giovedì, febbraio 07, 2013
Resta altissima la tensione in Tunisia dopo l’uccisione, ieri, del leader del Fronte Popolare dell’opposizione, Chokri Belaid. A Tunisi scontri tra polizia e manifestanti nei pressi del ministero dell'Interno. Disordini anche a Gafsa, nel centro del Paese. Sul fronte politico resta il “no” del partito islamico al governo Ennahda alla proposta di un esecutivo tecnico per gestire l'emergenza, avanzata dal premier Hamad Jebali.

Radio Vaticana - A Tunisi è stata ristabilita la calma dopo la seconda giornata di tumulti, segnata da sassaiole dei manifestanti e il lancio di lacrimogeni da parte della polizia. Scontri anche a Gafna, dove secondo notizie non confermate da fonti ufficiali un ragazzo è rimasto ucciso. La peggiore crisi dalla rivoluzione del 2011 scuote anche la maggioranza. Il partito di governo Ennhada, che s’ispira ai Fratelli musulmani, è contrario alla proposta del premier Jebali di formare un esecutivo di soli tecnici, per poi andare a elezioni anticipate, e accusa il primo ministro di non avere avviato consultazioni in tal senso. Sul fronte delle indagini sull’omicidio del capo dell’opposizione, si registra un lungo interrogatorio dello stesso autista del politico, sul quale pesano alcune testimonianze discordanti. Si preannuncia intanato un venerdì di fuoco. L'Ugtt, il più grande sindacato tunisino, ha accolto l'appello del'opposizione laica e ha proclamato uno sciopero nazionale che paralizzerà il paese nel giorno dei funerali di Chokri Belaid. Infine anche la Chiesa si stringe nel dolore per quanto accaduto: padre Jawad Alamat, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie della Tunisia, si dice “solidale con tutto il popolo tunisino che soffre per l’attentato alla sua libertà”.

Sulla situazione in Tunisia, Fabio Colagrande ha intervistato Adnane Mokrani, tunisino, teologo musulmano, docente alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica:
R. – Chokri Belaid è una persona che ha lottato contro la dittatura, credeva nella democrazia e nella libertà. Il suo assassinio è un dramma da condannare radicalmente, ma spero sia anche una speranza per unire il popolo tunisino contro i nemici della democrazia e dare la priorità all’unità nazionale, agli obiettivi della rivoluzione, che sono dignità, lavoro, libertà, e non perdersi nelle lotte tra partiti e tra interessi egoistici. La priorità ora è di finire di scrivere la Costituzione, fare nuove elezioni e arrivare a un governo normale, secondo una Costituzione ben stabilita.

D. – L’impressione è che ci sia uno scontro anche tra due modi diversi di leggere l’islam, in Tunisia come in altri Paesi che hanno attraversato la "primavera araba"…
R. - Sì, ho sempre pensato che la democrazia senza gli islamisti sia impossibile e che con loro sia difficile. C’è questa sfida reale, ma non si può negare la diversità, la pluralità, il pluralismo interno del popolo. Non si può imporre uno stile di vita o un pensiero unico. Dobbiamo comunque collaborare con quelli che sono convinti dei valori e dei principi della democrazia per poter andare avanti.

D. - Le "primavere arabe" stanno fallendo nel nord Africa?
R. – Il termine "primavera" non mi convince molto. Siamo in cammino. Una rivoluzione è un processo lungo, potrebbe durare dieci anni, forse di più. E’ un processo che chiede una maturazione culturale, un cambiamento di mentalità, una preparazione. Adesso, il governo è totalmente nuovo, senza esperienza: c’è bisogno di un’educazione politica, non solo per l’esecutivo, ma anche per l’opposizione. Stiamo imparando. Non dobbiamo perdere la speranza, perché perdere la speranza significa cadere nel peggio e tornare alla dittatura.

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