giovedì, marzo 28, 2013
Concludiamo il ciclo di riflessioni quaresimali sul Padre Nostro, proposte in occasione dell’Anno della Fede, con il contributo di fra Paolo Martinelli, Preside dell’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum

di fra Paolo Martinelli, OFMCap

Francesco d’Assisi commenta l’ultima domanda contenuta nella preghiera dei figli di Dio in questo modo: liberaci dal male: passato, presente e futuro (FF 275). Con questo l’Assisate esprime, insieme alla liturgia della Chiesa, una profonda consapevolezza della condizione dell’uomo, ferito dal peccato. Il male – sembra dirci il nostro Santo – non passa con il tempo. Per questo egli chiede di essere liberato dal male che segna la nostra storia, confonde il nostro presente e inibisce il futuro. La vera liberazione appare così come come qualche cosa che per essere reale deve attraversare tutte le dimensioni del tempo. Ma l’invocazione del Padre Nostro implica anche un altro nesso decisivo: il rapporto tra il male e la libertà. Il confronto tra loro è drammatico, tanto che l’invocazione insegnataci da Gesù pone un grido: liberaci dal male. Il che comporta che tra libertà e male ci sia un rapporto di radicale sproporzione. La libertà non si può liberare da sola. Da qui il senso della invocazione.


Il male e la libertà - Soffermiamoci un istante sul male; esso possiede un carattere misterioso, inafferrabile-imponderabile; in modo diverso gli uomini lo sperimentano nella propria esistenza. Il suo carattere misterioso si manifesta appena cerchiamo di definirne i contorni. Possiamo parlare di male morale del quale facciamo esperienza, perché subìto o perché da noi inferto. Si può fare del male a se stessi; fare del male a una persona in una relazione specifica: tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra amici o tra estranei, tra fratelli e tra confratelli. Ma c’è anche il male che prende il volto del potere anonimo e della violenza impersonale, dall’effetto branco, fino alla violenza programmata ed eseguita di una guerra. E’ il male che fa male, che fa star male, che non passa e che segna per sempre corpi e anime. E’ quel male che è più della somma del male prodotto dai singoli. E’ un male che sfugge di mano agli stessi che lo provocano.

Tutto questo si intreccia con un altro tipo di male. E’ il male che si può sperimentare nel nostro essere impotenti di fronte ad una catastrofe naturale. E’ evidente l’imbarazzo dell’uomo contemporaneo di fronte ad un evento che sfugge al proprio controllo. Dare a tutti i costi la colpa a qualcuno è un modo, perlopiù scomposto, per cercare di riprendere in mano una situazione fuggita di controllo. L’uomo non possiede il fondamento del proprio esserci. Infine, più semplicemente potremmo considerare anche quel male che si sperimenta nella vita per il fatto stesso che ci si ammala, si invecchia e si muore. Non solo ci spaventa il male in genere che ferisce la nostra vita fisica e morale, ma anche il fatto che la moglie, il marito, il figlio, l’amico, il padre e la madre che amiamo siano colpiti e muoiano senza che si possa impedire il loro dolore e la loro fine.

E la libertà? La relazione tra male e libertà assume configurazioni assai diverse: da una parte il male in senso morale richiama la responsabilità dell’uomo come libertà. L’uomo con la propria libertà può fare il male, ma paradossalmente non si è padroni ultimamente del proprio peccato, piuttosto se ne diviene schiavi: chi fa peccato è schiavo del peccato, afferma Gesù nel vangelo. Dall’altra parte, invece, il male al di fuori di una vera libertà personale e responsabile diventa in qualche modo “fato”, destino ineluttabile; come esito caotico del “volere degli dei” che scavalca totalmente l’autodeterminazione personale, cui ci rimanda la tragedia greca. Nell’attuale fase di contestazione della tradizione cristiana si riduce indubbiamente il tema del peccato, destituendolo di consistenza e riducendolo a “errore” o “patologia”, più o meno rimediabile o evitabile, ipotizzando sistemi futuri, a controllo tecnico scientifico, in cui non si potrà più sbagliare… Da qui la paradossale tensione all’abolizione della stessa libertà.

