La nostra corrispondente Francesca Forcella ci racconta le reazioni dell’America all’attentato di Boston
Non importa il paese d’origine, il colore della pelle, la religione; “Chi lo ha fatto e perché” sono le domande sulla bocca di tutti gli americani all’indomani della strage di Boston. Domande ancora senza risposta. C’è chi si commuove guardando la foto del bambino di 8 anni morto che aspettava il padre al traguardo, chi piange pensando agli atleti abituati ad allenare i proprio muscoli allo spasmo e che ieri quelle gambe se le sono viste volare via in un secondo: “Pensavamo che queste tragedie succedessero in Afghanistan, in Iraq, in Siria, e forse ci dobbiamo abituare al fatto che stanno diventano normali anche qui da noi”.
Il centro di Boston è stato trasformato in una zona di guerra, ma i bostoniani non si perdono d’animo: “Non sanno di che pasta siamo fatti, non sanno che questa tragedia ci renderà più forti di prima. Non lasceremo che un atto del genere cambi il nostro atteggiamento verso la vita. Oggi fors
e siamo tutti un po’ più paranoici, ma anche questa passerà”.
La paura parte da Boston ma fa correre un brivido lungo la spina dorsale di tutti gli americani. Le misure di sicurezza sono state aumentate anche a Washington, a Chicago, a Los Angeles e naturalmente a New York, dove i tunnel, i ponti, i simboli della città come l’Empire State Building e la Stazione Centrale sono guardati a vista. Ground Zero è ancora una cittadella fortificata: impossibile entrare senza permesso. Conosco famiglie che vivono qui che ancora adesso, quando passa un aereo a bassa quota, vengono prese dall’ansia. E adesso come allora, almeno qui a New York, il messaggio è ambiguo: lo slogan della polizia è “If you see something, say something” - “Se noti qualcosa di sospetto, allerta le autorità”. E allo stesso tempo nessuno vuole che la gente rimanga paralizzata dalla paura, e quindi si consiglia di non farsi prendere dal panico e di andare avanti con la propria vita.
Abbiamo incontrato il capo della polizia Raymond Kelly, che ci ha detto: “Crediamo che New York sia una città sicura e abbiamo fatto molto per proteggerla e per mantenerla sicura, tanto che il tasso della criminalità è ai minimi storici, ma eventi come quello della maratona di Boston possono succedere ovunque e dobbiamo essere capaci di andare avanti con la nostra vita. Tenendo a mente che noi stiamo facendo tutto il possibile immaginabile per proteggere il paese”.
E così l’America si scopre ancora una volta fragile e indifesa, incapace di comprendere , di capire, anche perché a 24 ore dall’accaduto non c’è un movente, non ci sono certezze. E c’è chi ha una ragione in più per avere paura. Una coppia di pakistani ci dice: ”Siamo americani, ma non possiamo immaginare cosa ci succederà da oggi in poi. Avete visto come hanno trattato quel ragazzo saudita arrestato a Boston?”. Si riferiscono all’unica persona fermata dalla polizia, il ragazzo di vent’anni di origine saudita bloccato mentre scappava dal luogo dell’esplosione da una a persona che aveva giudicato i suoi movimenti sospetti; non si sa ancora se sia effettivamente coinvolto.
E non c’è alcuno dubbio sulla natura dell’attacco che oggi il presidente Barak Obama, parlando al paese, ha chiamato per la prima volta per nome: “L’Fbi sta conducendo le indagini su quello che è stato un atto terroristico. Ciò che ancora non sappiamo è se si tratta di terrorismo interno, se sia stato portato a segno da un gruppo internazionale o se sia stato commesso da un individuo che ha agito da solo. Non sappiamo ancora chi lo ha fatto e perché, ma lo scopriremo e assicureremo il responsabile alla giustizia. Ieri abbiamo fatto vedere chi siamo: un popolo che risponde alla violenza con compassione e senza aver paura”.
Gli esperti fanno notare la coincidenza dell’attacco in una settimana che ha particolare significato per i gruppi radicali antigovernativi : il 15 aprile è la scadenza per il pagamento delle tasse, il 19 aprile è l’anniversario dell’attacco del 1995 al Palazzo Federale Alfred Murrah di Oklahoma City.
Intanto si cercano informazioni su un sospetto vestito di nero con due zainetti sulle spalle. E c’è chi, come il gruppo talebano pakistano, in genere veloce nel rivendicare un proprio attentato, che ha fatto sapere di essere estraneo ai fatti di Boston.
“Non c’è nessuna indicazione di ulteriori minacce dopo l’attacco di ieri - ha spiegato il responsabile dell'Fbi Richard Deslauriers in una conferenza stampa - Stiamo seguendo diverse piste e chiediamo l’aiuto alla gente. Questa è un’indagine globale e andremo fino alla fine della terra per trovare i colpevoli”.
Il governatore ha annunciato per domani una messa/cerimonia interconfessionale per ricordare le vittime dell’attentato.
