I talebani in Afghanistan hanno annunciato un’imminente ripresa di azioni in forze contro le truppe Nato e il governo locale.
Radio Vaticana - La cosiddetta “offensiva di primavera” si verifica ormai da diversi anni nel Paese: lo scorso anno gli attacchi, durati 18 ore, presero di mira alcune ambasciate e lo stesso parlamento afghano. Davide Maggiore ha chiesto ad Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste, in quale contesto si inserisca l’annunciata offensiva: ascolta
R. – Da un lato, i talebani dichiarano l’offensiva, ma dall’altro lato stanno invece trattando. Questa volta, compresi i seguaci del Mullah Omar, hanno in corso da circa un mese delle trattative riservate, sponsorizzate dai sauditi, con il governo afghano. Quindi, la dichiarazione dell’offensiva ha il sapore questa volta di una pressione molto forte per convincere il governo afghano – e naturalmente gli americani e la Nato – a giungere a una fine negoziata del conflitto dell’Afghanistan.
D. – Di quanto consenso dispongono i talebani?
R. – Meno di un tempo, sicuramente. Il consenso resta molto forte in alcune aree del Paese, anche se ormai un po’ a macchia di leopardo: non supera certamente il 30%, forse anche il 25% della popolazione. Resta comunque un consenso che riguarda ancora qualche milione di afghani sui 35 della popolazione complessiva. Certamente, dei passi avanti dal governo Karzai sono stati fatti: basti pensare che il prodotto interno lordo dell’Afghanistan è oggi dieci volte superiore a quello di 12 anni fa. Questo i capi talebani lo hanno capito, quindi stanno cercando l’offensiva per uscire da una situazione che ormai, anche per loro, è una situazione di logoramento e di stallo.
D. – Qual è, invece, l’atteggiamento del governo Karzai?
R. – Il governo Karzai è stato richiamato all’ordine dal segretario di Stato americano, pochi giorni fa a Bruxelles, perché era molto riluttante ad aprire anche la trattativa con il Pakistan, che gli Stati Uniti ritengono comunque fondamentale, insieme con quella promossa dai sauditi con i talebani. Gli Stati Uniti osservano i due Paesi come due facce della stessa medaglia: pur comprendendo le numerosissime lamentele da parte afghana, il tentativo è di creare un "pacchetto" che riguardi i due Paesi e la collocazione politica futura dell’elemento talebano sia in Afghanistan che in Pakistan.
D. – C’è qualcosa che le autorità afghane possono fare per impedire che il consenso a favore dei talebani metta ancora più radici nel Paese?
R. - Il modo fondamentale è continuare a dare occupazione, benessere e scolarità. Questo quindi significa che il flusso di aiuti internazionali e gli investimenti esteri in Afghanistan devono continuare a ritmo serrato. Nonostante vi saranno attacchi, offensive e persino attacchi suicidi, che sono stati promessi a breve dai talebani nelle città afghane, la vera battaglia oggi per togliere definitivamente il consenso è proseguire nell’avanzamento economico del Paese. Un cammino che, in qualche modo, è già iniziato: oggi in Afghanistan vi sono 20 milioni di telefonini, 8 mila miglia di strade asfaltate, rispetto alle 700 miglia di dieci anni fa. Otto milioni di ragazzi frequentano la scuola, dei quali il 30% sono donne. Diciamo che la capacità dell’Afghanistan – che ha un sottosuolo ricco – di attrarre comunque investimenti esteri e attenzione da parte dei Paesi asiatici è già diventata una realtà. Tuttavia, senza l’aiuto economico del’Europa e degli Stati Uniti, potrebbe verificarsi davvero una spaccatura al momento, ormai vicino, del ritiro delle truppe.
Radio Vaticana - La cosiddetta “offensiva di primavera” si verifica ormai da diversi anni nel Paese: lo scorso anno gli attacchi, durati 18 ore, presero di mira alcune ambasciate e lo stesso parlamento afghano. Davide Maggiore ha chiesto ad Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste, in quale contesto si inserisca l’annunciata offensiva: ascolta
R. – Da un lato, i talebani dichiarano l’offensiva, ma dall’altro lato stanno invece trattando. Questa volta, compresi i seguaci del Mullah Omar, hanno in corso da circa un mese delle trattative riservate, sponsorizzate dai sauditi, con il governo afghano. Quindi, la dichiarazione dell’offensiva ha il sapore questa volta di una pressione molto forte per convincere il governo afghano – e naturalmente gli americani e la Nato – a giungere a una fine negoziata del conflitto dell’Afghanistan.
D. – Di quanto consenso dispongono i talebani?
R. – Meno di un tempo, sicuramente. Il consenso resta molto forte in alcune aree del Paese, anche se ormai un po’ a macchia di leopardo: non supera certamente il 30%, forse anche il 25% della popolazione. Resta comunque un consenso che riguarda ancora qualche milione di afghani sui 35 della popolazione complessiva. Certamente, dei passi avanti dal governo Karzai sono stati fatti: basti pensare che il prodotto interno lordo dell’Afghanistan è oggi dieci volte superiore a quello di 12 anni fa. Questo i capi talebani lo hanno capito, quindi stanno cercando l’offensiva per uscire da una situazione che ormai, anche per loro, è una situazione di logoramento e di stallo.
D. – Qual è, invece, l’atteggiamento del governo Karzai?
R. – Il governo Karzai è stato richiamato all’ordine dal segretario di Stato americano, pochi giorni fa a Bruxelles, perché era molto riluttante ad aprire anche la trattativa con il Pakistan, che gli Stati Uniti ritengono comunque fondamentale, insieme con quella promossa dai sauditi con i talebani. Gli Stati Uniti osservano i due Paesi come due facce della stessa medaglia: pur comprendendo le numerosissime lamentele da parte afghana, il tentativo è di creare un "pacchetto" che riguardi i due Paesi e la collocazione politica futura dell’elemento talebano sia in Afghanistan che in Pakistan.
D. – C’è qualcosa che le autorità afghane possono fare per impedire che il consenso a favore dei talebani metta ancora più radici nel Paese?
R. - Il modo fondamentale è continuare a dare occupazione, benessere e scolarità. Questo quindi significa che il flusso di aiuti internazionali e gli investimenti esteri in Afghanistan devono continuare a ritmo serrato. Nonostante vi saranno attacchi, offensive e persino attacchi suicidi, che sono stati promessi a breve dai talebani nelle città afghane, la vera battaglia oggi per togliere definitivamente il consenso è proseguire nell’avanzamento economico del Paese. Un cammino che, in qualche modo, è già iniziato: oggi in Afghanistan vi sono 20 milioni di telefonini, 8 mila miglia di strade asfaltate, rispetto alle 700 miglia di dieci anni fa. Otto milioni di ragazzi frequentano la scuola, dei quali il 30% sono donne. Diciamo che la capacità dell’Afghanistan – che ha un sottosuolo ricco – di attrarre comunque investimenti esteri e attenzione da parte dei Paesi asiatici è già diventata una realtà. Tuttavia, senza l’aiuto economico del’Europa e degli Stati Uniti, potrebbe verificarsi davvero una spaccatura al momento, ormai vicino, del ritiro delle truppe.
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