 11 chili: un grande sacrificio se si pensa che la sua performance dura appena sei minuti. Che le sono però bastati per rubare la scena anche al protagonista. Quando canta la sua disperazione piange lacrime vere: è forse quello il momento più alto di tutto il film.
Dispiace per Robert De Niro che, finalmente, torna ad impegnarsi po’ di più e ne “Il lato positivo” offre un personaggio tutto sommato ben costruito. Ma siamo lontani dai ruoli immortali cui ci aveva abituato. E soprattutto non poteva competere con un mostro di bravura come Christoph Waltz in “Django Unchained”: sagace, folle, schietto e leale, ha saputo dare anima al suo dottor Shultz. Il film vince anche il premio per la miglior sceneggiatura originale. Forse qui i giurati avrebbero potuto mostrarsi meno convenzionali, perché Quentin Tarantino ha firmato una regia davvero magnifica, da premiare con l’Oscar.
Meritatissimo il premio come migliore attrice alla 22enne Jennifer Lawrence per “Il lato positivo” che, per l’emozione, inciampa addirittura nel lungo abito bianco, mentre sale sul palco. Il film di David O. Russell non è certo la classica commedia americana: si sorride e soprattutto si riflette. E mentre seguiamo le gesta del protagonista (Bradley Cooper) finiamo per odiarlo, comprenderlo, e poi amarlo. In Italia uscirà il 7 marzo ed è l’unico film candidato agli Academy Awards non ancora nelle nostre sale.
Come dicevamo, negli Stati Uniti il campione di incassi al momento è “Lincoln”, seguito da “Django Unchained”, “Les Miserables” e Argo”. Seguono “Vita di Pi” e “Il lato positivo” che, dopo tre mesi di programmazione, non smette di mietere successi. Vedremo quale sarà la risposta italiana nei prossimi giorni e se – come sempre - l’effetto Oscar si farà sentire al botteghino.
di Cristina Bianchino
È impossibile accontentare i gusti di tutti. Questa volta, però, possiamo dire che i giurati dell’Academy sono riusciti nell’impresa di assegnare i premi con grande equilibrio. Spesso ci siamo sentiti traditi da scelte che non condividevamo: film votati per scombinare le carte, attori premiati solo perché lo meritavano l’anno precedente... Nella notte di domenica, invece, abbiamo assistito al trionfo dei più bravi, come da tempo non succedeva. Se è vero che l’Oscar è il premio assegnato al “migliore”, in questa 85ma edizione degli Academy Awards i quasi 6mila membri della giuria ci sono andati molto vicino.
Certo, non si può parlare di suspense: in fondo i pronostici sono stati quasi tutti rispettati. Pochi colpi di scena, dunque. Uno di questi è la mancata statuetta per la miglior regia a Steven Spielberg, per il suo “Lincoln”. E come si può dar torto ai giurati? Spielberg ha costruito il suo film sulle parole, sui dialoghi, tralasciando completamente l’aspetto epico. Una pellicola dallo stile perfetto, ma con poca anima. Solo nel finale la sceneggiatura si fa più ricca, ma è ormai troppo tardi. In sala, accanto a me, all’anteprima stampa (pomeridiana), colleghi che sbadigliavano, altri che russavano… Cosa non ha funzionato? Forse l’aver puntato troppo al significato di quei giorni, prima della votazione per l’abolizione della schiavitù: evidentemente gli sceneggiatori devono aver pensato che il tema, così forte e sentito in patria, avrebbe potuto colmare alcune evidenti lacune. Il ritmo, però, è lento e in alcuni tratti si sfiora la noia; e non solo perché conosciamo già il finale della storia.
