La Coalizione nazionale siriana (Cns) che guida l’opposizione, manda a monte la Conferenza internazionale sulla Siria prevista a Roma per il 28 febbraio e respinge anche l’invito a recarsi a Mosca e Washington per discutere della crisi. Confermata invece la partecipazione al vertice di Instanbul.
Radio Vaticana - Il motivo, fa sapere un portavoce del Cns, è il silenzio internazionale sulla “sistematica e vergognosa“ distruzione di Aleppo, dove solo ieri sono morte almeno 30 persone tra cui 19 bambini. Dura è arrivata la condanna del capo della diplomazia europea Ashton. Su questa decisione delle forze di opposizione siriane, Cecilia Seppia ha sentito Bernard Selwàn Elkourì, vice direttore dell’Osservatorio geopolitico mediorientale di Roma:
R. – In realtà, più che un preciso messaggio da parte del Cns - del Consiglio o Caoalizione nazionale siriana - si tratta, a mio avviso, di un estremo gesto di esasperazione nei confronti del silenzio internazionale, che viene denunciato ormai da diversi mesi. Quindi, da un punto di vista analitico, da un punto di vista geopolitico, non è una notizia che fa scalpore, in quanto è l’ennesima presa di posizione – questa volta certamente in modo più netto – da parte del Cns. Il Cns ha confermato, invece, il summit che si dovrà tenere, il prossimo 2 marzo, a Istanbul, in Turchia: questo significa anche che, da un punto di vista di fiducia in Paesi o in realtà internazionali terzi, il Cns attualmente confida maggiormente in un ruolo che la Turchia possa o potrebbe giocare nella regione, piuttosto che di un ruolo dell’Unione Europea.
D. – La Coalizione nazionale siriana ha fatto sapere che formerà un governo per gestire le zone liberate dal controllo del regime di Assad. Si va dunque verso, l’unità reale delle forze di opposizione?
R. – E’ vero, i vari gruppi e le varie formazioni del Cns, dell’opposizione, lanciano questi appelli all’unità, all’offrire un’alternativa al regime, per eleggere un premier o quant’altro. Ma il vero problema è che, fino ad oggi, non possiamo assolutamente parlare di un Cns come di una realtà unita, in cui vi sia un personaggio riconosciuto da tutti e in grado di dialogare con la comunità internazionale. E questo gioca, a favore, ovviamente, del regime di al-Assad, il quale – seppur utilizzando metodi violenti – rimane il solo interlocutore, indiretto, della Comunità internazionale. L’obiettivo ovviamente è lo stesso, quello di far cadere il regime: ma una volta fatto cadere il regime, quelli che oggi sono alleati all’interno della Coalizione, un domani diventeranno sicuramente dei nemici e mi riferisco ovviamente a quello che potrebbe essere lo scontro tra islamisti, da una parte – sappiamo che la Siria è un Paese a maggioranza sunnita – e i jihadisti, dall’altra. Quindi è questo il nodo centrale della questione: l’assenza, cioè, di un leader credibile, che riesca ad unire tutte le voci della Siria. Questo, però, è anche difficile che possa accadere nei prossimi mesi, in quanto non vi è una sviluppata cultura politica in Siria ed è questo il motivo per cui – a mio avviso e secondo diversi osservatori - al-Assad potrebbe mantenersi al suo posto ancora per diversi mesi.
D. – Da una parte c’è Aleppo, roccaforte dell’opposizione, dall’altra Damasco, che comunque continua ad essere raggiunta da diversi attentati: l’ultimo è stato condannato dal mediatore di Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahimi. Brahimi ha parlato di crimini di guerra e da lui è arrivata la richiesta che questi crimini siano indagati da una Commissione d’inchiesta internazionale. Quindi la Comunità internazionale sta dando un segno forse più forte delle parole…
R. – Questo – diciamo – rientra nel ruolo istituzionale dell’Onu. L’Onu è deputata a fare questo e quindi sarebbe strano se non venissero lanciati degli appelli del genere. Il problema è un altro: il problema è che il Cns, ma soprattutto la popolazione siriana, non ha più fiducia nella Comunità internazionale, non ha fiducia nell’Onu, non crede che l’Onu possa risolvere la situazione. Invece, in questo momento, ha bisogno di azioni concrete e per azioni concrete intende un intervento, anche militare, pensando a ciò che la Nato ha fatto anche in Libia.
