Il giornale giapponese The Asahi Shimbun è tornato a pubblicare l'inchiesta The Prometheus Trap/"Shadow units", che rivela i retroscena e i compiti delle missioni segrete assegnate al Central readiness regiment (Crr), un'unità ombra della Ground Self-Defense Force (Gsdf).
GreenReport - Il 15 marzo 2011, quando il quartier generale per affrontare l'emergenza nucleare di Fukushima Daiichi era stato spostato nella sede della prefettura di Fukushima, anche il gabinetto del primo ministro e il ministero della difesa del Giappone avviarono una nuova fase per affrontare la crisi nucleare ormai senza freni. Di prima mattina il primo ministro democratico Naoto Kan si precipitò nella sede centrale della Tokyo electric power company (Tepco) a Tokyo per definire finalmente una risposta integrata al disastro nucleare innescato da quello che i giapponesi chiamano Grande Terremoto e tsunami del Giappone orientale dell'11 marzo 2011. Kan era pressato anche dagli Usa che sollecitavano il Giappone a fare una sforzo nazionale, compreso l'uso delle Self defense forces (Sdf , le forze armate giapponesi), per contenere una crisi nucleare che ormai era chiara in tutte le sue possibili devastanti conseguenze, invece di lasciar credere che la Tepco potesse riportare la situazione sotto controllo.
Gli americani ed il resto del mondo non sapevano che le "unità ombra" della Central readiness force (Crf) Ground self defense force (Gsdf) erano già in prima linea sul fronte del disastro nucleare: la prima brigata elicotteristi Crf era stata schierata per sversare acqua dal cielo sul reattore numero 1 surriscaldato, ma il 16 marzo aveva dovuto interrompere la stessa l'operazione sul reattore 3, per tentare di riprenderla il giorno dopo da terra.
Il premier Kan chiese al governatore di Tokyo, Shintaro Ishihara, di inviare i vigili del fuoco di Tokyo a dar manforte alle operazioni di emergenza nella centrale nucleare di Fukushima, e il Dipartimento di polizia metropolitana inviò un'unità antisommossa dotata di un camion con un cannone ad acqua ad alta pressione. L'unità Sdf assegnata alla missione più pericolosa era la Central nuclear biological chemical weapon defense unit, comandata dal tenente colonnello Kazunori Hishinuma.
In tutto, a Fukushima Daiichi erano arrivate da tutto il Giappone 11 autopompe della Sdf. La sera del 17 marzo, i pompieri dell'Sdf, accompagnata da mezzi per la protezione chimica, lasciarono il J-Village, un complesso sportivo che veniva utilizzato come base operativa per far fronte alla crisi nucleare. Si trattava di mezzi dotati di un sistema di purificazione dell'aria, che possono circolare liberamente anche in aree inquinate. I militari dell'unità ombra attraversarono un paesaggio spettrale fatto di città e villaggi completamente abbandonati.
Hishinuma aveva già vissuto una situazione simile il 20 marzo 1995, dopo l'attacco con il gas nervino sarin contro la metropolitana di Tokyo, perpetrato dalla setta Aum Shinrikyo del giorno del giudizio. Allora Hishinuma, con una tuta di protezione chimica, era intervenuto nella stazione di Kodenmacho della linea della metropolitana Hibiya per spruzzare un agente di decontaminazione sulla banchina ed i vagoni del treno e poi rimuovere il tutto con una spazzola. Hishinuma di quella tragedia ricorda soprattutto il profondo silenzio e la sua strana calma.
L'unità ombra di Hishinuma arrivò a Fukushima Daiichi ed al cancello principale trovò tre "liquidatori" della Tepco con indosso tute bianche protettive con il loro nome scritto sul petto: i militari chiesero ai liquidatori come potevano accedere al reattore, ma i lavoratori dissero loro che non c'era modo di avvicinarsi al reattore, perché tutta la zona era disseminata di macerie. Quindi venne deciso che i pompieri Sdf si mettessero in fila a circa 100 metri dal reattore 3 e che uno alla volta si avvicinassero al reattore per sparare acqua ad alta pressione, affiancati da due veicoli per la protezione chimica che dovevano fare da scudo alle radiazioni. A differenza di quanto si disse subito, i mezzi antincendio sarebbero stati gestiti dai militari del Gsdf formati per la lotta contro gli incendi a bordo di aircraft. L'operazione di "innaffiamento" da terra del rettore 3 comincio alle 7,35 e l'unità ombra vide subito sprigionarsi dall'edificio una Colonna di vapore radioattivo. Alle 8:09 era già stata scaricata tutta l'acqua dei veicoli antincendio: 35 tonnellate.
