Testimoni di una Via crucis percorsa per amore di giustizia, di libertà, di fede
Si svolgerà a Firenze il prossimo 16 marzo una grande manifestazione per celebrare la XVIII edizione della "Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie" (che cade ufficialmente il 21 marzo), promossa dall'associazione Libera e Avviso Pubblico. La Giornata ricorda gli oltre 900 nomi di semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell'ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perché hanno compiuto il loro dovere. La Giornata si celebra quest’anno a pochi giorni dal tempo in cui la cristianità ricorda e ripercorre la Via della croce. Una via dove la morte, il dolore, il martirio non sono un epilogo di sconfitta ma la strada che porta alla Luce, alla Resurrezione. Una quasi concomitanza che può servire a far diventare quei nomi di vittime della mafia, con la loro sofferenza e morte, ma anche con la loro resistenza di fronte al male, simbolo della Via crucis patita da Cristo per amore dell’uomo.
E’ questo il senso dell’originale Via crucis proposta da padre Tonino Palmese, Vicario episcopale dell’Arcidiocesi di Napoli per la Pastorale Sociale e referente campano di Libera. In Patì sotto il peso delle mafie (Paoline 2013), padre Tonino propone una riflessione intensa che si avvicina alla poesia per diventare preghiera e voglia di cambiamento. Ogni stazione della Via crucis viene scandita dal brano evangelico a cui segue uno spazio meditativo sottolineato da nomi di persone che hanno capito come porgere l’altra guancia non è né debolezza né vigliaccheria, ma rifiuto della spirale della vendetta e delle logiche disumane annidate in ogni proposta criminale.
Scrive don Ciotti nella prefazione al libro: “La riflessione di don Tonino Palmese (…) ci ripropone la via della croce come cammino per ritrovare il sapore della legalità e della giustizia. Un pregare autentico di cui abbiamo tutti bisogno. Per fermare la debolezza della violenza e per riscoprire la bellezza del perdono come dono che restituisce alle relazioni umane libertà e giustizia”.
Può sembrare arduo accostare i temi della fede con la questione “mafia”. Ma così non è. Perché opporsi alla logica perversa e violenta delle mafie è senza dubbio un segno di fede. Tant’è che di questa opposizione si fanno e si sono fatti carico, nella propria azione pastorale, molti sacerdoti, alcuni fino al martirio. Come Don Pino Puglisi, la cui morte per mano della mafia è stata finalmente riconosciuta “in odium fidei” (il che porterà alla beatificazione il prossimo 25 maggio). Come mette in luce in modo dettagliato e appassionato Monsignor Vincenzo Bertolone (arcivescovo della diocesi di Catanzaro-Squillace e postulatore della causa di beatificazione di don Puglisi) ne La sapienza del sorriso (Paoline 2012), l’essere sacerdote e pastore fino in fondo, fedele al Vangelo che viveva e annunciava, proprio questo ha messo don Pino in rotta di collisione con la mafia. È la sua fede che ha “disturbato” i mafiosi, fino alla decisione di toglierlo di mezzo.
Si svolgerà a Firenze il prossimo 16 marzo una grande manifestazione per celebrare la XVIII edizione della "Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie" (che cade ufficialmente il 21 marzo), promossa dall'associazione Libera e Avviso Pubblico. La Giornata ricorda gli oltre 900 nomi di semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell'ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perché hanno compiuto il loro dovere. La Giornata si celebra quest’anno a pochi giorni dal tempo in cui la cristianità ricorda e ripercorre la Via della croce. Una via dove la morte, il dolore, il martirio non sono un epilogo di sconfitta ma la strada che porta alla Luce, alla Resurrezione. Una quasi concomitanza che può servire a far diventare quei nomi di vittime della mafia, con la loro sofferenza e morte, ma anche con la loro resistenza di fronte al male, simbolo della Via crucis patita da Cristo per amore dell’uomo.
E’ questo il senso dell’originale Via crucis proposta da padre Tonino Palmese, Vicario episcopale dell’Arcidiocesi di Napoli per la Pastorale Sociale e referente campano di Libera. In Patì sotto il peso delle mafie (Paoline 2013), padre Tonino propone una riflessione intensa che si avvicina alla poesia per diventare preghiera e voglia di cambiamento. Ogni stazione della Via crucis viene scandita dal brano evangelico a cui segue uno spazio meditativo sottolineato da nomi di persone che hanno capito come porgere l’altra guancia non è né debolezza né vigliaccheria, ma rifiuto della spirale della vendetta e delle logiche disumane annidate in ogni proposta criminale.
Scrive don Ciotti nella prefazione al libro: “La riflessione di don Tonino Palmese (…) ci ripropone la via della croce come cammino per ritrovare il sapore della legalità e della giustizia. Un pregare autentico di cui abbiamo tutti bisogno. Per fermare la debolezza della violenza e per riscoprire la bellezza del perdono come dono che restituisce alle relazioni umane libertà e giustizia”.
Può sembrare arduo accostare i temi della fede con la questione “mafia”. Ma così non è. Perché opporsi alla logica perversa e violenta delle mafie è senza dubbio un segno di fede. Tant’è che di questa opposizione si fanno e si sono fatti carico, nella propria azione pastorale, molti sacerdoti, alcuni fino al martirio. Come Don Pino Puglisi, la cui morte per mano della mafia è stata finalmente riconosciuta “in odium fidei” (il che porterà alla beatificazione il prossimo 25 maggio). Come mette in luce in modo dettagliato e appassionato Monsignor Vincenzo Bertolone (arcivescovo della diocesi di Catanzaro-Squillace e postulatore della causa di beatificazione di don Puglisi) ne La sapienza del sorriso (Paoline 2012), l’essere sacerdote e pastore fino in fondo, fedele al Vangelo che viveva e annunciava, proprio questo ha messo don Pino in rotta di collisione con la mafia. È la sua fede che ha “disturbato” i mafiosi, fino alla decisione di toglierlo di mezzo.
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