Radio Vaticana - Il motivo, fa sapere un portavoce del Cns, è il silenzio internazionale sulla “sistematica e vergognosa“ distruzione di Aleppo, dove solo ieri sono morte almeno 30 persone tra cui 19 bambini. Dura è arrivata la condanna del capo della diplomazia europea Ashton. Su questa decisione delle forze di opposizione siriane, Cecilia Seppia ha sentito Bernard Selwàn Elkourì, vice direttore dell’Osservatorio geopolitico mediorientale di Roma:
R. – In realtà, più che un preciso messaggio da parte del Cns - del Consiglio o Caoalizione nazionale siriana - si tratta, a mio avviso, di un estremo gesto di esasperazione nei confronti del silenzio internazionale, che viene denunciato ormai da diversi mesi. Quindi, da un punto di vista analitico, da un punto di vista geopolitico, non è una notizia che fa scalpore, in quanto è l’ennesima presa di posizione – questa volta certamente in modo più netto – da parte del Cns. Il Cns ha confermato, invece, il summit che si dovrà tenere, il prossimo 2 marzo, a Istanbul, in Turchia: questo significa anche che, da un punto di vista di fiducia in Paesi o in realtà internazionali terzi, il Cns attualmente confida maggiormente in un ruolo che la Turchia possa o potrebbe giocare nella regione, piuttosto che di un ruolo dell’Unione Europea.
D. – La Coalizione nazionale siriana ha fatto sapere che formerà un governo per gestire le zone liberate dal controllo del regime di Assad. Si va dunque verso, l’unità reale delle forze di opposizione?
R. – E’ vero, i vari gruppi e le varie formazioni del Cns, dell’opposizione, lanciano questi appelli all’unità, all’offrire un’alternativa al regime, per eleggere un premier o quant’altro. Ma il vero problema è che, fino ad oggi, non possiamo assolutamente parlare di un Cns come di una realtà unita, in cui vi sia un personaggio riconosciuto da tutti e in grado di dialogare con la comunità internazionale. E questo gioca, a favore, ovviamente, del regime di al-Assad, il quale – seppur utilizzando metodi violenti – rimane il solo interlocutore, indiretto, della Comunità internazionale. L’obiettivo ovviamente è lo stesso, quello di far cadere il regime: ma una volta fatto cadere il regime, quelli che oggi sono alleati all’interno della Coalizione, un domani diventeranno sicuramente dei nemici e mi riferisco ovviamente a quello che potrebbe essere lo scontro tra islamisti, da una parte – sappiamo che la Siria è un Paese a maggioranza sunnita – e i jihadisti, dall’altra. Quindi è questo il nodo centrale della questione: l’assenza, cioè, di un leader credibile, che riesca ad unire tutte le voci della Siria. Questo, però, è anche difficile che possa accadere nei prossimi mesi, in quanto non vi è una sviluppata cultura politica in Siria ed è questo il motivo per cui – a mio avviso e secondo diversi osservatori - al-Assad potrebbe mantenersi al suo posto ancora per diversi mesi.
D. – Da una parte c’è Aleppo, roccaforte dell’opposizione, dall’altra Damasco, che comunque continua ad essere raggiunta da diversi attentati: l’ultimo è stato condannato dal mediatore di Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahimi. Brahimi ha parlato di crimini di guerra e da lui è arrivata la richiesta che questi crimini siano indagati da una Commissione d’inchiesta internazionale. Quindi la Comunità internazionale sta dando un segno forse più forte delle parole…
R. – Questo – diciamo – rientra nel ruolo istituzionale dell’Onu. L’Onu è deputata a fare questo e quindi sarebbe strano se non venissero lanciati degli appelli del genere. Il problema è un altro: il problema è che il Cns, ma soprattutto la popolazione siriana, non ha più fiducia nella Comunità internazionale, non ha fiducia nell’Onu, non crede che l’Onu possa risolvere la situazione. Invece, in questo momento, ha bisogno di azioni concrete e per azioni concrete intende un intervento, anche militare, pensando a ciò che la Nato ha fatto anche in Libia.
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