Una settimana dopo il terremoto/tsunami dell'11 marzo 2011 nella centrale nucleare di Fukushimsa Daiichi il caos era totale, l'area era occupata da camion di pompieri, macchinari pesanti, mezzi di trasporto e altri tipi di macchinari e veicoli appartenenti alle forze di polizia, dei vigili del fuoco, delle Sdf e della Tepco, ma l‘area pullulava anche di "liquidatori" che ricevevano spesso ordini contraddittori provenienti dalle diverse forze di intervento e dalla Tepco. Tutti però stavano intervenendo eroicamente perché il reattore 3 non andasse davvero fuori controllo, provocando un'immane catastrofe nucleare. Quello che mancava era che qualcuno assumesse il comando di tutte le organizzazioni per coordinare gli sforzi per contenere la crisi nucleare. Fu allora che il primo ministro emise una direttiva che dava ai militari dell'Sdf il compito di tenere sotto controllo le operazioni nella centrale nucleare: la ragione principale di questa decisione fu che le unità ombra del Gsdf avevano accumulato una grande esperienza nella risposta a disastri ed emergenze, anche in operazioni segrete all'estero.
Come coordinatore sul campo venne nominato il generale Masato Taura, vice comandante generale della Crf-Gsdf, affiancato dal generale Imaura Yuki, anche lui vicecomandante Crf-Gsdf, che ogni 5 giorni gli avrebbe dato il cambio a Fukushima Daiichi. Taura aveva comandato le operazioni "riservate" dell'Sdf n Iraq e ad Haiti dopo il devastante terremoto del 2010. La prima cosa che fece fu quella di riunire i più alti dirigenti delle organizzazioni coinvolte, ma cercò di non far vedere e capire che erano i militari ad avere il controllo delle operazioni. Secondo quanto scrive The Asahi Shimbun Taura disse al meeting: «Sono stato nominato per servire in qualità di coordinatore», facendo capire che intendeva lavorare dietro le quinte. Ma dopo poche ore un altissimo ufficiale dell'Sdf aveva già chiamato per telefono il capo dell'unità del dipartimento dei vigili del fuoco di Tokyo perché la sua unità al lavoro a Fukushima Daiichi aveva ritardato di 5 ore il suo intervento sul reattore 3, ostacolata da enormi quantità di detriti radioattivi che impedivano ai pompieri di avvicinarsi al reattore.
L'alto papavero militare disse al capo dei pompieri: «Che cosa stai facendo? Se non potete farlo in questo momento, lasciate che sia l'Sdf a farlo», poi chiamò Taura e gli chiese se per l'unità ombra fosse un problema sostituire i pompieri. Taura capì che il suo comando non aveva compreso quale fosse la situazione nella centrale nucleare e che se l'unità Sdf avesse sostituito i vigili del fuoco del fuoco di Tokyo il loro morale sarebbe crollato. Taura cercò di spiegare al suo superiore al telefono la situazione di Fukushima Daiichi: strade ostruite dalle macerie che non permettevano il transito contemporaneo di due veicoli; per preparare un'unità Sdf ad intervenire ci sarebbero volute almeno 3 ore, inoltre i vigili del fuoco erano in grado di gettare più acqua sul reattore. L'ordine di intervento diretto dell'unità ombra venne ritirato ed i pompieri riuscirono ad intervenire sul reattore prima dell'alba del 19 marzo. La vicenda cementò il rapporto di fiducia tra pompieri e militari.
Ma il Gsdf aveva una grana più grossa, e tutta interna: la fretta con la quale era stata messa insieme la sua unità antincendio con elementi provenienti dai tre rami del Sdf e da varie basi militari del Giappone. Per questo motivo, la maggior parte dei "liquidatori" dell'unità ombra non si conoscevano e c'era una certa rivalità tra i membri. Ma, oltre che per il debole senso di solidarietà interna, Taura era preoccupato anche per lo stress fisico e psicologico che i membri dell'unità avevano subito. Il 19 marzo 2011, Taura riunì l'unità ombra al J-Village e chiese loro perché avevano accettato di venire nell'inferno nucleare di Fukushima Daiichi e cosa gli passasse per la mente.
