Oggi, 23 maggio, è la giornata nazionale di mobilitazione per la raccolta firme a favore dell’eutanasia legale. L’obiettivo è quello di raccogliere 50mila firme autenticate e certificate per poter rendere legale l’eutanasia in Italia.
di Simona Santullo
Eutanasia letteralmente significa “buona morte”; più o meno tutti ne abbiamo sentito parlare, e più o meno tutti sappiamo che consiste nel procurare intenzionalmente e “nel suo interesse” la morte di un individuo dichiarato malato terminale. In alcuni casi è il soggetto stesso a chiedere espressamente di morire, in altri casi il soggetto è incosciente e altri decidono per lui semplicemente sospendendo ogni forma di assistenza, alimentazione compresa, allo scopo di evitargli “inutili sofferenze”.
In Italia oggi chi aiuta un malato terminale a morire rischia fino a 12 anni di carcere, quindi molto spesso l’eutanasia viene praticata in maniera clandestina, ma chi la pratica compie volontariamente un abuso e un crimine. I sondaggi indicano però che la maggior parte degli italiani è favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia, e tramite la raccolta firme su proposta di legge di iniziativa popolare si vuole imporre la questione all’interno dell’agenda politica italiana, che invece sembra rimanere inamovibile su questa questione.
Il testo della proposta di legge, predisposto dall’Associazione Luca Coscioni, Uaar, Exit Italia, Radicali italiani e Amici di Eleonora Onlus, si fonda sull’art. 32 della Costituzione, che espressamente recita: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Il testo della proposta di legge vuole andare a definire, a fronte del diritto del paziente, il principio di non punibilità del medico e del personale sanitario che abbiano praticato trattamenti eutanasici, provocando la morte del paziente nel rispetto di tutta una serie di condizioni che devono necessariamente essere presenti nel malato terminale.
Esaminando i dati del 25° Rapporto Italia dell’Eurispes, del 31 gennaio 2013, il 64,6% degli italiani è favorevole alla legalizzazione, o alla depenalizzazione dell’eutanasia nel caso di una malattia terminale; il 77,3% degli italiani desidera poter scegliere liberamente le cure nel caso si trovasse a non essere cosciente, e quindi sarebbe disposto a firmare il proprio testamento biologico.
Ma la domanda è lecita: gli italiani sono davvero informati su questo argomento? Sappiamo davvero la differenza tra eutanasia attiva (iniezione letale) e passiva (sospensione volontaria di cure salvavita, utilizzo di oppiacei contro il dolore)? Sappiamo dell’esistenza delle così dette cure palliative tramite le quali è possibile ottenere una “buona morte”? Sappiamo che ne abbiamo diritto per legge, e che nonostante questo sia un diritto riconosciuto a tutti non ci sono finanziamenti adeguati per garantirle a tutti coloro che ne hanno bisogno? La vita e la morte degli individui sono argomenti davvero importanti ed estremamente delicati, e forse è necessaria più informazione da parte di tutte le istituzioni.
Purtroppo però di fronte alla carenza di informazione e alla mancanza di una normativa che regoli l’eutanasia, sono sempre più gli italiani malati terminali che si recano in altri paesi europei per porre fine alla propria vita tramite la “dolce morte”. In Svizzera, Olanda, Belgio e Lussemburgo sono legali sia la pratica del suicidio medicalmente assistito sia l’eutanasia attiva ottenuta tramite la somministrazione di farmaci letali. A Zurigo, in un grazioso loft decorosamente arredato con poltroncine e lettini ospedalieri c’è la sede dell’Associazione Di-gnitas, che pratica l’assistenza al suicidio e si occupa di tutto, dall’assistenza legale alla compilazione dei documenti necessari fino alla preparazione del cocktail di barbital che provoca perdita di conoscenza e, nel giro di qualche minuto, l’annullamento senza sofferenze delle funzioni respiratorie e cardiache che porta alla morte. Tutto questo ha un costo pari a 4mila euro, e una condizione: l’aspirante suicida il cocktail letale deve berlo da solo e davanti a testimoni per evitare che l’organizzazione possa essere perseguita legalmente. Già questo grande particolare indica che forse qualche cosa di eticamente e moralmente sbagliato in questa associazione c’è. In Italia, tanto per essere precisi, tale attività sarebbe perseguita per omicidio consenziente, un reato che prevede da 6 a 12 anni di carcere.
Mi fermo qui, non voglio andare oltre perché sono consapevole di quanto l’argomento sia estremamente delicato e oggetto di attivo dibattito in ambito religioso, legislativo, morale, scientifico ed etico. In ogni caso tale argomento ci porta a ragionare sulla morte e sulla paura reale che ognuno di noi ha di morire. Temiamo la morte perché sfugge completamente al nostro controllo, ci spaventano l’ignoto, il vuoto, l’idea di perdere tutto ciò che abbiamo. Ma è un errore pensare che decidere liberamente di andare incontro alla morte ci dia un minimo controllo su di essa.
