“Avevamo promesso che avremmo continuato la missione di salvataggio finché non avremmo trovato l’ultimo corpo. Ora non ci sono più possibilità di trovarne altri”.
Misna - Così, citato dal quotidiano The Daily Star, il generale dell’esercito Chowdhury Hasan Suhrawardy ha annunciato la fine delle operazioni di ricerca delle persone rimaste sepolte sotto le macerie del Rana Plaza, l’edificio di otto piani a Savar, alla periferia di Dhaka crollato il 24 aprile. Il bilancio ufficiale della più grave tragedia della storia industriale del Bangladesh si è fermato a 1127 morti, 98 dispersi, 2438 estratti vivi; 234 corpi sono stati sepolti senza essere stati riconosciuti, altri 59 attendono ancora in un obitorio di essere identificati. Non è ancora chiaro quante persone si trovassero all’interno del complesso che ospitava negozi, una banca, ai piani inferiori, e anche sette laboratori tessili, a quelli superiori: a pagare con la vita sono stati gli operai tessili, costretti con la forza a recarsi al lavoro dal padrone dello stabile, Sohel Rana – finito agli arresti – nonostante fosse pubblico il rischio di un cedimento dell’edificio.
Mentre stamani l’esercito passava il controllo dell’area alle autorità locali, decine di parenti delle vittime, tenendo in mano le fotografie dei loro cari, sono tornati a protestare chiedendo la restituzione delle spoglie di tutti i dispersi e invocando la pena capitale per Sohel Rana.
Il crollo ha messo in luce le penose condizioni in cui sono costretti a lavorare gli operai tessili che producono abbigliamento a basso costo per le industrie occidentali ma anche la mancanza di controlli nell’edilizia; a cedere sono stati infatti i piani più alti, quelli che, in base alle indagini, Rana avrebbe costruito senza autorizzazione.
A più riprese, l’arcivescovo di Dhaka, monsignor Patrick D’Rozario, ha invocato giustizia per gli operai, chiedendo anche che la comunità internazionale faccia pressione per garantire migliori condizioni nelle fabbriche. Il presule ha anche sottolineato che “la corruzione endemica è un fattore che contribuisce a far sì che oltre il 90% degli edifici in Bangladesh non sia costruiti rispettando le regole”.
Misna - Così, citato dal quotidiano The Daily Star, il generale dell’esercito Chowdhury Hasan Suhrawardy ha annunciato la fine delle operazioni di ricerca delle persone rimaste sepolte sotto le macerie del Rana Plaza, l’edificio di otto piani a Savar, alla periferia di Dhaka crollato il 24 aprile. Il bilancio ufficiale della più grave tragedia della storia industriale del Bangladesh si è fermato a 1127 morti, 98 dispersi, 2438 estratti vivi; 234 corpi sono stati sepolti senza essere stati riconosciuti, altri 59 attendono ancora in un obitorio di essere identificati. Non è ancora chiaro quante persone si trovassero all’interno del complesso che ospitava negozi, una banca, ai piani inferiori, e anche sette laboratori tessili, a quelli superiori: a pagare con la vita sono stati gli operai tessili, costretti con la forza a recarsi al lavoro dal padrone dello stabile, Sohel Rana – finito agli arresti – nonostante fosse pubblico il rischio di un cedimento dell’edificio.
Mentre stamani l’esercito passava il controllo dell’area alle autorità locali, decine di parenti delle vittime, tenendo in mano le fotografie dei loro cari, sono tornati a protestare chiedendo la restituzione delle spoglie di tutti i dispersi e invocando la pena capitale per Sohel Rana.
Il crollo ha messo in luce le penose condizioni in cui sono costretti a lavorare gli operai tessili che producono abbigliamento a basso costo per le industrie occidentali ma anche la mancanza di controlli nell’edilizia; a cedere sono stati infatti i piani più alti, quelli che, in base alle indagini, Rana avrebbe costruito senza autorizzazione.
A più riprese, l’arcivescovo di Dhaka, monsignor Patrick D’Rozario, ha invocato giustizia per gli operai, chiedendo anche che la comunità internazionale faccia pressione per garantire migliori condizioni nelle fabbriche. Il presule ha anche sottolineato che “la corruzione endemica è un fattore che contribuisce a far sì che oltre il 90% degli edifici in Bangladesh non sia costruiti rispettando le regole”.
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