The Asahi Shimbun scrive che un militare disse che sua moglie si era opposta con rabbia alla decisione di andare a Fukushima, ma che lui le aveva detto: «Lasciami andare. Se non vado me ne pentirei per il resto della mia vita e questo significherebbe solo che qualcun altro dovrebbe andare». Un altro militare spiegò: «Sono originario della prefettura di Miyagi. Un mio parente è morto a Sendai. Mi sono offerto volontario per questa missione, perché sentivo che avrebbe aiutato le vittime del disastro». Un membro della Maritime Sdf vicino alla pensione spiegò: «I membri più giovani hanno un lungo futuro davanti a loro. Sono venuto qui perché ho pensato che questa fosse un'occasione per i membri più anziani. Dopo la guerra del Golfo Persico, questo è ciò che alcuni dei miei commilitoni anziani mi dissero quando si stavano preparando a partire per una missione all'estero». Un altro soldato si era offerto volontario perché era single, e aveva detto ad un suo superiore: «Dato che sei uno sposino, voglio che tu resti. Se ti succedesse qualcosa, non sarei mai in grado di affrontare tua moglie».
Altri raccontarono i drammi e gli scontri in famiglia dopo la loro decisione di andare a Fukushima Daiichi, e che le loro famiglie dicessero che sul disastro nucleare dovevano essere inviati solo militari scapoli». Un soldato disse semplicemente a Taura: «Non ci chieda quale sia il nostro desiderio, ma solo cosa faremo se ci dicono di andare, perché sa che ci andremo se ce lo dice lei».
Molti tra i liquidatori dell'unità ombra erano preoccupati perché gli sforzi per intervenire sul disastro nucleare sembravano vani: «Dato che da un firetruck possono essere trasportate solo 10 tonnellate di acqua, è tutto esaurito in meno di tre minuti di getto. Vorrei spruzzare un volume molto più grande di acqua», oppure: «Dobbiamo indossare indumenti protettivi, occhiali e un giubbotto di piombo. Il calore e il peso degli attrezzi risucchia le nostre forze. In piedi di fronte al reattore n° 3, mi sono reso conto della gravità della situazione. Non riesco a spiegare la ragione, ma le lacrime sgorgavano dai miei occhi».
Probabilmente, è solo grazie a eroi sconosciuti come questi se il mondo non ha dovuto conoscere a Fukushima Daiichi una catastrofe nucleare ancora più grande.
GreenReport - Il 15 marzo 2011, quando il quartier generale per affrontare l'emergenza nucleare di Fukushima Daiichi era stato spostato nella sede della prefettura di Fukushima, anche il gabinetto del primo ministro e il ministero della difesa del Giappone avviarono una nuova fase per affrontare la crisi nucleare ormai senza freni. Di prima mattina il primo ministro democratico Naoto Kan si precipitò nella sede centrale della Tokyo electric power company (Tepco) a Tokyo per definire finalmente una risposta integrata al disastro nucleare innescato da quello che i giapponesi chiamano Grande Terremoto e tsunami del Giappone orientale dell'11 marzo 2011. Kan era pressato anche dagli Usa che sollecitavano il Giappone a fare una sforzo nazionale, compreso l'uso delle Self defense forces (Sdf , le forze armate giapponesi), per contenere una crisi nucleare che ormai era chiara in tutte le sue possibili devastanti conseguenze, invece di lasciar credere che la Tepco potesse riportare la situazione sotto controllo.
Gli americani ed il resto del mondo non sapevano che le "unità ombra" della Central readiness force (Crf) Ground self defense force (Gsdf) erano già in prima linea sul fronte del disastro nucleare: la prima brigata elicotteristi Crf era stata schierata per sversare acqua dal cielo sul reattore numero 1 surriscaldato, ma il 16 marzo aveva dovuto interrompere la stessa l'operazione sul reattore 3, per tentare di riprenderla il giorno dopo da terra.
Il premier Kan chiese al governatore di Tokyo, Shintaro Ishihara, di inviare i vigili del fuoco di Tokyo a dar manforte alle operazioni di emergenza nella centrale nucleare di Fukushima, e il Dipartimento di polizia metropolitana inviò un'unità antisommossa dotata di un camion con un cannone ad acqua ad alta pressione. L'unità Sdf assegnata alla missione più pericolosa era la Central nuclear biological chemical weapon defense unit, comandata dal tenente colonnello Kazunori Hishinuma.
