La “sorpresa” Francesco alle prese con storia ed eredità delle GMG
di Paolo Fucili
“Un cristiano non può mai essere triste”, afferma papa Francesco. Sembrerebbe un’ovvietà, ma a ben vedere la realtà del cristianesimo oggi, almeno alle latitudini nostre, un’ovvietà non è affatto. Tutto fuorché gioia, sono infatti le sensazioni che emana lo stanco vissuto quotidiano di molte parrocchie, comunità, gruppi ecclesiali, dove non a caso di giovani non si vede neanche l’ombra. E Bergoglio con tutta probabilità lo sa bene, ma non rinuncia a parlare di gioia, quella che nasce “dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti!”, ha affermato con piglio deciso in una circostanza non indifferente, la domenica delle palme, celebrata dal 1986 anche come Giornata mondiale della Gioventù per volere dell’indimenticabile Karol Wojtyla. Queste, ad essere precisi, sono le GMG vere e proprie, variamente celebrate ogni anno in tutte le diocesi, non i grandi raduni convocati ogni due o tre anni in una città del mondo di volta in volta diversa. Ma tali sono numeri, esuberanza, straordinarietà dei secondi che fatalmente hanno messo in ombra le prime.
L’importante, ad ogni modo, è la gioia di cui da ultimo ha parlato coi giovani il Papa, ingrediente essenziale di un’irripetibile storia di amicizia, tra la gioventù e la Chiesa, nata da una geniale intuizione del beato Giovanni Paolo II, ad iniziare nel 1987 proprio da Buenos Aires, la città del successore Francesco. C’è infatti un sintomatico e preoccupante risvolto della ‘crisi’ cristiana della gioia, l’affievolirsi dello slancio evangelizzatore, che fiacca risorse e assottiglia numeri. La prossima GMG di Rio de Janeiro, in programma a fine luglio, si avvicina nel frattempo a grandi passi, e i tempi ormai stretti dell’organizzazione esigevano che la riserva fosse sciolta al più presto: il papa argentino ci sarà, ha annunciato lui stesso, per il suo probabile primo viaggio internazionale, destinazione Brasile e forse chissà se se approfitterà per una capatina nella madrepatria.
Per la preparazione ‘spirituale’ dell’appuntamento, invece, a novembre scorso il predecessore aveva scritto e diffuso un messaggio per la GMG numero 28 dell’ormai lunga serie, col pensiero già proiettato all’ombra del Corcovado. Per il papa ora emerito Benedetto XVI “non si è veri credenti senza evangelizzare. E l’annuncio del Vangelo non può che essere la conseguenza della gioia di avere incontrato Cristo”. Ratzinger, come noto, possiede in special modo un dono su tutti, di cui ha dato eccellenti prove in otto anni di pontificato, ed è quello della sintesi, che significa cogliere sempre, con cristallino rigore intellettuale l’essenziale di ogni questione. E la “questione” del cristianesimo, per un giovane, è la gioia, la felicità, detto altrimenti. Nei deserti spirituali di questo inizio di terzo millennio, non c’è altra aspirazione che spinga un giovane a concedere una chance a chi gli propone la buona novella del Vangelo. Non c’è tradizione, autorità, convenzione sociale che tenga. Per i disincantati giovani di oggi, quotidianamente subissati di messaggi, annunci, proposte, nessuno può esigere ascolto o rispetto se non in forza di ciò che è e che ha da dire.
Ma la gioventù è pure la stessa sotto ogni cielo e in ogni tempo, l’età in cui più forte pulsa nei cuori il desiderio di infinito, che solo in Dio trova pace. “Hai fatto il nostro cuore inquieto finché non riposi in Te”, diceva sant’Agostino. Per una lunga ed avventurosa esperienza di vita, Papa Wojtyla lo sapeva bene. Con lui le GMG son diventate quasi qualcosa di mitico, fino all’apoteosi di Tor Vergata 2000. Tutto, nella loro ideazione e realizzazione, sembrava studiato apposta per esaltare il magnetico carisma del papa polacco, ricordi al cui pensiero tremano i polsi a milioni di uomini e donne passati per quell’esperienza.
