In un momento come quello attuale caratterizzato da guerre e odio, si fa sempre più urgente una sincera e accorata preghiera comunitaria per chiedere il dono della pace
“Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: Il Signore ti dia la pace!” (FF 121) così Francesco spiega nel suo Testamento l’origine del saluto che rivolgeva a chiunque incontrasse sul suo cammino. La pace ai tempi di Francesco d’Assisi era importante, un bene prezioso. Lui stesso, prima della conversione aveva combattuto, aveva impugnato la spada e tanto sangue era stato versato. Aveva conosciuto il carcere e l’odio, la violenza e la lotta tra fratelli. Allo stesso modo aveva conosciuto l’odio e gli attriti all’interno di una stessa famiglia, i rancori e le dispute tra consanguinei. Ed aveva anche toccato con mano e sperimentato in prima persona la diffidenza e l’isolamento, l’emarginazione che veniva riservata ai poveri e ai lebbrosi.
In questo quadro sociale Francesco inizia la sua conversione, il suo cambiamento di mentalità e come ricorda nelle prime parole del suo Testamento, la sua conversione ha origine da un incontro, un abbraccio: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E poi, stetti un poco e uscii dal mondo” (FF 110).
Come possiamo immaginare si trattò di un cambiamento repentino e forte, di uno strappo e le parole di Francesco lo riportano chiaramente; era successo qualcosa di così forte da trasformare in dolcezza ciò che prima era amaro. E soprattutto, non si trattava di una dolcezza di spirito ma “d’animo e di corpo”. Allo stesso modo il termine “usai misericordia”, fecit misericordiam, non sottende ad una sorta di elemosina o di sostegno morale che Francesco cominciò a dare ai lebbrosi, ma un vero e proprio aiuto concreto. Le Fonti francescane raccontano di come il Santo curasse il corpo dei lebbrosi, lo pulisse, li abbracciasse, prendendosi cura di loro, di come cioè la misericordia prendesse forma nelle mani e nei piedi di Francesco perché Cristo si è fatto carne. Se questo incontro con il lebbroso cambiò profondamente e totalmente la vita di Francesco, è interessante notare come in entrambe le citazioni sopra riportate l’assisiate pone come soggetto del racconto Dio stesso, l’Altissimo che rivela a Francesco il saluto da portare e che lo conduce dai lebbrosi per cominciare a fare penitenza. È sempre il Signore la guida della vita di Francesco e soprattutto, è Lui che elargisce i doni ai suoi figli.
Apparentemente le due citazioni possono sembrare slegate tra loro ma a nostro avviso segnano il filo conduttore della vita di Francesco d’Assisi: la sequela di Cristo. L’episodio dell’incontro con il lebbroso anche se è narrato nel Testamento scritto poco tempo prima della morte di Francesco, è in realtà da collocarsi come momento iniziale del suo incontro con Dio, della sua conversione. Il punto di partenza della nuova vita è determinato da un incontro che gli svelerà anche la misura della sua umanità: essere figli di Dio e fratelli con tutte le altre creature.
Questa consapevolezza di dolcezza per ciò che prima era amaro ribalta anche la concezione delle relazioni avute fino ad allora da Francesco e i suoi concittadini: non più nemici, non più rivali, non più fazioni contrapposte l’una all’altra ma fratelli.
A pensarci bene anche questa è stata una rivoluzione pacifica ma sicuramente una visione rivoluzionaria per l’epoca. E quando all’inizio della sua conversione e del suo cammino di penitenza Francesco percepisce l’urgenza di questo livello fraterno di relazioni farà di tutto per portare o meglio per testimoniare la pace in ogni luogo.
“Quando i frati vanno per il mondo, non portino niente per il viaggio, né sacco, né bisaccia, né pane, né pecunia, né bastone. E in qualunque casa entreranno dicano prima: Pace a questa casa. E dimorando in quella casa mangino e bevano quello che ci sarà presso di loro. Non resistano al malvagio; ma se uno li percuote su una guancia, gli offrano l’altra. E se uno toglie loro il mantello, non gli impediscano di prendere anche la tunica. Diano a chiunque chiede; e a chi toglie il loro, non lo richiedano” (FF 40).
Così Francesco prescrive ai suoi frati di comportarsi, riprendendo com’è noto i passi del Vangelo di Matteo sulla sequela (Mt. 5, 28). Ma oltre ad essere un passo interessante per l’evangelizzazione da parte di Francesco quello che ci piace sottolineare è l’atteggiamento pacifico che Francesco ricorda ai suoi fratelli. Perché la pace non è solo assenza di conflitto ma serenità e quiete interiore e con gli altri, nelle relazioni quotidiane, semplici; una pace che proviene da Dio.