In tutto, a Fukushima Daiichi erano arrivate da tutto il Giappone 11 autopompe della Sdf. La sera del 17 marzo, i pompieri dell'Sdf, accompagnata da mezzi per la protezione chimica, lasciarono il J-Village, un complesso sportivo che veniva utilizzato come base operativa per far fronte alla crisi nucleare. Si trattava di mezzi dotati di un sistema di purificazione dell'aria, che possono circolare liberamente anche in aree inquinate. I militari dell'unità ombra attraversarono un paesaggio spettrale fatto di città e villaggi completamente abbandonati.
Hishinuma aveva già vissuto una situazione simile il 20 marzo 1995, dopo l'attacco con il gas nervino sarin contro la metropolitana di Tokyo, perpetrato dalla setta Aum Shinrikyo del giorno del giudizio. Allora Hishinuma, con una tuta di protezione chimica, era intervenuto nella stazione di Kodenmacho della linea della metropolitana Hibiya per spruzzare un agente di decontaminazione sulla banchina ed i vagoni del treno e poi rimuovere il tutto con una spazzola. Hishinuma di quella tragedia ricorda soprattutto il profondo silenzio e la sua strana calma.
L'unità ombra di Hishinuma arrivò a Fukushima Daiichi ed al cancello principale trovò tre "liquidatori" della Tepco con indosso tute bianche protettive con il loro nome scritto sul petto: i militari chiesero ai liquidatori come potevano accedere al reattore, ma i lavoratori dissero loro che non c'era modo di avvicinarsi al reattore, perché tutta la zona era disseminata di macerie. Quindi venne deciso che i pompieri Sdf si mettessero in fila a circa 100 metri dal reattore 3 e che uno alla volta si avvicinassero al reattore per sparare acqua ad alta pressione, affiancati da due veicoli per la protezione chimica che dovevano fare da scudo alle radiazioni. A differenza di quanto si disse subito, i mezzi antincendio sarebbero stati gestiti dai militari del Gsdf formati per la lotta contro gli incendi a bordo di aircraft. L'operazione di "innaffiamento" da terra del rettore 3 comincio alle 7,35 e l'unità ombra vide subito sprigionarsi dall'edificio una Colonna di vapore radioattivo. Alle 8:09 era già stata scaricata tutta l'acqua dei veicoli antincendio: 35 tonnellate.
Una settimana dopo il terremoto/tsunami dell'11 marzo 2011 nella centrale nucleare di Fukushimsa Daiichi il caos era totale, l'area era occupata da camion di pompieri, macchinari pesanti, mezzi di trasporto e altri tipi di macchinari e veicoli appartenenti alle forze di polizia, dei vigili del fuoco, delle Sdf e della Tepco, ma l‘area pullulava anche di "liquidatori" che ricevevano spesso ordini contraddittori provenienti dalle diverse forze di intervento e dalla Tepco. Tutti però stavano intervenendo eroicamente perché il reattore 3 non andasse davvero fuori controllo, provocando un'immane catastrofe nucleare. Quello che mancava era che qualcuno assumesse il comando di tutte le organizzazioni per coordinare gli sforzi per contenere la crisi nucleare. Fu allora che il primo ministro emise una direttiva che dava ai militari dell'Sdf il compito di tenere sotto controllo le operazioni nella centrale nucleare: la ragione principale di questa decisione fu che le unità ombra del Gsdf avevano accumulato una grande esperienza nella risposta a disastri ed emergenze, anche in operazioni segrete all'estero.
Come coordinatore sul campo venne nominato il generale Masato Taura, vice comandante generale della Crf-Gsdf, affiancato dal generale Imaura Yuki, anche lui vicecomandante Crf-Gsdf, che ogni 5 giorni gli avrebbe dato il cambio a Fukushima Daiichi. Taura aveva comandato le operazioni "riservate" dell'Sdf n Iraq e ad Haiti dopo il devastante terremoto del 2010. La prima cosa che fece fu quella di riunire i più alti dirigenti delle organizzazioni coinvolte, ma cercò di non far vedere e capire che erano i militari ad avere il controllo delle operazioni. Secondo quanto scrive The Asahi Shimbun Taura disse al meeting: «Sono stato nominato per servire in qualità di coordinatore», facendo capire che intendeva lavorare dietro le quinte. Ma dopo poche ore un altissimo ufficiale dell'Sdf aveva già chiamato per telefono il capo dell'unità del dipartimento dei vigili del fuoco di Tokyo perché la sua unità al lavoro a Fukushima Daiichi aveva ritardato di 5 ore il suo intervento sul reattore 3, ostacolata da enormi quantità di detriti radioattivi che impedivano ai pompieri di avvicinarsi al reattore.
