venerdì, aprile 05, 2013
Si chiude il nostro ciclo di articoli quaresimali sul “Padre Nostro”: ha offerto senza dubbio un contributo all’Anno della Fede che stiamo vivendo

di Monica Cardarelli

Il seme di senape piantato il Mercoledì delle Ceneri per l’inizio della Quaresima ha dato i suoi frutti: è morto a se stesso dando vita a dei piccoli germogli, apparentemente fragili e delicati che sono ormai cresciuti e hanno prodotto foglie grandi, irrobustendosi e moltiplicandosi. La simbologia del chicco di senape con la nostra fede ci ha aiutato a farla crescere, accudirla, custodirla e soprattutto, affidarla al Signore che ben conosce i nostri limiti e le nostre debolezze e che può, solo Lui, trasformarle. È stato ed è un cammino comune e condiviso quello appena concluso sulle parole del "Padre Nostro" che prosegue tutti i giorni nella comunità ecclesiale. Perché, se è vero come ci ha ricordato Papa Francesco che bisogna “uscire da se stessi”, dalle proprie certezze, liberarsi delle zavorre che ci chiudono “dentro casa” ed uscire per andare incontro a Lui e ai fratelli, è altrettanto vero che questo cammino di apertura verso l’incontro non viene fatto singolarmente, da soli, ma si inserisce nel più ampio cammino della Chiesa.

Ciò non significa che la comunità o il movimento di appartenenza debba fungere da ‘chioccia’ per proteggerci ma non va dimenticato il valore della comunità. Gesù chiama dodici amici, perché stessero con lui come ci ricorda l’evangelista Marco e poi perché andassero in missione ad evangelizzare. Il nostro è un Dio che ha bisogno di noi, che ci chiama a se perché anche la nostra missione, la vocazione di ognuno prende vita solo dalla relazione con Lui: possiamo realmente intuire quale è solo grazie alla preghiera e al discernimento della Sua Parola perché in quel momento sperimentiamo la presenza di Dio.

Preghiera personale, ma anche preghiera comunitaria ad esempio con la partecipazione all’eucarestia e ascoltando la Sua Parola. In fondo, anche il primo gruppo sparuto di quei dodici pescatori rappresentano la prima piccola comunità voluta da Gesù; la stessa espressione trinitaria di Dio, è in se una prima cellula di comunità. “E uscì dal fianco sangue ed acqua” (cfr. Gv 19, 34). Carissimo, non passare troppo facilmente sopra a questo mistero. Ho ancora un altro significato mistico da spiegarti. Ho detto che quell’acqua e quel sangue sono simbolo del battesimo e dell’Eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo per mezzo del battesimo e dell’Eucaristia. E i simboli del battesimo e dell’Eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva”. Con queste parole san Giovanni Crisostomo (Catechesi 3, 13-19; sc 50, 174-177) spiega la nascita della Chiesa.

Come ricordava Papa Francesco, se non si prende la croce, se non la si vive e non la si porta sulle proprie spalle, la Chiesa diventa una pietosa ONG, proprio perché nata dalla Croce e da lì deve procedere, senza dimenticarlo mai. Non va dimenticata la sua origine, che nasce cioè dal costato di Cristo, che è frutto di quella morte in croce che genera vita: anche per questo è importate guardare alla Chiesa con gli occhi della fede.

Sempre sotto la croce Gesù affida sua madre Maria a Giovanni, e a sua volta affida l’apostolo a sua madre. Solo così possiamo capire quanto sia importante l’affidamento della Chiesa a Maria e fondamentale la sua intercessione. Anche Francesco affidò il suo Ordine alla Madre di Gesù e volle morire sulla nuda terra di santa Maria degli Angeli, la chiesetta di aveva ricostruito. In questo senso la nascita della Chiesa è un mistero e lo si può percepire solo con la grazia del dono della fede mentre la sua appartenenza filiale va vissuta come dono: la Chiesa madre a cui tutti noi apparteniamo come figli, deve farci sentire comunità.

Certo, deve esserci sempre conoscenza e rispetto: conoscenza prima di tutto per ciò che si ama per poi poter essere lievito nella comunità consapevoli che la Chiesa è costituita da uomini con i loro limiti e difetti. Nonostante ciò, non deve mancare il rispetto per gli uomini di Dio e soprattutto per l’azione dello Spirito in essa.

A questo proposito ci piace ricordare le parole di san Francesco nel suo Testamento: “Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.” (FF 112) Francesco conclude precisando: “E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri.” (FF 113)

Perciò, nonostante i peccati di giovinezza o nonostante le eventuali situazioni di limiti e difficoltà in cui si potrebbe trovare una madre, per i propri figli, resta sempre una madre. Così anche noi dobbiamo sentire e vivere l’appartenenza filiale alla comunità ecclesiale, fiduciosi dell’azione dello Spirito Santo e della infinita misericordia di Dio nella sua Chiesa.

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