giovedì, maggio 16, 2013
Dall’artigianato all’industria dei servizi alla persona, è il salto di qualità che deve compiere il welfare italiano soprattutto a sostegno delle famiglie. L’appello emerge dalla ricerca presentata ieri a Roma dal Censis e dalla Fondazione Ismu su incarico del Ministero del lavoro. Oltre ai dati quantitativi relativi alla domanda di assistenza e cura domestica e all’offerta, ancora prevalentemente basata sui lavoratori stranieri, vi si traccia anche un utile modello previsionale del fabbisogno nei prossimi 20 anni. 

 Radio Vaticana - E’ boom di collaboratori domestici nelle case degli italiani: sono un milione e 665 mila, con un incremento del 53% in dieci anni. E nel 2030, secondo la ricerca, ne serviranno almeno 500 mila in più. Sempre più decisivi per la tenuta stessa delle famiglie e più integrati in esse, i collaboratori alla cura della persona sono e saranno per lo più stranieri, oggi il 77,3%, rumeni, ucraini e filippini in testa. Ma causa crisi, specie nel sud Italia, si sta riversando nel settore un buon 36% di disoccupati, tuttavia meno professionali e meno stabili. Le cause sono note spiega Giancarlo Blangiardo della Fondazione Ismu:


“E’ chiaro che il cambiamento demografico, l’invecchiamento della popolazione, il cambiamento delle stesse strutture familiari, e naturalmente una maggiore abitudine a utilizzare questo tipo di servizio, creeranno una forte domanda aggiuntiva”. 

Sul fronte economico, le note più dolenti. La spesa mensile per un collaboratore è di media di 700 euro e non c’è contributo pubblico, se non l’accompagno, per il 31,4%. Il risultato è che con la crisi oltre la metà dei bilanci familiari non regge. Nel 15% è prevedibile che un componente lasci il lavoro per assistere un congiunto, nel 41,7% dei casi in famiglia si pensa anche a rinunciare al servizio. Una spirale perversa cui corrisponde anche una forte destrutturazione del settore, per cui vale il fattore fiducia, la competenza è scarsa e l’intermediazione è assente. E’ indispensabile, dice il Censis, incrociare il "welfare familiare", con un intervento pubblico di organizzazione e razionalizzazione dei servizi alla persona, basato sui vantaggi fiscali. Giuseppe Roma, direttore del Censis:

“Noi ci troviamo un sistema complesso, che nasce dalla spontaneità del ruolo che le famiglie hanno in Italia e che invece riteniamo debba rientrare in qualcosa di più organizzato. Serve più formazione per i collaboratori domestici e anche più attenzione alla intermediazione. E’ la strada del ‘voucher fiscale’: cioè, il fatto di accompagnare questa spesa degli italiani che raggiunge complessivamente i 20 miliardi l’anno. Si tratta di un enorme mercato che nei fatti non ha nessun tipo di agevolazione fiscale: negli altri Paesi, a partire dalla Francia, le famiglie mettono a disposizione le loro risorse, però lo Stato le sgrava quantomeno della componente fiscale”. 

E lo Stato, nel giro di due o tre anni, continua Giuseppe Roma, andrebbe in pari rispetto a quello che le detrazioni fiscali potrebbero comportare come perdita di gettito:

 “Io penso che se noi riduciamo alcuni sprechi del sistema pubblico e quelle risorse le mettiamo a scomputo della tassazione di quanto le famiglie pagano, già da subito si potrebbero avere meno oneri per lo Stato di quanto non si creda. Quindi, io penso che sia una cosa da fare nell’immediato”.

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