Chiediamo alle istituzioni di aiutare le famiglie che affrontano il dramma della malattia terminale di un loro caro e che non devono essere lasciati soli. E’ necessario un tavolo dove governo e associazioni affrontino questo problema e trovino soluzioni e possibilità, ma che siano possibilità di vita, e non di morte.
di Simona Santullo
Eutanasia letteralmente significa “buona morte”; più o meno tutti ne abbiamo sentito parlare, e più o meno tutti sappiamo che consiste nel procurare intenzionalmente e “nel suo interesse” la morte di un individuo dichiarato malato terminale. In alcuni casi è il soggetto stesso a chiedere espressamente di morire, in altri casi il soggetto è incosciente e altri decidono per lui semplicemente sospendendo ogni forma di assistenza, alimentazione compresa, allo scopo di evitargli “inutili sofferenze”.
In Italia oggi chi aiuta un malato terminale a morire rischia fino a 12 anni di carcere, quindi molto spesso l’eutanasia viene praticata in maniera clandestina, ma chi la pratica compie volontariamente un abuso e un crimine. I sondaggi indicano però che la maggior parte degli italiani è favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia, e tramite la raccolta firme su proposta di legge di iniziativa popolare si vuole imporre la questione all’interno dell’agenda politica italiana, che invece sembra rimanere inamovibile su questa questione.
Il testo della proposta di legge, predisposto dall’Associazione Luca Coscioni, Uaar, Exit Italia, Radicali italiani e Amici di Eleonora Onlus, si fonda sull’art. 32 della Costituzione, che espressamente recita: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Il testo della proposta di legge vuole andare a definire, a fronte del diritto del paziente, il principio di non punibilità del medico e del personale sanitario che abbiano praticato trattamenti eutanasici, provocando la morte del paziente nel rispetto di tutta una serie di condizioni che devono necessariamente essere presenti nel malato terminale.
Esaminando i dati del 25° Rapporto Italia dell’Eurispes, del 31 gennaio 2013, il 64,6% degli italiani è favorevole alla legalizzazione, o alla depenalizzazione dell’eutanasia nel caso di una malattia terminale; il 77,3% degli italiani desidera poter scegliere liberamente le cure nel caso si trovasse a non essere cosciente, e quindi sarebbe disposto a firmare il proprio testamento biologico.
Ma la domanda è lecita: gli italiani sono davvero informati su questo argomento? Sappiamo davvero la differenza tra eutanasia attiva (iniezione letale) e passiva (sospensione volontaria di cure salvavita, utilizzo di oppiacei contro il dolore)? Sappiamo dell’esistenza delle così dette cure palliative tramite le quali è possibile ottenere una “buona morte”? Sappiamo che ne abbiamo diritto per legge, e che nonostante questo sia un diritto riconosciuto a tutti non ci sono finanziamenti adeguati per garantirle a tutti coloro che ne hanno bisogno? La vita e la morte degli individui sono argomenti davvero importanti ed estremamente delicati, e forse è necessaria più informazione da parte di tutte le istituzioni.
Purtroppo però di fronte alla carenza di informazione e alla mancanza di una normativa che regoli l’eutanasia, sono sempre più gli italiani malati terminali che si recano in altri paesi europei per porre fine alla propria vita tramite la “dolce morte”. In Svizzera, Olanda, Belgio e Lussemburgo sono legali sia la pratica del suicidio medicalmente assistito sia l’eutanasia attiva ottenuta tramite la somministrazione di farmaci letali. A Zurigo, in un grazioso loft decorosamente arredato con poltroncine e lettini ospedalieri c’è la sede dell’Associazione Di-gnitas, che pratica l’assistenza al suicidio e si occupa di tutto, dall’assistenza legale alla compilazione dei documenti necessari fino alla preparazione del cocktail di barbital che provoca perdita di conoscenza e, nel giro di qualche minuto, l’annullamento senza sofferenze delle funzioni respiratorie e cardiache che porta alla morte. Tutto questo ha un costo pari a 4mila euro, e una condizione: l’aspirante suicida il cocktail letale deve berlo da solo e davanti a testimoni per evitare che l’organizzazione possa essere perseguita legalmente. Già questo grande particolare indica che forse qualche cosa di eticamente e moralmente sbagliato in questa associazione c’è. In Italia, tanto per essere precisi, tale attività sarebbe perseguita per omicidio consenziente, un reato che prevede da 6 a 12 anni di carcere.
Mi fermo qui, non voglio andare oltre perché sono consapevole di quanto l’argomento sia estremamente delicato e oggetto di attivo dibattito in ambito religioso, legislativo, morale, scientifico ed etico. In ogni caso tale argomento ci porta a ragionare sulla morte e sulla paura reale che ognuno di noi ha di morire. Temiamo la morte perché sfugge completamente al nostro controllo, ci spaventano l’ignoto, il vuoto, l’idea di perdere tutto ciò che abbiamo. Ma è un errore pensare che decidere liberamente di andare incontro alla morte ci dia un minimo controllo su di essa.
Chiediamo alle istituzioni di aiutare le famiglie che affrontano il dramma della malattia terminale di un loro caro e che non devono essere lasciati soli. E’ necessario un tavolo dove governo e associazioni affrontino questo problema e trovino soluzioni e possibilità, ma che siano possibilità di vita, e non di morte.
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