La riflessione sulle parole del Padre Nostro continua con il contributo di Franco Vaccari, Presidente di Rondine Cittadella della Pace
“Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”: soffermandomi e riflettendo su queste poche parole, avverto l’importanza e l’urgenza di una considerazione su un versetto del Padre Nostro, quanto mai complesso e profondo. Perché sono solo poche parole, ma se lette con la testa e con il cuore, ci appariranno di una forza tale da spingerci all’impegno e al perdono, due delle principali fonti di Misericordia. La prima caratteristica che salta ai nostri occhi, concentrandoci solamente su questo periodo, è la divisione in due della frase; sullo sfondo abbiamo due parti del discorso: “Rimetti a noi i nostri debiti” e “Noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Due parti, correlate da una congiunzione qual è ‘come’. La prima domanda, fondamentale, che mi sono posto è se queste siano due frasi la prima consequenziale all’altra. Il primo periodo rappresenta un’invocazione del credente che attraverso la preghiera del Padre Nostro si rivolge al padre chiedendogli il perdono. Il perdono è il cibo fondamentale della vita e non solo di quella spirituale, ma anche della vita psichica, quindi della nostra esistenza sulla terra. Un’invocazione di profonda bellezza, perché l’uomo che si sente perdonato è affrancato dal senso di colpa, dall’oppressione ed è rilanciato verso la vita stessa.
Questa prima parte si occupa del nostro personale rapporto con Dio. A differenza della seconda parte, invece, che recita “Come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. In questo caso, l’interpretazione diventa di più difficile fattura. Il Vangelo di Luca, ad esempio, usa il “perché”, anziché “come noi li rimettiamo…”. E solamente questa semplice differenza cambia tutta quanta la prospettiva del discorso. Di certo la seconda parte del versetto sposta l’attenzione dal nostro personale rapporto con Dio a quello che intercorre fra noi uomini. Il focus, il luogo del ragionamento non è più ‘io e Dio’, ma ‘io e gli altri’. Se la prima parte rappresenta un’invocazione, mi sento di dire e di riconoscere che questa seconda parte può rappresentare solamente un anelito, un forte desiderio, un’aspirazione. Ogni volta che recitiamo il Padre Nostro, una delle cose più belle che accadono quando lo facciamo è che ci impegniamo a perdonarci reciprocamente. E’ un po’ come se ogni volta sottoscrivessimo e vincolassimo noi stessi alla continua creazione di un habitat umano dove il perdono sia possibile. Recitare quelle parole, significa provare a rifiutare di punire, di castigare, condannare, accanirsi, infierire, vendicare. Attenendoci alla sola azione del perdonare.
La seconda domanda che mi viene in mente, a questo punto della lettura, è quanto e se quel “come” sia come a dire che c’è uguaglianza fra noi e Dio. Dobbiamo stare attenti: ho sempre pensato che quella comparazione non significasse “Siccome tu lo fai con noi, noi lo faremo con gli altri”. L’uguaglianza non è possibile, perché i due soggetti della frase, Dio e noi uomini, messi in rapporto sono totalmente sproporzionati. Una cosa è il soggetto del perdono che è Dio, e un’altra è l’oggetto, disgraziato, del perdono, che sono io. Che siamo noi uomini. Lui è la personificazione del perdono infinito, meraviglioso, traboccante. Solamente percepire di essere perdonati da Lui per noi rappresenta la vera trasformazione della vita. Io, molto più semplicemente, faccio i miei sforzi per perdonare. Io non posso fare altro che provarci.
Rimettendo insieme questi due ragionamenti, potremmo sintetizzare così il significato intrinseco del versetto: io, la mia vita, è tesa all’impegno costante nel provare a perdonare, ma la misura del perdono di Dio è incommensurabile alla mia. Una misura che non può essere neanche messa a confronto.
Un’interpretazione diversa ci farebbe correre il rischio di concederci una distorsione di questa parte del Padre Nostro, quale potrebbe essere: se io do il perdono ai miei fratelli, allora Tu perdonerai anche me. E non è così. Perché Dio mi ha perdonato quando ero peccatore, non quando ero un perdonatore. Il perdono di Dio è gratuito da sempre, ed è in ragione del perdono che ho ricevuto che divento un uomo perdonato e quindi capace di perdonare. Quello che posso mettere di fronte a Dio è il mio poco, il mio niente, è l’impegno a provarci. Ma nulla più di questo.
All’inizio dell’articolo scrivevo che questo versetto rappresenta una delle nostre principali fonti di Misericordia. Lo dicevo perché leggendolo ci libera e lo fa in due sensi: perché ci ricolloca nel rapporto con Dio, che è enormemente ricco di misericordia, e quindi non è il mio sforzo, non il mio merito, non il mio valore, ma la sua bontà che mi danno la libertà e la Misericordia. E anche perché ci affranca dal moralismo. Un moralismo che potrebbe indurci a pensare cose tipo: “Potrò presentarmi di fronte a Dio solamente dopo che sarò stato buono e avrò perdonato gli altri, come lui fa con me”. In questa maniera, probabilmente, non ci presenteremo mai al Suo cospetto.
A riguardo e per concludere questo discorso sul versetto “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, mi viene in mente una frase del Cardinal Martini, che è bellissima e completa il ragionamento appena concluso, sintetizzandolo solamente come un grande uomo sa e può fare: “Perché non vi avvicinate alla Comunione? L’Eucarestia non è il premio per i buoni, ma il pane per i deboli”. Come a dire… credito ai debitori.
“Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”: soffermandomi e riflettendo su queste poche parole, avverto l’importanza e l’urgenza di una considerazione su un versetto del Padre Nostro, quanto mai complesso e profondo. Perché sono solo poche parole, ma se lette con la testa e con il cuore, ci appariranno di una forza tale da spingerci all’impegno e al perdono, due delle principali fonti di Misericordia. La prima caratteristica che salta ai nostri occhi, concentrandoci solamente su questo periodo, è la divisione in due della frase; sullo sfondo abbiamo due parti del discorso: “Rimetti a noi i nostri debiti” e “Noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Due parti, correlate da una congiunzione qual è ‘come’. La prima domanda, fondamentale, che mi sono posto è se queste siano due frasi la prima consequenziale all’altra. Il primo periodo rappresenta un’invocazione del credente che attraverso la preghiera del Padre Nostro si rivolge al padre chiedendogli il perdono. Il perdono è il cibo fondamentale della vita e non solo di quella spirituale, ma anche della vita psichica, quindi della nostra esistenza sulla terra. Un’invocazione di profonda bellezza, perché l’uomo che si sente perdonato è affrancato dal senso di colpa, dall’oppressione ed è rilanciato verso la vita stessa.
Questa prima parte si occupa del nostro personale rapporto con Dio. A differenza della seconda parte, invece, che recita “Come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. In questo caso, l’interpretazione diventa di più difficile fattura. Il Vangelo di Luca, ad esempio, usa il “perché”, anziché “come noi li rimettiamo…”. E solamente questa semplice differenza cambia tutta quanta la prospettiva del discorso. Di certo la seconda parte del versetto sposta l’attenzione dal nostro personale rapporto con Dio a quello che intercorre fra noi uomini. Il focus, il luogo del ragionamento non è più ‘io e Dio’, ma ‘io e gli altri’. Se la prima parte rappresenta un’invocazione, mi sento di dire e di riconoscere che questa seconda parte può rappresentare solamente un anelito, un forte desiderio, un’aspirazione. Ogni volta che recitiamo il Padre Nostro, una delle cose più belle che accadono quando lo facciamo è che ci impegniamo a perdonarci reciprocamente. E’ un po’ come se ogni volta sottoscrivessimo e vincolassimo noi stessi alla continua creazione di un habitat umano dove il perdono sia possibile. Recitare quelle parole, significa provare a rifiutare di punire, di castigare, condannare, accanirsi, infierire, vendicare. Attenendoci alla sola azione del perdonare.
La seconda domanda che mi viene in mente, a questo punto della lettura, è quanto e se quel “come” sia come a dire che c’è uguaglianza fra noi e Dio. Dobbiamo stare attenti: ho sempre pensato che quella comparazione non significasse “Siccome tu lo fai con noi, noi lo faremo con gli altri”. L’uguaglianza non è possibile, perché i due soggetti della frase, Dio e noi uomini, messi in rapporto sono totalmente sproporzionati. Una cosa è il soggetto del perdono che è Dio, e un’altra è l’oggetto, disgraziato, del perdono, che sono io. Che siamo noi uomini. Lui è la personificazione del perdono infinito, meraviglioso, traboccante. Solamente percepire di essere perdonati da Lui per noi rappresenta la vera trasformazione della vita. Io, molto più semplicemente, faccio i miei sforzi per perdonare. Io non posso fare altro che provarci.
Rimettendo insieme questi due ragionamenti, potremmo sintetizzare così il significato intrinseco del versetto: io, la mia vita, è tesa all’impegno costante nel provare a perdonare, ma la misura del perdono di Dio è incommensurabile alla mia. Una misura che non può essere neanche messa a confronto.
Un’interpretazione diversa ci farebbe correre il rischio di concederci una distorsione di questa parte del Padre Nostro, quale potrebbe essere: se io do il perdono ai miei fratelli, allora Tu perdonerai anche me. E non è così. Perché Dio mi ha perdonato quando ero peccatore, non quando ero un perdonatore. Il perdono di Dio è gratuito da sempre, ed è in ragione del perdono che ho ricevuto che divento un uomo perdonato e quindi capace di perdonare. Quello che posso mettere di fronte a Dio è il mio poco, il mio niente, è l’impegno a provarci. Ma nulla più di questo.
All’inizio dell’articolo scrivevo che questo versetto rappresenta una delle nostre principali fonti di Misericordia. Lo dicevo perché leggendolo ci libera e lo fa in due sensi: perché ci ricolloca nel rapporto con Dio, che è enormemente ricco di misericordia, e quindi non è il mio sforzo, non il mio merito, non il mio valore, ma la sua bontà che mi danno la libertà e la Misericordia. E anche perché ci affranca dal moralismo. Un moralismo che potrebbe indurci a pensare cose tipo: “Potrò presentarmi di fronte a Dio solamente dopo che sarò stato buono e avrò perdonato gli altri, come lui fa con me”. In questa maniera, probabilmente, non ci presenteremo mai al Suo cospetto.
A riguardo e per concludere questo discorso sul versetto “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, mi viene in mente una frase del Cardinal Martini, che è bellissima e completa il ragionamento appena concluso, sintetizzandolo solamente come un grande uomo sa e può fare: “Perché non vi avvicinate alla Comunione? L’Eucarestia non è il premio per i buoni, ma il pane per i deboli”. Come a dire… credito ai debitori.
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