Potremmo dire lo stesso di “Zero Dark Thirty” o di “Argo”: il primo è il film sulla caccia e l’uccisione di Osama bin Laden; “Argo” è una storia vera, accaduta nel 1979 a Teheran, resa nota da Clinton nel 1997 e raccontata in un libro. Entrambi, però, a differenza di “Lincoln”, fanno quasi dimenticare il loro epilogo tanto è potente la sceneggiatura. Il film di Kathryn Bigelow potrebbe essere stato penalizzato per alcune scene di tortura nelle prigioni della CIA nei confronti di prigionieri politici (per costringerli a rivelare informazioni fondamentali per trovare il nascondiglio di bin Laden). Alcuni senatori si sono scagliati contro il film definendolo “grossolanamente inaccurato e fuorviante”. Accuse che potrebbero aver pesato sulle scelte dell’Academy. “Argo” invece è piaciuto a tutti: sapevamo che ci sarebbe stato l’happy end, eppure ci ha tenuti incollati alla poltrona per due ore, con continui colpi di scena. Senza mai un conflitto a fuoco o un inseguimento d’auto. Farcito qua e là con qualche goccia di humor (le battute del “finto” produttore cinematografico sono spassose), mai sopra le righe. Il protagonista non è un agente segreto alla 007 e non si atteggia ad eroe, ma ottiene la fiducia del suo gruppo e ogni volta che appare si percepisce un carisma non ostentato. Ogni scena è studiata per raccontare e tenere sulla corda lo spettatore. Meritato l’Oscar per la sceneggiatura non originale. Bravo Ben Affleck, sempre più maturo come regista, in barba a quanti – soprattutto a Hollywood - storcono il naso di fronte ad un sex symbol che si impone non solo come interprete. Insomma, per alcuni sembra quasi un peccato che lui sia giovane e bello!
Sorpresa per il filosofico “Vita di Pi”, che esce vincitore con quattro statuette: Migliore Regia per Ang Lee (già premiato nel 2005 per “Brokeback Mountain”), Migliore Fotografia, Miglior colonna sonora e Migliori effetti speciali.
“Lincoln” resta il vero sconfitto di questa edizione 2013 degli Oscar: nonostante la prestigiosa statuetta vinta da Daniel Day-Lewis come miglior attore protagonista (per lui è il terzo Oscar, record assoluto per Hollywood), ci si aspettava di più dal kolossal di Spielberg e dalle sue 12 candidature. Porta a casa solo un altro premio per la Migliore scenografia. Negli Stati Uniti il film è però campione di incassi al box office: un segnale importante in un paese dove le sale cinematografiche sono frequentate sempre più da adolescenti. Non è questo il caso. Resta la classica sensazione di un’occasione sprecata. Quanto al protagonista, non poteva non vincere: il film si regge tutto su di lui, nessun vivente ha conosciuto Lincoln, ma d’ora in poi lo immagineremo con il suo volto dolce e risoluto, con quella camminata un po’ curva e dinoccolata. Da noi, purtroppo, è penalizzato anche dal doppiaggio: la voce italiana di Lincoln è quella di Pierfrancesco Favino, che in altre prove sa essere convincente, qui lo è un po’ meno.
Dispiace per Robert De Niro che, finalmente, torna ad impegnarsi po’ di più e ne “Il lato positivo” offre un personaggio tutto sommato ben costruito. Ma siamo lontani dai ruoli immortali cui ci aveva abituato. E soprattutto non poteva competere con un mostro di bravura come Christoph Waltz in “Django Unchained”: sagace, folle, schietto e leale, ha saputo dare anima al suo dottor Shultz. Il film vince anche il premio per la miglior sceneggiatura originale. Forse qui i giurati avrebbero potuto mostrarsi meno convenzionali, perché Quentin Tarantino ha firmato una regia davvero magnifica, da premiare con l’Oscar.
Meritatissimo il premio come migliore attrice alla 22enne Jennifer Lawrence per “Il lato positivo” che, per l’emozione, inciampa addirittura nel lungo abito bianco, mentre sale sul palco. Il film di David O. Russell non è certo la classica commedia americana: si sorride e soprattutto si riflette. E mentre seguiamo le gesta del protagonista (Bradley Cooper) finiamo per odiarlo, comprenderlo, e poi amarlo. In Italia uscirà il 7 marzo ed è l’unico film candidato agli Academy Awards non ancora nelle nostre sale.
Come dicevamo, negli Stati Uniti il campione di incassi al momento è “Lincoln”, seguito da “Django Unchained”, “Les Miserables” e Argo”. Seguono “Vita di Pi” e “Il lato positivo” che, dopo tre mesi di programmazione, non smette di mietere successi. Vedremo quale sarà la risposta italiana nei prossimi giorni e se – come sempre - l’effetto Oscar si farà sentire al botteghino.
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