Poiché non è così facile mantenere questo atteggiamento interiore e di relazioni, Francesco ci ricorda che per poter dire “Pace a questa casa”, bisogna pregare il Signore affinché ci metta in grado di vivere così e soprattutto, non va dimenticato che è il Signore il soggetto delle azioni: il saluto di Francesco infatti è “Il Signore vi dia la pace”. Noi dobbiamo essere strumenti consapevoli della grandezza della testimonianza che diamo e del dono che riceviamo e a nostra volta doniamo, ma è sempre e solo il Signore a dare la pace, quella vera. La nostra preghiera per noi e per i fratelli dunque resta: che il Signore vi dia pace.
Potrebbe sembrare una sfumatura ma non lo è, e soprattutto è il punto di partenza per una preghiera consapevole della richiesta di un dono grande quale la pace. Il Vangelo di questi giorni infatti ci ricorda Gesù che appare agli apostoli riuniti e il suo saluto è “Pace a voi”. È solo la pace che dà il Signore che può cambiare la nostra realtà piccola, quotidiana, goffa e limitata, le nostre relazioni e può abbattere i muri divisori che alziamo contro i nostri fratelli; è solo la pace del risorto che ci permette di perdonare e non vedere la pagliuzza nell’occhio del fratello; è solo la vera pace che può colmare gli abissi creati dai conflitti e dall’odio.
Questi giorni si celebra l’anniversario dell’enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII e sono anche giorni in cui purtroppo assistiamo ad azioni di guerra e di violenza in più parti dell’intero pianeta. Crisi sociale, discriminazione religiosa, conflitti politici ed economici, tutto potrebbe portare alla disperazione, facendoci perdere la Speranza. Ma la consapevolezza che la vera pace può essere invocata come dono del Dio risorto deve spingerci a richiederla con fede forte e perseverante; perché Cristo è risorto ed è il Vivente e vuole solo che gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in pienezza. “Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.
Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l’eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli” (da un’antica Omelia sul Sabato Santo, PG 43, 439, 451, 462-463).
di Monica Cardarelli
“Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: Il Signore ti dia la pace!” (FF 121) così Francesco spiega nel suo Testamento l’origine del saluto che rivolgeva a chiunque incontrasse sul suo cammino. La pace ai tempi di Francesco d’Assisi era importante, un bene prezioso. Lui stesso, prima della conversione aveva combattuto, aveva impugnato la spada e tanto sangue era stato versato. Aveva conosciuto il carcere e l’odio, la violenza e la lotta tra fratelli. Allo stesso modo aveva conosciuto l’odio e gli attriti all’interno di una stessa famiglia, i rancori e le dispute tra consanguinei. Ed aveva anche toccato con mano e sperimentato in prima persona la diffidenza e l’isolamento, l’emarginazione che veniva riservata ai poveri e ai lebbrosi.
In questo quadro sociale Francesco inizia la sua conversione, il suo cambiamento di mentalità e come ricorda nelle prime parole del suo Testamento, la sua conversione ha origine da un incontro, un abbraccio: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E poi, stetti un poco e uscii dal mondo” (FF 110).
Come possiamo immaginare si trattò di un cambiamento repentino e forte, di uno strappo e le parole di Francesco lo riportano chiaramente; era successo qualcosa di così forte da trasformare in dolcezza ciò che prima era amaro. E soprattutto, non si trattava di una dolcezza di spirito ma “d’animo e di corpo”. Allo stesso modo il termine “usai misericordia”, fecit misericordiam, non sottende ad una sorta di elemosina o di sostegno morale che Francesco cominciò a dare ai lebbrosi, ma un vero e proprio aiuto concreto. Le Fonti francescane raccontano di come il Santo curasse il corpo dei lebbrosi, lo pulisse, li abbracciasse, prendendosi cura di loro, di come cioè la misericordia prendesse forma nelle mani e nei piedi di Francesco perché Cristo si è fatto carne. Se questo incontro con il lebbroso cambiò profondamente e totalmente la vita di Francesco, è interessante notare come in entrambe le citazioni sopra riportate l’assisiate pone come soggetto del racconto Dio stesso, l’Altissimo che rivela a Francesco il saluto da portare e che lo conduce dai lebbrosi per cominciare a fare penitenza. È sempre il Signore la guida della vita di Francesco e soprattutto, è Lui che elargisce i doni ai suoi figli.