Qui sta il paradosso del discorso che vorremmo affrontare: che proprio la tematizzazione del male può ricondurci alla serietà del dramma antropologico dell’uomo contemporaneo. E’ interessante che questa prospettiva non si presenti di per sé oggi in chiave confessionale ma veda impegnati autori provenienti da ambiti fuori da ogni sospetto come ad esempio Jacques Derrida, Jean Nabert, e prima ancora Luigi Pareyson. Tuttavia, la nostra considerazione non si configura sugli autori richiamati, ma, considerando la loro provocazione, tematizziamo il problema del male come elemento chiave che provoca l’uomo a riprendere il tema della libertà. Questo costituisce come il grande alveo in cui anche l’uomo del terzo millennio può tornare a stare di fronte all’evento della rivelazione cristiana, come evento di misericordia, di perdono e di libertà, mostrando così in modo inedito – eppure così antico – la sua insuperabile significatività e convenienza per ogni persona che vive in questo mondo, che ama, spera e desidera il bene per sé e per gli altri.


Il Mistero Pasquale e la liberazione della libertà - Cosa dice infatti il cristianesimo a questo proposito? O meglio: cosa annuncia la Chiesa nel mistero pasquale che celebriamo in questi giorni? Solo dove Dio si rivela definitivamente, anche l’uomo è rivelato compiutamente a se stesso, e disvelato quel male che per sua natura tende a nascondere la sua radice. Dio nel mistero pasquale condanna tale mistero di iniquità senza riserve e per sempre; tuttavia rendendolo misteriosamente utile alla manifestazione della divina misericordia. Proprio così infatti si era espresso Giovanni Paolo II nella sua enciclica Dives in Misericordia: “La misericordia si manifesta nel suo aspetto vero e proprio quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme di male esistenti nel mondo e nell'uomo” (n. 6).

Qui possiamo trovare il senso alla invocazione del Padre nostro: liberaci dal male, ossia al perché l’uomo non può guarirsi da solo questa ferita della sua libertà. Pelagio sbaglia, prendendo il pelagianesimo come simbolo di tutti quei tentativi ricorrenti nella storia che si limitano a raccomandare un po’ di buona volontà e qualche sforzo per rimediare alla propria condizione mortale. Ha assolutamente ragione Agostino nel rimproverargli l’assoluta essenzialità della grazia, e dunque dell’intervento gratuito da parte di Dio, senza del quale l’uomo non può raggiungere il suo destino.

Qui andiamo a toccare più profondamente il potere del male, di cui l’uomo partecipa con la sua libertà ferita. L’osservazione che sto per fare è certamente della teologia della libertà propria del cristianesimo, ma è in qualche modo intuibile nella fenomenologia della libertà e anche almeno in parte dall’analisi esistenzialista. Mi riferisco al carattere assoluto di cui anche la libertà creaturale e finita dell’uomo fa in qualche modo esperienza. La libertà dell’uomo si accorge di avere in sé un potere senza il quale non potrebbe muoversi a partire da un suo centro intimo. E’ soprattutto nel fenomeno della decisione che l’uomo si accorge di avere questa assolutezza che in realtà gli è stata assegnata da Dio. L’uomo per muovere la propria libertà deve attuare un potere che per sua natura è incondizionato, pur essendo storicamente sempre situato. Questo potere, dice von Balthasar, l’uomo non può averlo da se stesso, gli è dato da Dio. Il quale lo accompagna in questo movimento, quasi nascostamente. Nel momento in cui l’uomo afferra questo potere, invece di utilizzarlo secondo la sua natura per l’adesione al bene e per diventare lui stesso dono, ne diviene vittima, schiacciato e bloccato, sperimentando proprio il contrario di quella autonomia che si voleva affermare. Il potere della libertà è fatta per amare, poiché Dio è amore, ma se questo potere è afferrato per se stesso, esso blocca . Il potere insito nell’atto della libertà, se non è usato per amare, blocca l’autonomia: è la schiavitù del peccato. Il male non è onnipotente e tuttavia ha una potenza che l’uomo da solo non può vincere: la libertà ha bisogno di essere liberata per essere restituita a se stessa; altrimenti rischierà di vivere e ripetere sempre lo stesso copione; ogni progetto di autoredenzione finirà per reduplicare l’errore, rendendo la libertà ancora più fragile.

Può quanto abbiamo balbettato farci stare con maggiore consapevolezza di fronte al mistero del male comprendendo il dramma in cui è collocata la nostra libertà? E’ quanto mai interessante che anche la stessa rivelazione non fornisca spiegazioni ultime del male o del dolore. Quali spiegazioni di fonte al male innocente o a catastrofi che spazzano via città e civiltà? Certamente ci sono dei nessi con la libertà ferita e ferente dell’uomo, tuttavia il male appare più grande dell’atto umano che sembra averlo prodotto. Si deve dire che anche la stessa rivelazione diventa assai sobria quando si estende ai “principati e potestà”. Quasi a ricordarci che la rivelazione che ci è donata non permette curiosità intorno al mistero del male. Ci è rivelato sufficientemente per capire la drammaticità della condizione umana, per comprendere che il male non è un altro Dio e che riguarda l’uomo come libertà, e che tuttavia è necessaria una battaglia che ci vede coprotagonisti di Dio stesso; il Quale nella storia della salvezza si coinvolge direttamente in Cristo.

Arriviamo così a pronunciare l’unica parola possibile di fronte all’intreccio tra il mistero del male e la nostra libertà. Il male non passa con il tempo. All’uomo che pecca solo il perdono più ridare la libertà; solo la nuova creazione restituisce il creato a se stesso; solo il nuovo Adamo può compiere il primo. Se l’uomo non si può liberare da solo, e se nello stesso tempo l’intervento salvifico di Dio non può essere in alcun caso un intervento “magico” ed estrinseco, che salta la concreta libertà dell’uomo, allora solo una libertà pienamente compiuta ed umana, in totale comunione con Dio può essere in grado di assumere su di sé il male del mondo e di smascherare la menzogna del peccato, giudicarlo e condannarlo, per riabilitare l’umanità al suo destino di Amore e di felicità. Questa è l’opera di Cristo nella storia.

Eccoci dunque al paradosso finale: la cosa più terribile che l’uomo avrebbe potuto fare nella storia l’ha già fatta: uccidere l’innocente figlio di Dio, rifiutare il dono supremo del Figlio. Si può dire che ogni altro orrore della storia in un certo senso è già all’interno di quell’assurdo che è stato il rifiutare l’estremo amore di Dio, nel mettere a morte Gesù. Ma, contemporaneamente, la fede ci fa conoscere che la cosa più grande che Dio ha fatto per noi e per la nostra salvezza è propriamente il dono del suo figlio: il sì di Gesù al nostro no, in obbedienza al Padre, è il limite ultimo, invalicabile che la misericordia di Dio ha messo al mistero del male. La realtà più negativa per noi è diventato il luogo della insuperabile gloria di Dio. In tal modo tutta la storia dell’umanità è abbracciata nel sacrificio d’amore del Figlio di Dio, in cui tutta la Trinità si apre a noi e si fa conoscere come amore. Anche tutta la storia dell’universo è ricapitolata nel mistero pasquale, che appare così una vera “liturgia cosmica”.


Testimonianza della vittoria sul male: il perdono - Come il mistero del perdono rigenerante di Cristo ci raggiunge oggi nel presente della nostra vita? Attraverso innanzitutto la vita della Chiesa, il corpo di Cristo, il popolo sacerdotale di Dio, al quale si accede con il sacramento del Battesimo, che ci rende membra gli uni degli altri e figli di Dio; questo cresce con il dono dello Spirito Santo nella Cresima e la partecipazione al Sacramentum caritatis, l’Eucaristia in cui la nostra esistenza viene sempre più conformata a Cristo. Il sacramento della riconciliazione, poi, appare come il sacramento della liberazione dal male. L’invocazione finale del Padre Nostro la il suo luogo di esperienza nella confessione.

Ma dove si manifesta propriamente una vita redenta, una vita salvata, una libertà pienamente riuscita e riconciliata, dal punto di vista esistenziale? Il luogo dove si manifesta una libertà liberata dal male è la “testimonianza” di fronte all’altro, in modo particolare di fronte all’altro che rifiuta il messaggio dell’amore e la stessa testimonianza di Dio. Il testimone è memoria vivente di Cristo che perdona i suoi persecutori e riconcilia il mondo con Dio. Nel testimone e nel tragico rifiuto della testimonianza si confrontano ancora una volta il mistero del male e la libertà dell’uomo. Il male è ciò che continuamente minaccia la vita degli uomini con il non senso e con l’assurdo ammantato di idolatria. L’unica possibilità di riscatto sta nel fatto che il testimone coinvolga il suo accusatore e aguzzino nell’offerta che fa della sua vita per il bene. Qui il testimone prende il suo nome proprio: il martire, che muore per Cristo amando il suo persecutore e donandogli in anticipo il suo perdono, come atto supremo di libertà. Solo così l’assurdo è definitivamente vinto. Il perdono offerto all’omicida fa brillare nel tempo e nello spazio qualche cosa di assoluto, riscattando l’assurdo.

Dunque, in conclusione, preghiamo davvero con fede: Liberaci dal male, o Padre! Libera la nostra libertà! Rendi la nostra libertà da “servile” a “filiale”. La libertà perdonata diventerà così una libertà testimoniante. Questo ci ha insegnato san Francesco, e continuano ad insegnarci i santi, i testimoni della fede e i martiri.

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