Non importa il paese d’origine, il colore della pelle, la religione; “Chi lo ha fatto e perché” sono le domande sulla bocca di tutti gli americani all’indomani della strage di Boston. Domande ancora senza risposta. C’è chi si commuove guardando la foto del bambino di 8 anni morto che aspettava il padre al traguardo, chi piange pensando agli atleti abituati ad allenare i proprio muscoli allo spasmo e che ieri quelle gambe se le sono viste volare via in un secondo: “Pensavamo che queste tragedie succedessero in Afghanistan, in Iraq, in Siria, e forse ci dobbiamo abituare al fatto che stanno diventano normali anche qui da noi”.
Il centro di Boston è stato trasformato in una zona di guerra, ma i bostoniani non si perdono d’animo: “Non sanno di che pasta siamo fatti, non sanno che questa tragedia ci renderà più forti di prima. Non lasceremo che un atto del genere cambi il nostro atteggiamento verso la vita. Oggi fors
e siamo tutti un po’ più paranoici, ma anche questa passerà”.
La paura parte da Boston ma fa correre un brivido lungo la spina dorsale di tutti gli americani. Le misure di sicurezza sono state aumentate anche a Washington, a Chicago, a Los Angeles e naturalmente a New York, dove i tunnel, i ponti, i simboli della città come l’Empire State Building e la Stazione Centrale sono guardati a vista. Ground Zero è ancora una cittadella fortificata: impossibile entrare senza permesso. Conosco famiglie che vivono qui che ancora adesso, quando passa un aereo a bassa quota, vengono prese dall’ansia. E adesso come allora, almeno qui a New York, il messaggio è ambiguo: lo slogan della polizia è “If you see something, say something” - “Se noti qualcosa di sospetto, allerta le autorità”. E allo stesso tempo nessuno vuole che la gente rimanga paralizzata dalla paura, e quindi si consiglia di non farsi prendere dal panico e di andare avanti con la propria vita.
Abbiamo incontrato il capo della polizia Raymond Kelly, che ci ha detto: “Crediamo che New York sia una città sicura e abbiamo fatto molto per proteggerla e per mantenerla sicura, tanto che il tasso della criminalità è ai minimi storici, ma eventi come quello della maratona di Boston possono succedere ovunque e dobbiamo essere capaci di andare avanti con la nostra vita. Tenendo a mente che noi stiamo facendo tutto il possibile immaginabile per proteggere il paese”.
E così l’America si scopre ancora una volta fragile e indifesa, incapace di comprendere , di capire, anche perché a 24 ore dall’accaduto non c’è un movente, non ci sono certezze. E c’è chi ha una ragione in più per avere paura. Una coppia di pakistani ci dice: ”Siamo americani, ma non possiamo immaginare cosa ci succederà da oggi in poi. Avete visto come hanno trattato quel ragazzo saudita arrestato a Boston?”. Si riferiscono all’unica persona fermata dalla polizia, il ragazzo di vent’anni di origine saudita bloccato mentre scappava dal luogo dell’esplosione da una a persona che aveva giudicato i suoi movimenti sospetti; non si sa ancora se sia effettivamente coinvolto.
E non c’è alcuno dubbio sulla natura dell’attacco che oggi il presidente Barak Obama, parlando al paese, ha chiamato per la prima volta per nome: “L’Fbi sta conducendo le indagini su quello che è stato un atto terroristico. Ciò che ancora non sappiamo è se si tratta di terrorismo interno, se sia stato portato a segno da un gruppo internazionale o se sia stato commesso da un individuo che ha agito da solo. Non sappiamo ancora chi lo ha fatto e perché, ma lo scopriremo e assicureremo il responsabile alla giustizia. Ieri abbiamo fatto vedere chi siamo: un popolo che risponde alla violenza con compassione e senza aver paura”.
Gli esperti fanno notare la coincidenza dell’attacco in una settimana che ha particolare significato per i gruppi radicali antigovernativi : il 15 aprile è la scadenza per il pagamento delle tasse, il 19 aprile è l’anniversario dell’attacco del 1995 al Palazzo Federale Alfred Murrah di Oklahoma City.
Intanto si cercano informazioni su un sospetto vestito di nero con due zainetti sulle spalle. E c’è chi, come il gruppo talebano pakistano, in genere veloce nel rivendicare un proprio attentato, che ha fatto sapere di essere estraneo ai fatti di Boston.
“Non c’è nessuna indicazione di ulteriori minacce dopo l’attacco di ieri - ha spiegato il responsabile dell'Fbi Richard Deslauriers in una conferenza stampa - Stiamo seguendo diverse piste e chiediamo l’aiuto alla gente. Questa è un’indagine globale e andremo fino alla fine della terra per trovare i colpevoli”.
Il governatore ha annunciato per domani una messa/cerimonia interconfessionale per ricordare le vittime dell’attentato.
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