Storie di pazzia e tranelli messi in scena dai “matti d’onore”, mafiosi che per farsi ridurre la pena e sfuggire al carcere duro non hanno esitato a fingersi pazzi
di Paola Bisconti
Da Provenzano che inscena maldestramente un suicidio, a Riina che chiede una perizia psichiatrica, fino ai ragazzi della Banda della Magliana che sostenevano di parlare con i gatti e con i pesci o ancora chi dichiarava di sussurrare ai muli, avere attacchi di panico, soffrire di anoressia, sentire delle voci, vedere ombre sul muro, credere che le mani si potessero allungare, dire di essere Napoleone e pretendere di riavere il proprio esercito, scrivere lettere insensate ai parenti, distribuire santini ai carabinieri e urlare di essere stati unti dal Signore: sono solo un campionario delle finte pazzie messe in atto dai criminali, che si appellano spesso alla loro presunta incapacità di intendere e di volere per provare a sottrarsi a dure condanne.
Quando le sbarre del carcere sembrano una gabbia dalla quale è impossibile salvarsi, allora i criminali non esitano a fingersi psicopatici, nevrotici, schizofrenici, depressi, invalidi, paraplegici, cardiopatici. “Mafia da legare. Pazzi sanguinari, matti per convenienza, finte perizie, vere malattie: come Cosa Nostra usa la follia” è il primo libro che affronta quella che gli esperti definiscono “l’euristica della disponibilità”, una scorciatoia mentale garantita dall’entourage di medici, psicologi, criminologi, periti, sanitari, consulenti, che spesso hanno persino consigliato quali sintomi avrebbero dovuto dichiarare i loro pazienti, ricorrendo alle patologie più originali. Il testo edito da Sperling&Kupfer e scritto dallo psichiatra Corrado De Rosa e dalla giornalista Laura Galesi, con la prefazione curata da Pietro Grasso, neo-presidente della Camera, fa luce su un espediente tipico del mondo mafioso sin dagli anni ’70, e da allora sono stati in molti a ricorrere a questo tipo di sotterfugio.
Emblematico il caso del diciannovenne colto in flagrante, con la pistola ancora fumante, che nel momento dell’arresto ha iniziato a piangere dicendo “Voglio la mamma!”. Ma la scorciatoia della pazzia, nonostante abbia consentito a molti picciotti di farsi trasferire nei manicomi e ritornare rapidamente in libertà, non è ben vista dai mammasantissima siciliani, che considerano lo stratagemma una perdita di dignità e dei requisiti del comando. Sta di fatto che i tribunali italiani sono diventati dei veri e proprio teatri dove i mafiosi inscenano performance da premi Oscar, ispirandosi alle pellicole “Terapia e pallottole” e “I Soprano”, dove è frequente l’immagine del boss che ricorre all’aiuto di uno psicologo per farsi trasferire nelle cliniche psichiatriche, dove vive come se stesse in un albergo di lusso, consumano ricche prelibatezze e brindando alla follia!
di Paola Bisconti
Da Provenzano che inscena maldestramente un suicidio, a Riina che chiede una perizia psichiatrica, fino ai ragazzi della Banda della Magliana che sostenevano di parlare con i gatti e con i pesci o ancora chi dichiarava di sussurrare ai muli, avere attacchi di panico, soffrire di anoressia, sentire delle voci, vedere ombre sul muro, credere che le mani si potessero allungare, dire di essere Napoleone e pretendere di riavere il proprio esercito, scrivere lettere insensate ai parenti, distribuire santini ai carabinieri e urlare di essere stati unti dal Signore: sono solo un campionario delle finte pazzie messe in atto dai criminali, che si appellano spesso alla loro presunta incapacità di intendere e di volere per provare a sottrarsi a dure condanne.
Quando le sbarre del carcere sembrano una gabbia dalla quale è impossibile salvarsi, allora i criminali non esitano a fingersi psicopatici, nevrotici, schizofrenici, depressi, invalidi, paraplegici, cardiopatici. “Mafia da legare. Pazzi sanguinari, matti per convenienza, finte perizie, vere malattie: come Cosa Nostra usa la follia” è il primo libro che affronta quella che gli esperti definiscono “l’euristica della disponibilità”, una scorciatoia mentale garantita dall’entourage di medici, psicologi, criminologi, periti, sanitari, consulenti, che spesso hanno persino consigliato quali sintomi avrebbero dovuto dichiarare i loro pazienti, ricorrendo alle patologie più originali. Il testo edito da Sperling&Kupfer e scritto dallo psichiatra Corrado De Rosa e dalla giornalista Laura Galesi, con la prefazione curata da Pietro Grasso, neo-presidente della Camera, fa luce su un espediente tipico del mondo mafioso sin dagli anni ’70, e da allora sono stati in molti a ricorrere a questo tipo di sotterfugio.
Emblematico il caso del diciannovenne colto in flagrante, con la pistola ancora fumante, che nel momento dell’arresto ha iniziato a piangere dicendo “Voglio la mamma!”. Ma la scorciatoia della pazzia, nonostante abbia consentito a molti picciotti di farsi trasferire nei manicomi e ritornare rapidamente in libertà, non è ben vista dai mammasantissima siciliani, che considerano lo stratagemma una perdita di dignità e dei requisiti del comando. Sta di fatto che i tribunali italiani sono diventati dei veri e proprio teatri dove i mafiosi inscenano performance da premi Oscar, ispirandosi alle pellicole “Terapia e pallottole” e “I Soprano”, dove è frequente l’immagine del boss che ricorre all’aiuto di uno psicologo per farsi trasferire nelle cliniche psichiatriche, dove vive come se stesse in un albergo di lusso, consumano ricche prelibatezze e brindando alla follia!
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