Apparentemente le due citazioni possono sembrare slegate tra loro ma a nostro avviso segnano il filo conduttore della vita di Francesco d’Assisi: la sequela di Cristo. L’episodio dell’incontro con il lebbroso anche se è narrato nel Testamento scritto poco tempo prima della morte di Francesco, è in realtà da collocarsi come momento iniziale del suo incontro con Dio, della sua conversione. Il punto di partenza della nuova vita è determinato da un incontro che gli svelerà anche la misura della sua umanità: essere figli di Dio e fratelli con tutte le altre creature.
Questa consapevolezza di dolcezza per ciò che prima era amaro ribalta anche la concezione delle relazioni avute fino ad allora da Francesco e i suoi concittadini: non più nemici, non più rivali, non più fazioni contrapposte l’una all’altra ma fratelli.
A pensarci bene anche questa è stata una rivoluzione pacifica ma sicuramente una visione rivoluzionaria per l’epoca. E quando all’inizio della sua conversione e del suo cammino di penitenza Francesco percepisce l’urgenza di questo livello fraterno di relazioni farà di tutto per portare o meglio per testimoniare la pace in ogni luogo.
“Quando i frati vanno per il mondo, non portino niente per il viaggio, né sacco, né bisaccia, né pane, né pecunia, né bastone. E in qualunque casa entreranno dicano prima: Pace a questa casa. E dimorando in quella casa mangino e bevano quello che ci sarà presso di loro. Non resistano al malvagio; ma se uno li percuote su una guancia, gli offrano l’altra. E se uno toglie loro il mantello, non gli impediscano di prendere anche la tunica. Diano a chiunque chiede; e a chi toglie il loro, non lo richiedano” (FF 40).
Così Francesco prescrive ai suoi frati di comportarsi, riprendendo com’è noto i passi del Vangelo di Matteo sulla sequela (Mt. 5, 28). Ma oltre ad essere un passo interessante per l’evangelizzazione da parte di Francesco quello che ci piace sottolineare è l’atteggiamento pacifico che Francesco ricorda ai suoi fratelli. Perché la pace non è solo assenza di conflitto ma serenità e quiete interiore e con gli altri, nelle relazioni quotidiane, semplici; una pace che proviene da Dio.
Poiché non è così facile mantenere questo atteggiamento interiore e di relazioni, Francesco ci ricorda che per poter dire “Pace a questa casa”, bisogna pregare il Signore affinché ci metta in grado di vivere così e soprattutto, non va dimenticato che è il Signore il soggetto delle azioni: il saluto di Francesco infatti è “Il Signore vi dia la pace”. Noi dobbiamo essere strumenti consapevoli della grandezza della testimonianza che diamo e del dono che riceviamo e a nostra volta doniamo, ma è sempre e solo il Signore a dare la pace, quella vera. La nostra preghiera per noi e per i fratelli dunque resta: che il Signore vi dia pace.
Potrebbe sembrare una sfumatura ma non lo è, e soprattutto è il punto di partenza per una preghiera consapevole della richiesta di un dono grande quale la pace. Il Vangelo di questi giorni infatti ci ricorda Gesù che appare agli apostoli riuniti e il suo saluto è “Pace a voi”. È solo la pace che dà il Signore che può cambiare la nostra realtà piccola, quotidiana, goffa e limitata, le nostre relazioni e può abbattere i muri divisori che alziamo contro i nostri fratelli; è solo la pace del risorto che ci permette di perdonare e non vedere la pagliuzza nell’occhio del fratello; è solo la vera pace che può colmare gli abissi creati dai conflitti e dall’odio.
Questi giorni si celebra l’anniversario dell’enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII e sono anche giorni in cui purtroppo assistiamo ad azioni di guerra e di violenza in più parti dell’intero pianeta. Crisi sociale, discriminazione religiosa, conflitti politici ed economici, tutto potrebbe portare alla disperazione, facendoci perdere la Speranza. Ma la consapevolezza che la vera pace può essere invocata come dono del Dio risorto deve spingerci a richiederla con fede forte e perseverante; perché Cristo è risorto ed è il Vivente e vuole solo che gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in pienezza. “Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.
Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l’eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli” (da un’antica Omelia sul Sabato Santo, PG 43, 439, 451, 462-463).
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.