L'alto papavero militare disse al capo dei pompieri: «Che cosa stai facendo? Se non potete farlo in questo momento, lasciate che sia l'Sdf a farlo», poi chiamò Taura e gli chiese se per l'unità ombra fosse un problema sostituire i pompieri. Taura capì che il suo comando non aveva compreso quale fosse la situazione nella centrale nucleare e che se l'unità Sdf avesse sostituito i vigili del fuoco del fuoco di Tokyo il loro morale sarebbe crollato. Taura cercò di spiegare al suo superiore al telefono la situazione di Fukushima Daiichi: strade ostruite dalle macerie che non permettevano il transito contemporaneo di due veicoli; per preparare un'unità Sdf ad intervenire ci sarebbero volute almeno 3 ore, inoltre i vigili del fuoco erano in grado di gettare più acqua sul reattore. L'ordine di intervento diretto dell'unità ombra venne ritirato ed i pompieri riuscirono ad intervenire sul reattore prima dell'alba del 19 marzo. La vicenda cementò il rapporto di fiducia tra pompieri e militari.
Ma il Gsdf aveva una grana più grossa, e tutta interna: la fretta con la quale era stata messa insieme la sua unità antincendio con elementi provenienti dai tre rami del Sdf e da varie basi militari del Giappone. Per questo motivo, la maggior parte dei "liquidatori" dell'unità ombra non si conoscevano e c'era una certa rivalità tra i membri. Ma, oltre che per il debole senso di solidarietà interna, Taura era preoccupato anche per lo stress fisico e psicologico che i membri dell'unità avevano subito. Il 19 marzo 2011, Taura riunì l'unità ombra al J-Village e chiese loro perché avevano accettato di venire nell'inferno nucleare di Fukushima Daiichi e cosa gli passasse per la mente.
The Asahi Shimbun scrive che un militare disse che sua moglie si era opposta con rabbia alla decisione di andare a Fukushima, ma che lui le aveva detto: «Lasciami andare. Se non vado me ne pentirei per il resto della mia vita e questo significherebbe solo che qualcun altro dovrebbe andare». Un altro militare spiegò: «Sono originario della prefettura di Miyagi. Un mio parente è morto a Sendai. Mi sono offerto volontario per questa missione, perché sentivo che avrebbe aiutato le vittime del disastro». Un membro della Maritime Sdf vicino alla pensione spiegò: «I membri più giovani hanno un lungo futuro davanti a loro. Sono venuto qui perché ho pensato che questa fosse un'occasione per i membri più anziani. Dopo la guerra del Golfo Persico, questo è ciò che alcuni dei miei commilitoni anziani mi dissero quando si stavano preparando a partire per una missione all'estero». Un altro soldato si era offerto volontario perché era single, e aveva detto ad un suo superiore: «Dato che sei uno sposino, voglio che tu resti. Se ti succedesse qualcosa, non sarei mai in grado di affrontare tua moglie».
Altri raccontarono i drammi e gli scontri in famiglia dopo la loro decisione di andare a Fukushima Daiichi, e che le loro famiglie dicessero che sul disastro nucleare dovevano essere inviati solo militari scapoli». Un soldato disse semplicemente a Taura: «Non ci chieda quale sia il nostro desiderio, ma solo cosa faremo se ci dicono di andare, perché sa che ci andremo se ce lo dice lei».
Molti tra i liquidatori dell'unità ombra erano preoccupati perché gli sforzi per intervenire sul disastro nucleare sembravano vani: «Dato che da un firetruck possono essere trasportate solo 10 tonnellate di acqua, è tutto esaurito in meno di tre minuti di getto. Vorrei spruzzare un volume molto più grande di acqua», oppure: «Dobbiamo indossare indumenti protettivi, occhiali e un giubbotto di piombo. Il calore e il peso degli attrezzi risucchia le nostre forze. In piedi di fronte al reattore n° 3, mi sono reso conto della gravità della situazione. Non riesco a spiegare la ragione, ma le lacrime sgorgavano dai miei occhi».
Probabilmente, è solo grazie a eroi sconosciuti come questi se il mondo non ha dovuto conoscere a Fukushima Daiichi una catastrofe nucleare ancora più grande.
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