Né perquisizioni né scomuniche per i cardinali. E alla fine…
I principi di santa Romana Chiesa, i cardinali, non subiranno l’onta di una perquisizione personale, come fossero incalliti delinquenti incappati nella polizia, che in Vaticano è la Gendarmeria. Ipotesi che suonava strana già prima che qualche cronista la mettesse nero su bianco: tutto smentito, ieri, dall’instancabile e imperturbabile portavoce vaticano padre Lombardi. Effetti collaterali, per non dire ossessioni, dell’alone di segretezza che dal lontano 1275 circonda l’elezione dei papi, coi cardinali trincerati nel più totale isolamento, prescrivono norme divenute via via più rigide e severe. Ecco perché il conclave è un “unicum” che attira attenzioni spasmodiche pure di migliaia di agguerriti reporter, ansiosi di realizzare lo scoop del secolo, magari con l’aiuto oggigiorno dell’impetuoso sviluppo tecnologico di strumenti di comunicazione sempre più potenti e sofisticati; magari bruciando sul filo dei minuti il protodiacono che annuncerà in mondovisione “habemus Papam”, seguito da nome e cognome del successore di Pietro numero 265.
Per esorcizzare questo incubo e non solo, irrigidimento del segreto ed elaborazione di opportune strategie per proteggerlo van di pari passo nei sacri palazzi. La prima muraglia da abbattere sono i giuramenti obbligatori in vari tempi per diverse persone: anzitutto i cardinali, che già presentandosi alle congregazioni generali ‘preparatorie’ devono richiesti, Vangelo alla mano, di giurare “di mantenere scrupolosamente il segreto su tutto ciò che in qualsiasi modo abbia attinenza con l’elezione del romano pontefice”. L’altro giuramento solenne va prestato all’ingresso in Cappella Sistina prima dell’“extra omnes”, quando il Maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie intima a chiunque non deve votare di uscire (poi uscirà anche lui). “Promettiamo e giuriamo di osservare con la massima fedeltà e con tutti, sia chierici che laici, il segreto… sia durante sia dopo l’elezione del nuovo Pontefice” è la formula che il cardinale Decano o il primo per ordine ed anzianità pronuncia per tutti e gli altri sottoscrivono uno ad uno con un’altra breve formula.
Ma ad un conclave, sia pure fuori dalla sistina, collaborano diverse altre persone, con incarichi pure modesti e però indispensabili. C’è la Domus Sanctae Marthae, residenza dei conclavisti, da mandare avanti provvedendo a pasti e pulizie. Considerando l’età avanzata delle porpore, non possono mancare due medici sempre pronti (oltre all’infermiere personale che i cardinali malati possono portare con sé). Oppure i confessori, in varie lingue, che devono essere disponibili in ogni momento, e ancora tante altre figure che la pur dettagliata Universi dominici gregis (la costituzione “legge” della sede vacante e del conclave) non menziona (dove sono gli autisti dei minibus che fanno la spola tra Santa Marta e Cappella Sistina?).
Tutti, oltre a ricevere la preventiva approvazione da parte del Camerlengo, devono prestare un giuramento non troppo diverso da quelli citati, se non per la significativa ’aggiunta “di astenermi dal fare uso di qualsiasi strumento di registrazione o di audizione o visione”, che non figura nel giuramento dei cardinali. A costoro, tuttavia, dopo ogni votazione in Cappella Sistina, è fatto obbligo di bruciare eventuali fogli in cui si siano appuntati numeri ed esito della votazione stessa.
E ancora, a chiunque i trovi, per motivi anche legittimi, nelle zone trafficate dai porporati e si imbatta in uno di essi, “è fatto assoluto divieto di intrattenere colloquio”, intima il punto 45 della Costituzione. Sotto la lente del legislatore vaticano, con le modifiche introdotte in extremis dal motu proprio ultimo di Benedetto XVI, è finito specialmente il breve tratto di strada tra Santa Marta e la Sistina, che ora sarà sorvegliato anche da “prelati chierici di camera”, figure della curia romana di cui non è molto noto il ruolo in circostanze più “ordinarie”.
Ovvia premessa di quanto detto finora è che i cardinali si astengano dall’uso di radio, tv, stampa, telefono fisso e mobile e va da sé, sebbene non specificato, internet e i social network a cui tanti pure sono affezionati: gli unici comfort indisponibili, in questa specifica occasione, nel pur confortevolissimo albergo vaticano, dove persino le finestre saranno sbarrate.
L’altro succoso e curioso capitolo è quello della battaglia ipertecnologica che ad ogni conclave si scatena tra le forze capitanate dal Camerlengo e un altro temibile nemico, la tecnologia della comunicazione. Alle prime compete il gravoso compito di vigilare sull’inviolabilità della Sistina e di santa Marta fino all’avvenuta elezione: controllare, cioè, con personale “di sicura fede e provata capacità tecnica”, che nessuno furtivamente vi installi mezzi audiovisivi di riproduzione e trasmissione all’esterno. Tutta la “zona rossa” del conclave, in concreto, sarà attentamente bonificata alla ricerca di eventuali cimici, microtelecamere, microfoni direzionali e altre diavolerie simili. Poi si provvederà come in passato alla schermatura elettronica, un sistema di disturbo di tutte le frequenze elettromagnetiche in una determinata area.
C’è da annotare che per chi appunto si prestasse ad introdurre nella Sistina gli strumenti di cui si diceva, ora c’è la scomunica latae sententiae, che scatta cioè automatica senza bisogno di notificarla, già prevista da prima per tutto il personale tenuto a prestare il giuramento di cui sopra, nel caso venga meno agli obblighi solennemente assunti. E contrariamente a quanto verrebbe spontaneo pensare, la pena per un cardinale che violi in qualsiasi modo il segreto sullo svolgimento dell’elezione del Papa, anche ad elezione avvenuta, non è altrettanto severa. La Costituzione citata, ai punti 59-60, si limita ad appellarsi alla coscienza dei porporati, e niente più.
Fatto sta che di tutti i recenti conclavi esistono ricostruzioni più o meno dettagliate e attendibili su candidati votati, voti ottenuti e loro andamento fino alla fumata bianca. E le relative fonti sono state con tutta probabilità “interne” alla Cappella Sistina. Trattasi di materia che abbisognerebbe di ben altro spazio per essere indagata, ma per limitarci al conclave del 2005, è il vaticanista Lucio Brunelli ad averne fornito la cronaca che ha avuto più circolazione, nonostante perplessità sollevate da più parti attorno alla credibilità. Pure prendendola col beneficio del dubbio, da essa si è appreso che fu Bergoglio di Buenos Aires il principale “competitor” di Joseph Ratzinger, col “punteggio” nei primi tre scrutini di 10-47, 35-65 e 40-72, con l’argentino così sopra la soglia cruciale di un terzo dei voti. Situazione, questa, che molti paventano come causa di potenziali e imbarazzanti “stalli” nell’elezione di un Papa: una compatta minoranza che fa blocco su un nome e impedisce, fin quando desidera, l’elezione di chiunque altro coi necessari due terzi dei voti. Ipotesi che quella volta si dissolse nel giro di poche ore, fino all’84-26 che chiuse, allo scrutinio successivo, la partita.
di Paolo Fucili
I principi di santa Romana Chiesa, i cardinali, non subiranno l’onta di una perquisizione personale, come fossero incalliti delinquenti incappati nella polizia, che in Vaticano è la Gendarmeria. Ipotesi che suonava strana già prima che qualche cronista la mettesse nero su bianco: tutto smentito, ieri, dall’instancabile e imperturbabile portavoce vaticano padre Lombardi. Effetti collaterali, per non dire ossessioni, dell’alone di segretezza che dal lontano 1275 circonda l’elezione dei papi, coi cardinali trincerati nel più totale isolamento, prescrivono norme divenute via via più rigide e severe. Ecco perché il conclave è un “unicum” che attira attenzioni spasmodiche pure di migliaia di agguerriti reporter, ansiosi di realizzare lo scoop del secolo, magari con l’aiuto oggigiorno dell’impetuoso sviluppo tecnologico di strumenti di comunicazione sempre più potenti e sofisticati; magari bruciando sul filo dei minuti il protodiacono che annuncerà in mondovisione “habemus Papam”, seguito da nome e cognome del successore di Pietro numero 265.
Per esorcizzare questo incubo e non solo, irrigidimento del segreto ed elaborazione di opportune strategie per proteggerlo van di pari passo nei sacri palazzi. La prima muraglia da abbattere sono i giuramenti obbligatori in vari tempi per diverse persone: anzitutto i cardinali, che già presentandosi alle congregazioni generali ‘preparatorie’ devono richiesti, Vangelo alla mano, di giurare “di mantenere scrupolosamente il segreto su tutto ciò che in qualsiasi modo abbia attinenza con l’elezione del romano pontefice”. L’altro giuramento solenne va prestato all’ingresso in Cappella Sistina prima dell’“extra omnes”, quando il Maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie intima a chiunque non deve votare di uscire (poi uscirà anche lui). “Promettiamo e giuriamo di osservare con la massima fedeltà e con tutti, sia chierici che laici, il segreto… sia durante sia dopo l’elezione del nuovo Pontefice” è la formula che il cardinale Decano o il primo per ordine ed anzianità pronuncia per tutti e gli altri sottoscrivono uno ad uno con un’altra breve formula.
Ma ad un conclave, sia pure fuori dalla sistina, collaborano diverse altre persone, con incarichi pure modesti e però indispensabili. C’è la Domus Sanctae Marthae, residenza dei conclavisti, da mandare avanti provvedendo a pasti e pulizie. Considerando l’età avanzata delle porpore, non possono mancare due medici sempre pronti (oltre all’infermiere personale che i cardinali malati possono portare con sé). Oppure i confessori, in varie lingue, che devono essere disponibili in ogni momento, e ancora tante altre figure che la pur dettagliata Universi dominici gregis (la costituzione “legge” della sede vacante e del conclave) non menziona (dove sono gli autisti dei minibus che fanno la spola tra Santa Marta e Cappella Sistina?).
Tutti, oltre a ricevere la preventiva approvazione da parte del Camerlengo, devono prestare un giuramento non troppo diverso da quelli citati, se non per la significativa ’aggiunta “di astenermi dal fare uso di qualsiasi strumento di registrazione o di audizione o visione”, che non figura nel giuramento dei cardinali. A costoro, tuttavia, dopo ogni votazione in Cappella Sistina, è fatto obbligo di bruciare eventuali fogli in cui si siano appuntati numeri ed esito della votazione stessa.
E ancora, a chiunque i trovi, per motivi anche legittimi, nelle zone trafficate dai porporati e si imbatta in uno di essi, “è fatto assoluto divieto di intrattenere colloquio”, intima il punto 45 della Costituzione. Sotto la lente del legislatore vaticano, con le modifiche introdotte in extremis dal motu proprio ultimo di Benedetto XVI, è finito specialmente il breve tratto di strada tra Santa Marta e la Sistina, che ora sarà sorvegliato anche da “prelati chierici di camera”, figure della curia romana di cui non è molto noto il ruolo in circostanze più “ordinarie”.
Ovvia premessa di quanto detto finora è che i cardinali si astengano dall’uso di radio, tv, stampa, telefono fisso e mobile e va da sé, sebbene non specificato, internet e i social network a cui tanti pure sono affezionati: gli unici comfort indisponibili, in questa specifica occasione, nel pur confortevolissimo albergo vaticano, dove persino le finestre saranno sbarrate.
L’altro succoso e curioso capitolo è quello della battaglia ipertecnologica che ad ogni conclave si scatena tra le forze capitanate dal Camerlengo e un altro temibile nemico, la tecnologia della comunicazione. Alle prime compete il gravoso compito di vigilare sull’inviolabilità della Sistina e di santa Marta fino all’avvenuta elezione: controllare, cioè, con personale “di sicura fede e provata capacità tecnica”, che nessuno furtivamente vi installi mezzi audiovisivi di riproduzione e trasmissione all’esterno. Tutta la “zona rossa” del conclave, in concreto, sarà attentamente bonificata alla ricerca di eventuali cimici, microtelecamere, microfoni direzionali e altre diavolerie simili. Poi si provvederà come in passato alla schermatura elettronica, un sistema di disturbo di tutte le frequenze elettromagnetiche in una determinata area.
C’è da annotare che per chi appunto si prestasse ad introdurre nella Sistina gli strumenti di cui si diceva, ora c’è la scomunica latae sententiae, che scatta cioè automatica senza bisogno di notificarla, già prevista da prima per tutto il personale tenuto a prestare il giuramento di cui sopra, nel caso venga meno agli obblighi solennemente assunti. E contrariamente a quanto verrebbe spontaneo pensare, la pena per un cardinale che violi in qualsiasi modo il segreto sullo svolgimento dell’elezione del Papa, anche ad elezione avvenuta, non è altrettanto severa. La Costituzione citata, ai punti 59-60, si limita ad appellarsi alla coscienza dei porporati, e niente più.
Fatto sta che di tutti i recenti conclavi esistono ricostruzioni più o meno dettagliate e attendibili su candidati votati, voti ottenuti e loro andamento fino alla fumata bianca. E le relative fonti sono state con tutta probabilità “interne” alla Cappella Sistina. Trattasi di materia che abbisognerebbe di ben altro spazio per essere indagata, ma per limitarci al conclave del 2005, è il vaticanista Lucio Brunelli ad averne fornito la cronaca che ha avuto più circolazione, nonostante perplessità sollevate da più parti attorno alla credibilità. Pure prendendola col beneficio del dubbio, da essa si è appreso che fu Bergoglio di Buenos Aires il principale “competitor” di Joseph Ratzinger, col “punteggio” nei primi tre scrutini di 10-47, 35-65 e 40-72, con l’argentino così sopra la soglia cruciale di un terzo dei voti. Situazione, questa, che molti paventano come causa di potenziali e imbarazzanti “stalli” nell’elezione di un Papa: una compatta minoranza che fa blocco su un nome e impedisce, fin quando desidera, l’elezione di chiunque altro coi necessari due terzi dei voti. Ipotesi che quella volta si dissolse nel giro di poche ore, fino all’84-26 che chiuse, allo scrutinio successivo, la partita.
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