giovedì, marzo 07, 2013
Nel cammino quaresimale di Lpl sul Padre Nostro, ci soffermiamo oggi, grazie alle parole di P. Giuseppe Piemontese, sulla frase “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”

Quando piove, piove per tutti, ma non per tutti allo stesso modo: perché c’è chi può affrontare la bufera sicuro, protetto da solide mura, e chi invece resta esposto alle intemperie, potendo solo contare sulla clemenza del tempo e sull’aiuto dall’Alto. Così pure guerre e tempi di crisi, eventi certo calamitosi, non sempre producono gli stessi frutti, perché dalle une e dagli altri alcuni (molti) ne restano schiacciati fino a perder anche il bene più prezioso che è la vita, mentre altri (pochi) ne approfittano per i loro turpi guadagni, lucrati quasi sempre a danno di altri. È così che l’attuale, difficile fase economica che tutto il nord del mondo sta attraversando (poiché, se ne rendano conto o meno, rischiano di rimanervi impantanati anche quei paesi più forti che credono di esserne fuori), ha finito per allargare ancor più la forbice tra ricchi e poveri, concentrando la ricchezza in un numero sempre più esiguo di mani e aumentando a dismisura il numero dei nuovi poveri, con tanti cinquantenni rimasti senza lavoro e senza troppa speranza di poterne trovare un altro.

In tale contesto, la quarta domanda della preghiera del Signore, Dacci oggi il nostro pane quotidiano, si carica di senso nuovo e di nuova drammaticità – inaspettata fino a pochi anni fa – poiché sono in molti, ormai, a dubitare di poter portare a casa il pane necessario per la famiglia. È possibile che molti finiscano per vivere tale assillo in modo solo terreno, concentrandosi unicamente sui problemi materiali fino a non preoccuparsi di altro (ma la situazione – da questo punto di vista – non era migliore negli anni dell’abbondanza), ma è possibile – e me lo auguro – pure il contrario, che le difficoltà del momento presente cioè spingano a puntare sull’essenziale, aiutandoci così a ritrovare Colui che Chiara d’Assisi definì come l’Unico necessario (cf. II Lettera ad Agnese di Boemia, v. 10, in Fonti Francescane, num. 2874).

Può aiutarci, in questa direzione, la riflessione di Francesco, nella cui meditazione il pane quotidiano diventa “il tuo [cioè del Padre, al quale Francesco si rivolge] Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, dà a noi oggi, in memoria e comprensione e venerazione dell’amore che egli ebbe per noi e di tutto quello che per noi disse, fece e patì” (Orazione sul Padre Nostro, v. 6, in Fonti Francescane, num. 271).

Si, il Signore Gesù è il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,51), che ci ha amati di un amore infinito fino a dare la sua vita per noi (Gal 2,20). “L’altissimo Padre celeste, per mezzo del santo suo angelo Gabriele, annunciò questo Verbo del Padre, così degno, così santo e glorioso, nel grembo della santa e gloriosa Vergine Maria, e dal grembo di lei ricevette la vera carne della nostra umanità e fragilità. Lui, che era ricco sopra ogni altra cosa, volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima Vergine, sua madre, la povertà” (Lettera ai fedeli II, vv. 4-5, in Fonti Francescane, num. 181-182). Lui, dice ancora Francesco, “fu povero e ospite, e visse di elemosine lui e la beata Vergine e i suoi discepoli” (Regola non bollata IX,5, in Fonti Francescane, num. 31).

Il Cristo, dunque, si è fatto uno di noi, fino ad aver fame, tanto che il demonio proprio allora lo tentò chiedendogli di trasformare in pane le pietre (Mt 4,1-3); fino a chiedere il pane di porta in porta in porta, afferma arditamente Francesco, tuttavia non da solo, bensì in una nutrita compagnia di autori succedutisi prima e dopo di lui. Eppure, benché questo sia necessario, non si vive solo di pane, perché l’uomo è un essere bisognoso anzitutto di amore, di essere amato e di amare. È, in definitiva, bisognoso di Dio, che è Amore (1Gv 4,10).

Per questo, nutrire “memoria e comprensione e venerazione dell’amore che egli ebbe per noi e di tutto quello che per noi disse, fece e patì” vuol dire nutrire l’uomo in profondità, dandogli l’unico cibo davvero essenziale. Beati noi, perciò, se saremo tanto intelligenti da ricercare anzitutto questo pane e se saremo capaci, proprio in virtù di quell’Amore ci ha salvati, di spezzare anche l’altro pane, quello che sostenta il corpo e che ci è dato per crescere nell’amore. Perché non è giusto – né davanti a Dio né davanti agli uomini – che alcuni (pochi) possano vivere nell’abbondanza e altri (molti) siano costretti a sfamarsi delle briciole che cadono dalla tavola dei padroni (Mt 15,27).

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