lunedì, maggio 27, 2013
Nella nuova edizione, che esce contemporaneamente all’uscita del film di Lanzmann, il lungo memoriale di Wolf Murmelstein, figlio di Benjamin che ricorda le sofferenze del padre negli anni della Shoah, ma anche in quelli successivi: senza risparmiare critiche all’interno della comunità ebraica.

Insieme al film documentario di Claude Lanzmann “L'ultimo degli ingiusti”, presentato a Cannes e centrato su un'intervista a Benjamin Murmelstein, che aveva guidato sino alla Liberazione il “'ghetto modello” di Terezin nell'ex Cecoslovacchia, e che fu l'unico “Jewish elder” (definizione nazista) sopravvissuto, sta arrivando in libreria, con i tipi dell’Editrice La Scuola, una nuova edizione del volume in cui Benjamin offre la sua testimonianza: “Terezin, il ghetto modello di Eichmann”, descrivendo la realtà voluta da Eichmann nel '41 per ingannare il mondo e gli stessi ebrei. Degli oltre 140.000 ebrei internati dai nazisti nella città fortezza (nell’attuale Repubblica Ceca) solo 17.247 ebrei sopravvissero agli stenti, alle malattie e alla deportazione verso Auschwitz. Benjamin Murmelstein si trovò -in quelle circostanze terribili ed eccezionali – a svolgere un ruolo importante nella gestione della comunità dei prigionieri e fu, per questo, oggetto di campagne denigratorie e di accuse di collaborazionismo. Nel suo libro, documento di grande rilievo storico, c’è l’opera di un “testimone mai sentito” convinto che l’essere sopravvissuto debba tradursi in un contributo utile per la difesa dell’umanità.

“Può anche darsi che, fra tutti i condannati a “sapere”, io solo non sia stato liquidato per una di quelle assurde circostanze verificatesi spesso a Terezin. Invece se la vita risparmiata ha una ragion d’essere… questa è la storia del ghetto di Terezin”, si legge nell’ opera che presenta una lunga nuova postfazione di Wolf Murmelstein, figlio di Benjamin. E’ lui a raccontare le lunghe sofferenze del padre negli anni della Shoah, ma pure – e sarà elemento di polemica- in quelli successivi. “….L’allora Rabbino Capo di Roma, Elio Toaff, che nel 1983 aveva negato l’iscrizione in Comunità, nel 1989 gli vietò la sepoltura nella tomba della moglie. Il sepolcro di un Rabbino che in quegli anni era stato con la sua comunità doveva infatti rimanere “alla siepe” , al limite del nuovo Cimitero Flaminio”, afferma Wolf in queste pagine. E aggiunge: “Chi scrive fu mortificato col rifiuto di recitare in sinagoga la preghiera in ricordo del Padre perché avesse “parte del mondo futuro”. Solo dopo varie pressioni, in sede di Consulta Rabbinica Italiana, Elio Toaff “motivò” le proprie decisioni con generiche “informazioni negative”. Il desiderio di Benjamin Murmelstein di riposare accanto alla sua consorte, che per quarant’anni condivise con lui ansie e umiliazioni, non è stato rispettato”.

Il volume e la postfazione riaccendono l’attenzione su una lacuna nella narrazione della storia della Shoah , ma anche su una vicenda da tempo in attesa di definitivi chiarimenti.

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