venerdì, marzo 01, 2013
Prosegue il nostro cammino quaresimale attraverso le parole del Padre nostro con la riflessione di Anna Pia Viola, docente presso la Facoltà Teologica di Sicilia

Se pensiamo ad un regno, la nostra immaginazione potrebbe portarci o nel mondo delle favole, popolato da Re e Regine con streghe al seguito, oppure ad un tipo di governo che vede nel Monarca, nella figura della persona Re/Regina, il riferimento chiaro ed assoluto. In entrambi i casi si tratta dell’esercizio di un potere, di un dominio sul popolo. Questo tipo di governo, affidato alla decisione di una sola persona, per quanto affiancata da altri funzionari, esercita un’autorità di fronte alla quale non vi sono figli, ma sudditi. Il regno, dunque, rinvia ad un’obbedienza da accettare/subire, sancita dal diritto. Quando preghiamo il “Padre nostro” invocando la venuta del regno di Dio, di certo non abbiamo davanti questa immagine di governo. Penso che nessuno di noi, anche quando chiama Dio Re dell’universo, si aspetta questo tipo di regno, di esercizio del potere, né tantomeno una tassa da pagare! Di cosa parliamo, allora? Si tratta, innanzitutto del riconoscimento dell’autorevolezza di una Presenza, siamo dinanzi al Signore e non possiamo non riconoscerlo. Siamo dinanzi a Colui che conosce l’origine e il fine delle cose, il bene e la verità, ciò che è giusto e ciò che è da sperare. Sembrerebbe superfluo doverlo sottolineare, eppure se Gesù ci dice che pregare significa invocare la venuta del Regno di Dio, vuol dire che tale regno, tale ‘sovranità’ non è per nulla scontata, evidente a noi.

Invocare il Regno di Dio significa per noi chiedere che si manifesti un ‘potere’ diverso da quello nostro, il ‘potere’ di Dio. Dobbiamo riconoscere, infatti, che nella nostra vita la tendenza, oltre alla scelta deliberata, è quella di esercitare il nostro potere, la forza delle nostre opinioni e convinzioni. Il nostro è un esercizio di potere che usa la logica della forza in molti modi. Vi è la forza esercitata attraverso le azioni: io affermo me stesso attraverso ciò che so fare e voglio fare. La produttività, l’efficienza, il successo nel lavoro, parlano della mia possibilità, del “potere” che ho di essere me stesso in mezzo agli altri. Purtroppo spesso noi non ci accontentiamo di stare ‘con’ gli altri, ma vogliamo stare ‘sopra’gli altri, con la conseguenza che la vita diventa una lotta per affermare il proprio ‘diritto’, il proprio posto. Vi è anche la forza esercitata attraverso le parole: con le mie parole io posso accogliere l’altro, dire bene di lui (benedirlo) oppure posso “ucciderlo” dicendo il male che ha compiuto (maledirlo). La parola fa vivere e fa morire, con essa abbiamo un grande “potere”. Vi è ancora la forza esercitata dal pensiero: questo nostro ospite tanto invisibile da considerarlo innocuo (riteniamo infatti che se il male lo penso solo, ma non lo faccio, non è peccato!) quanto efficace da cambiare le persone. I pensieri cambiano le persone: la forza delle idee cambia il mondo. Tutto questo ed ancora altro si può dire del potere che l’uomo ha e che esercita “regnando”, dominando il mondo.

In questo regno degli uomini si è manifestato il Regno di Dio, la sua logica differente fatta di azioni che non si misurano con il metro della produttività e del guadagno: l’elemosina non si valuta sul ‘quanto’ dai, ma sul ‘che cosa’ dai e con che cuore lo dai, se dai il superfluo o ciò che per te stesso è pane, è vita; se dai per farti vedere dagli altri, o perché vuoi condividere ciò che tu ritieni un bene essenziale anche per l’altro. Anche la Parola di Dio rivela un ‘potere’ eccezionale. La forza della Parola di Dio non sta nello schiacciarti dinanzi all’evidenza del tuo peccato, ma ha il tratto del perdono e della misericordia. Il potere della Parola è di dare vita là dove c’è morte. Detto questo, possiamo comprendere l’urgenza di chiedere di avere la prospettiva di Dio, il Regno di Dio, un modo diverso, un modo altro di pensare. È un nuovo modo di pensare che è fatto dalla logica della consegna che non è una sconfitta, è la logica dell’abbandono che non dice fallimento, è la logica del silenzio che apre alla Presenza di Chi chiede solo di essere accolto. È questo che Dio vuole? Sì, il Signore vuole che l’uomo viva. La “sua volontà” è che ci apriamo alla fiducia in Lui. Una fiducia che non è cieca ma che deve essere totale, come fu totale la consegna del suo Figlio: “Padre, non la mia la tua volontà”, “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Espressioni drammatiche di un uomo che non solo sapeva di essere Dio, il Figlio di Dio, ma che in quel momento di angoscia sperimentava cosa significa volere amare fino in fondo, da uomo e da Dio. Potremmo quasi pensare che Gesù in quei momenti potesse pregare così: “Padre fa che io possa ritenere basso il prezzo da pagare per questo amore grande. La mia vita vale per me, per questo voglio dare ciò che per me è un bene prezioso e che sarà ancora più pieno con il tuo Spirito. Padre donami il potere di consegnarmi a Te. Padre, voglio amare fino in fondo”. Dopo che hai capito che significa per noi uomini attraversare il dolore… vai, Signore, vai liberamente alla tua passione, vai e porta anche noi con te, in questo modo possiamo pregare con te: “Padre, sia fatta la tua volontà, non la nostra”.

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