Violenze settarie, aspirazioni non riconosciute, instabilità, crisi economica e corruzione: a dieci anni dall’invasione delle truppe americane in Iraq si respira un sentimento di nostalgia nei confronti del passato e della figura di Saddam Hussein.
Misna - Sono concordi nell’osservarlo diversi giornali iracheni che – in occasione dell’anniversario che ricorre il 20 marzo – pubblicano analisi e resoconti sugli ultimi dieci anni di storia del paese. “Lo rimpiangiamo eccome. Tutto il sangue versato e l’Iraq non ha fatto alcun passo avanti” osserva un venditore di Tikrit, città natale dell’ex raìs intervistato per il Middle East Online da Salam Faraj.“A causa dei ritardi nell’opera di ricostruzione, sono molti gli iracheni e non solo a Tikrit – sottolinea il giornalista – che vivono una sensazione di frustrazione, nel fare i conti con il carovita, l’insicurezza e l’alto tasso di disoccupazione”.
A preoccupare gli iracheni è anche il timore di violenze settarie, in aumento dopo la caduta dell’ex dittatore. “Prima – prosegue il venditore ambulante – non esistevano sunniti o sciiti, ma adesso è la prima cosa che ci si chiede”. A sette dall’esecuzione di Saddam, l’Iraq teme la sorte dei paesi della ex Jugoslavia, frantumatasi dopo Tito, divisa tra etnie e tribù, e con un governo – quello di Nuri al Maliki – accusato di dispotismo e repressione.
Responsabile di aver trascinato l’Iraq in guerre sanguinose, dell’uccisione di migliaia di curdi nella campagna ‘Anfal’ e di 100.000 persone morte nelle proteste esplose dopo la prima Guerra del Golfo, la figura di Saddam ha subito una progressiva e costante rivalutazione nel paese mediorientale. Spesso a fronte dei timori per un contagio della guerra civile siriana e i continui attacchi terroristici, si cita il suo ruolo di “stabilizzatore” e il fatto che, nonostante l’embargo occidentale, il suo governo sia riuscito a garantire a tutti elettricità e un programma di distribuzione dei beni di consumo primari.
Ad alimentare la rabbia – osserva Faraj – il fatto che la maggior parte della popolazione oggi sia costretta ad acquistare generatori di elettricità, e che l’Iraq sia il quinto paese più corrotto al mondo, il primo in Medio Oriente; secondo il Corruption Perceptions Index, l’80% del denaro gestito dalla Banca Centrale ‘scompare’ in operazioni non ufficiali.
Misna - Sono concordi nell’osservarlo diversi giornali iracheni che – in occasione dell’anniversario che ricorre il 20 marzo – pubblicano analisi e resoconti sugli ultimi dieci anni di storia del paese. “Lo rimpiangiamo eccome. Tutto il sangue versato e l’Iraq non ha fatto alcun passo avanti” osserva un venditore di Tikrit, città natale dell’ex raìs intervistato per il Middle East Online da Salam Faraj.“A causa dei ritardi nell’opera di ricostruzione, sono molti gli iracheni e non solo a Tikrit – sottolinea il giornalista – che vivono una sensazione di frustrazione, nel fare i conti con il carovita, l’insicurezza e l’alto tasso di disoccupazione”.
A preoccupare gli iracheni è anche il timore di violenze settarie, in aumento dopo la caduta dell’ex dittatore. “Prima – prosegue il venditore ambulante – non esistevano sunniti o sciiti, ma adesso è la prima cosa che ci si chiede”. A sette dall’esecuzione di Saddam, l’Iraq teme la sorte dei paesi della ex Jugoslavia, frantumatasi dopo Tito, divisa tra etnie e tribù, e con un governo – quello di Nuri al Maliki – accusato di dispotismo e repressione.
Responsabile di aver trascinato l’Iraq in guerre sanguinose, dell’uccisione di migliaia di curdi nella campagna ‘Anfal’ e di 100.000 persone morte nelle proteste esplose dopo la prima Guerra del Golfo, la figura di Saddam ha subito una progressiva e costante rivalutazione nel paese mediorientale. Spesso a fronte dei timori per un contagio della guerra civile siriana e i continui attacchi terroristici, si cita il suo ruolo di “stabilizzatore” e il fatto che, nonostante l’embargo occidentale, il suo governo sia riuscito a garantire a tutti elettricità e un programma di distribuzione dei beni di consumo primari.
Ad alimentare la rabbia – osserva Faraj – il fatto che la maggior parte della popolazione oggi sia costretta ad acquistare generatori di elettricità, e che l’Iraq sia il quinto paese più corrotto al mondo, il primo in Medio Oriente; secondo il Corruption Perceptions Index, l’80% del denaro gestito dalla Banca Centrale ‘scompare’ in operazioni non ufficiali.
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