Poi venne Toronto 2002 e Colonia 2005, che vide per la prima volta, nei panni di protagonista, un papa che non fosse l’ideatore dell’evento stesso. L’esordio di Ratzinger, ad ogni modo, fugò da subito ogni timore che la sua personalità di schivo e pensoso intellettuale fosse non adatta a scaldare simili esigenti platee. Certo, Benedetto XVI ebbe l’ovvio buonsenso di non provare neppure a calarsi nei panni non suoi di chi infiamma un uditorio con un solo gesto o parola schietta e improvvisata. Colonia, Sydney e Madrid sono state le GMG dell’adorazione eucaristica silenziosa, della devota attenzione a linguaggi ed espressività della liturgia, delle impegnative catechesi attorno all’abc cristiano della fede e del credere. Ma anche così son cresciute ancora amicizia e fiducia tra il Papa e i giovani del mondo, persino in circostanze imprevedibili come la tempesta che investì la spianata di Cuatro Vientos a Madrid, nel 2013: Benedetto XVI, seppur fradicio di pioggia e infreddolito, non volle saperne di andarsene, conquistandosi definitivamente la benevolenza di tutti.
Ora l’appuntamento a Rio è per gli ultimi giorni di luglio. Prima GMG in Brasile, il più popoloso paese cattolico del globo, dove il vissuto quotidiano della fede, assicura chi sa, ha una spiccata colorazione di gioia ed entusiastico fervore, pure tra i mille problemi di un paese sospeso tra tumultuoso sviluppo e stridenti squilibri sociali. La curiosità attorno a Francesco alle prese con una GMG, c’è da scommetterlo, ora salirà a dismisura col passare delle settimane. E lo “scoppiettante” inizio di pontificato del successore di Pietro numero 265 lascia in questo senso buone sensazioni.
Papa Jorge Mario Bergoglio non ama troppo usi, formalismi o convenzioni fini a se stessi, o che per lo meno tali paiono all’evolversi della sensibilità comune. E questo già lo avvicina agli esigenti umori delle giovani generazioni. In neppure due settimane di pontificato ha assestato una picconata dietro l’altra all’austero ed ingessato immaginario collettivo del romano pontefice (ma già il predecessore Wojtyla, a dire il vero, aveva aperto strade importanti), conquistandosi ovunque simpatie. La semplicità “calda” e cordiale di gesti, atteggiamenti, parole ha regalato ai cronisti un’infinità di spunti notiziabili, tutti all’insegna della sorpresa. Il suo parlare è immediato e appassionato insieme. Se deve deplorare i mali provocati dalla sete di denaro, non esita a citare i proverbi della nonna, “il sudario non ha tasche”, ovviamente improvvisando rispetto a quanto riporta il testo preparati prima..
Altra cosa, rispetto a gesti o episodi come quelli citati, è il “magistero” pontificio della parola scritta e pronunciata attorno ai grandi temi della fede, della Chiesa, della dottrina cattolica in tema di vita, famiglia, politica, società, diritti umani. Due settimane scarse forniscono oggettivamente poche occasioni di approfondire a dovere un ampio spettro di argomenti. Tra questi, due in particolare, a proposito di giovani, a Rio si imporranno da sé. Il primo sono precarietà e insicurezza sul lavoro, frutto avvelenato di una congiuntura economica devastante, almeno per quanto riguarda l’Europa e l’Italia, sulle prospettive dei giovani di costruirsi un proprio futuro. Il secondo è il disorientamento indotto dalla cultura dominante che subdolamente svilisce scelte di vita affettive che richiedono il coraggio del “per sempre”.
Ci vuole coraggio, in tutto questo, anche per parlare di gioia e speranza, come Bergoglio ha fatto domenica. E’ l’eterno paradosso dell’annuncio cristiano, che sovverte ogni categoria umana di potere e successo. La folla che accoglie festante Gesù a Gerusalemme lo acclama re, ma gli onori che per lui si preparano sono una corona di spine, un bastone, la croce, è il commento di papa Francesco. Come fa allora un cristiano ad essere gioioso? “E’ nel dono di sé, nell’uscire da se stessi, che si ha la vera gioia”.
di Paolo Fucili
“Un cristiano non può mai essere triste”, afferma papa Francesco. Sembrerebbe un’ovvietà, ma a ben vedere la realtà del cristianesimo oggi, almeno alle latitudini nostre, un’ovvietà non è affatto. Tutto fuorché gioia, sono infatti le sensazioni che emana lo stanco vissuto quotidiano di molte parrocchie, comunità, gruppi ecclesiali, dove non a caso di giovani non si vede neanche l’ombra. E Bergoglio con tutta probabilità lo sa bene, ma non rinuncia a parlare di gioia, quella che nasce “dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti!”, ha affermato con piglio deciso in una circostanza non indifferente, la domenica delle palme, celebrata dal 1986 anche come Giornata mondiale della Gioventù per volere dell’indimenticabile Karol Wojtyla. Queste, ad essere precisi, sono le GMG vere e proprie, variamente celebrate ogni anno in tutte le diocesi, non i grandi raduni convocati ogni due o tre anni in una città del mondo di volta in volta diversa. Ma tali sono numeri, esuberanza, straordinarietà dei secondi che fatalmente hanno messo in ombra le prime.
L’importante, ad ogni modo, è la gioia di cui da ultimo ha parlato coi giovani il Papa, ingrediente essenziale di un’irripetibile storia di amicizia, tra la gioventù e la Chiesa, nata da una geniale intuizione del beato Giovanni Paolo II, ad iniziare nel 1987 proprio da Buenos Aires, la città del successore Francesco. C’è infatti un sintomatico e preoccupante risvolto della ‘crisi’ cristiana della gioia, l’affievolirsi dello slancio evangelizzatore, che fiacca risorse e assottiglia numeri. La prossima GMG di Rio de Janeiro, in programma a fine luglio, si avvicina nel frattempo a grandi passi, e i tempi ormai stretti dell’organizzazione esigevano che la riserva fosse sciolta al più presto: il papa argentino ci sarà, ha annunciato lui stesso, per il suo probabile primo viaggio internazionale, destinazione Brasile e forse chissà se se approfitterà per una capatina nella madrepatria.
Per la preparazione ‘spirituale’ dell’appuntamento, invece, a novembre scorso il predecessore aveva scritto e diffuso un messaggio per la GMG numero 28 dell’ormai lunga serie, col pensiero già proiettato all’ombra del Corcovado. Per il papa ora emerito Benedetto XVI “non si è veri credenti senza evangelizzare. E l’annuncio del Vangelo non può che essere la conseguenza della gioia di avere incontrato Cristo”. Ratzinger, come noto, possiede in special modo un dono su tutti, di cui ha dato eccellenti prove in otto anni di pontificato, ed è quello della sintesi, che significa cogliere sempre, con cristallino rigore intellettuale l’essenziale di ogni questione. E la “questione” del cristianesimo, per un giovane, è la gioia, la felicità, detto altrimenti. Nei deserti spirituali di questo inizio di terzo millennio, non c’è altra aspirazione che spinga un giovane a concedere una chance a chi gli propone la buona novella del Vangelo. Non c’è tradizione, autorità, convenzione sociale che tenga. Per i disincantati giovani di oggi, quotidianamente subissati di messaggi, annunci, proposte, nessuno può esigere ascolto o rispetto se non in forza di ciò che è e che ha da dire.
Ma la gioventù è pure la stessa sotto ogni cielo e in ogni tempo, l’età in cui più forte pulsa nei cuori il desiderio di infinito, che solo in Dio trova pace. “Hai fatto il nostro cuore inquieto finché non riposi in Te”, diceva sant’Agostino. Per una lunga ed avventurosa esperienza di vita, Papa Wojtyla lo sapeva bene. Con lui le GMG son diventate quasi qualcosa di mitico, fino all’apoteosi di Tor Vergata 2000. Tutto, nella loro ideazione e realizzazione, sembrava studiato apposta per esaltare il magnetico carisma del papa polacco, ricordi al cui pensiero tremano i polsi a milioni di uomini e donne passati per quell’esperienza.
Poi venne Toronto 2002 e Colonia 2005, che vide per la prima volta, nei panni di protagonista, un papa che non fosse l’ideatore dell’evento stesso. L’esordio di Ratzinger, ad ogni modo, fugò da subito ogni timore che la sua personalità di schivo e pensoso intellettuale fosse non adatta a scaldare simili esigenti platee. Certo, Benedetto XVI ebbe l’ovvio buonsenso di non provare neppure a calarsi nei panni non suoi di chi infiamma un uditorio con un solo gesto o parola schietta e improvvisata. Colonia, Sydney e Madrid sono state le GMG dell’adorazione eucaristica silenziosa, della devota attenzione a linguaggi ed espressività della liturgia, delle impegnative catechesi attorno all’abc cristiano della fede e del credere. Ma anche così son cresciute ancora amicizia e fiducia tra il Papa e i giovani del mondo, persino in circostanze imprevedibili come la tempesta che investì la spianata di Cuatro Vientos a Madrid, nel 2013: Benedetto XVI, seppur fradicio di pioggia e infreddolito, non volle saperne di andarsene, conquistandosi definitivamente la benevolenza di tutti.
Ora l’appuntamento a Rio è per gli ultimi giorni di luglio. Prima GMG in Brasile, il più popoloso paese cattolico del globo, dove il vissuto quotidiano della fede, assicura chi sa, ha una spiccata colorazione di gioia ed entusiastico fervore, pure tra i mille problemi di un paese sospeso tra tumultuoso sviluppo e stridenti squilibri sociali. La curiosità attorno a Francesco alle prese con una GMG, c’è da scommetterlo, ora salirà a dismisura col passare delle settimane. E lo “scoppiettante” inizio di pontificato del successore di Pietro numero 265 lascia in questo senso buone sensazioni.
Papa Jorge Mario Bergoglio non ama troppo usi, formalismi o convenzioni fini a se stessi, o che per lo meno tali paiono all’evolversi della sensibilità comune. E questo già lo avvicina agli esigenti umori delle giovani generazioni. In neppure due settimane di pontificato ha assestato una picconata dietro l’altra all’austero ed ingessato immaginario collettivo del romano pontefice (ma già il predecessore Wojtyla, a dire il vero, aveva aperto strade importanti), conquistandosi ovunque simpatie. La semplicità “calda” e cordiale di gesti, atteggiamenti, parole ha regalato ai cronisti un’infinità di spunti notiziabili, tutti all’insegna della sorpresa. Il suo parlare è immediato e appassionato insieme. Se deve deplorare i mali provocati dalla sete di denaro, non esita a citare i proverbi della nonna, “il sudario non ha tasche”, ovviamente improvvisando rispetto a quanto riporta il testo preparati prima..
Altra cosa, rispetto a gesti o episodi come quelli citati, è il “magistero” pontificio della parola scritta e pronunciata attorno ai grandi temi della fede, della Chiesa, della dottrina cattolica in tema di vita, famiglia, politica, società, diritti umani. Due settimane scarse forniscono oggettivamente poche occasioni di approfondire a dovere un ampio spettro di argomenti. Tra questi, due in particolare, a proposito di giovani, a Rio si imporranno da sé. Il primo sono precarietà e insicurezza sul lavoro, frutto avvelenato di una congiuntura economica devastante, almeno per quanto riguarda l’Europa e l’Italia, sulle prospettive dei giovani di costruirsi un proprio futuro. Il secondo è il disorientamento indotto dalla cultura dominante che subdolamente svilisce scelte di vita affettive che richiedono il coraggio del “per sempre”.
Ci vuole coraggio, in tutto questo, anche per parlare di gioia e speranza, come Bergoglio ha fatto domenica. E’ l’eterno paradosso dell’annuncio cristiano, che sovverte ogni categoria umana di potere e successo. La folla che accoglie festante Gesù a Gerusalemme lo acclama re, ma gli onori che per lui si preparano sono una corona di spine, un bastone, la croce, è il commento di papa Francesco. Come fa allora un cristiano ad essere gioioso? “E’ nel dono di sé, nell’uscire da se stessi, che si ha la vera gioia”.
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