venerdì, marzo 15, 2013
Nel nostro percorso quaresimale di riflessioni sul Padre Nostro, proponiamo qui la riflessione di p. Enzo Fortunato, Direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi

S’è parlato e si parla tanto di debiti, da quello pubblico a quelli privati, da averne quasi a noia, al punto che questo buco nero dell’economia finisce quasi per offrirci l’alibi per dimenticare altri debiti che abbiamo nei riguardi degli altri e - prima ancora - nei riguardi di Dio, rispetto al quale siamo tutti in rosso, sempre e comunque. Siamo in debito con Lui perché a Lui dobbiamo tutto, tanto che è morto per ridarci la vita, e invece finiamo per comportarci (in tanti, se non tutti) come se tutto ci fosse dovuto, anche da parte Sua. E siamo in debito, tante volte, con i fratelli, ai quali non diamo tutto l’amore che desidereremmo per noi, pur sapendo che il Maestro ci ha chiesto, senza riserve, di fare agli altri quanto vorremmo gli altri facessero a noi (Mt 7,12).

Per ridurre tale debito non c’è altro modo più efficace che perdonare di cuore e vivere una grande carità, “perché la carità copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4,8) e perché, dice Gesù, il Padre perdonerà le nostre colpe solo se noi perdoneremo agli uomini le loro, altrimenti neppure Lui perdonerà le nostre (Mt 6,14-15). Il resto son chiacchiere, e, certo, a chiacchiere siamo bravi tutti… È vero però che questa capacità di amare e perdonare non si improvvisa, ma cresce nella misura in cui siamo capaci di comprendere e sperimentare l’Amore che Dio ha per noi, la sua infinita capacità di perdono.

Da francescano, non posso non attingere all’insegnamento del mio santo fondatore, il quale – anche su questo punto – ha tanto da insegnarci. Egli, che in gioventù era stato nei peccati, scoprì l’amore misericordioso di Dio che lo spinse a fare misericordia con i lebbrosi: l’amaro si trasformò così, per lui, in dolcezza dell’anima e del corpo (cf. Testamento, vv. 1-3, in Fonti Francescane, num. 110). Sentendosi perdonato da Dio, egli scoprì allora “l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza” (Ef 3,19), ciò che lo spinse pure a insegnare agli altri l’arte del perdono. “Perdonate e vi sarà perdonato”, dovevano dire i frati nell’esortazione che potevano fare a tutti con la benedizione di Dio (cf. Regola non bollata, cap. 21, in Fonti Francescane, num. 55).

Nella lettera da lui scritta a un ministro (un superiore dei frati) rimasto anonimo, un testo che è stato giustamente definito come un “canto di misericordia”, Francesco chiese al suo interlocutore: “E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me servo suo e tuo, se farai questo, e cioè: che non ci sia mai alcun frate al mondo che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo chiede; e se non chiedesse misericordia, chiedi tu a lui se vuole misericordia. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attirarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia di tali fratelli” (vv. 9-11, in Fonti Francescane, num. 235).

Francesco chiedeva dunque al ministro di perdonare con tutta sincerità: il frate peccatore doveva leggere questo perdono nei suoi occhi (e si sa che con gli occhi si riesce a mentire molto più difficilmente che non con le parole). Per di più, se il frate peccatore non l’avesse fatto, il ministro stesso avrebbe dovuto chiedergli se voleva essere perdonato, amandolo ancor più per questo, perché solo in tal modo, forse, avrebbe potuto attirarlo al Signore. Il perdono, dunque, aveva come suo obiettivo ultimo quello di far scoprire al frate peccatore l’Amore di Dio. Anche per questo, nel Cantico di frate sole Francesco dice che Dio dev’essere lodato da tutti quelli che perdonano per il suo amore (cf. Fonti Francescane, num. 263).

Perdonare per essere perdonati dunque, poiché questa è l’unica occasione in cui siamo noi a dettare a Dio le condizioni: rimetti a noi i nostri debiti, come (= nella stessa misura in cui) noi li rimettiamo ai nostri debitori. La vendetta, perciò, non ci conviene!

Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa