In pochi minuti ha fatto il giro del mondo la notizia della morte di Giulio Andreotti. Il senatore a vita, 94 anni, è scomparso questa mattina nella sua abitazione di Roma. Alessandro Guarasci. ascolta
Radio Vaticana - Per 40 anni è stato tra gli emblemi della politica italiana, amato e non da tanti. Un uomo che ha stabilito tanti record: aveva solo 27 anni quando è stato eletto all’assemblea Costituente. Ha guidato 7 volte il governo stabilendo il primato dell'esecutivo piu' breve della Repubblica: 9 giorni. Sessantasei anni vissuti da parlamentare. Due i processi che ha dovuto subire (mafia e omicidio Pecorelli). Andreotti è morto questa mattina poco dopo le 12 nella sua casa romana. Niente camera ardente e funerali in forma privata domani pomeriggio a San Giovanni dei Fiorentini. Tantissimi i messaggi arrivati. Per il presidente Napolitano valutazioni approfondite le si potrà dare solo "in sede di giudizio storico" ma Andreotti ha comunque avuto “un ruolo di grande rilievo nelle istituzioni” e “ha rappresentato con eccezionale continuità l'Italia nelle relazioni internazionali e nella costruzione europea”. Per il premier Letta “se ne va un attore di primissimo piano di oltre sessant'anni di vita pubblica nazionale”.
E' il ricordo di un'amicizia consolidata nel tempo quello cui fa riferimento il cardinale Camilllo Ruini, parlando di Giulio Andreotti. Le sue parole in occasione della Lectio magistralis tenuta oggi a Roma sul Ruolo della fede in Dio nello spazio pubblico. Ascoltiamo il poporato al microfono di Gabriella Ceraso: ascolta
R. - E’ un ricordo molto antico, perché io ho conosciuto personalmente Andreotti nell’86, quando sono venuto qui, a Roma, come segretario della Conferenza episcopale e lui aveva già un notevole ruolo politico. Sono sempre rimasto colpito dalla sua saggezza, dal suo senso dell’umorismo e anche - certo - dalla sua maniera discreta ma tenace di tenersi agganciato ai valori cristiani. Abdreatti non nascondeva la sua fede, non nascondeva il suo credo. Era una persona che sapeva contemperare bene il ruolo istituzionale con le sue convinzioni di credente.
D. - E' stato anche uomo del dialogo?
R. - Ah, certamente! Andreotti parlava con tutti: era capace di tenere rapporti a 360°.
Amedeo Lomonaco ha chiesto un ricordo a padre Michele Simone, notista politico di Civiltà Cattolica: ascolta
R. - Indubbiamente fa parte della storia della Repubblica. Ritengo che, nonostante tutte le cose negative che gli sono state attribuite, non tutte poi provenissero da lui. Penso che la storia darà un giudizio tutto sommato positivo.
D. - Una storia indissolubilmente legata all’esperienza della Democrazia Cristiana...
R. – Andreotti, come dicevo, fa parte della storia della Repubblica e della storia della Democrazia Cristiana. Era un personaggio capace di conoscere veramente che cosa avveniva nel Paese, e quindi di addirizzare il timone della Democrazia Cristiana per darne un’interpretazione positiva. Non ha partecipato a particolari trame negative all’interno della Dc. Ha saputo valorizzare i valori di cui la Dc era portatrice fino al punto di puntellare alla fine la Democrazia Cristiana. Non si può dimenticare poi il suo apporto al compromesso storico e ciò che è accaduto in quell’epoca.
E sullo statista il giornalista del Corriere della Sera Massimo Franco ha scritto il libro "Andreotti. La vita di un uomo politico, la storia di un'epoca" edito da Mondadori". Sentiamolo intervistato da Alessandro Guarasci. ascolta
R. - E’ stato l’uomo che ha, in fondo, rappresentato l’amministrazione dello Stato Italiano, lo Stato democristiano, legato al Vaticano, legato alla Guerra Fredda, dal dopoguerra fino alla fine della Guerra Fredda. In quella fase Andreotti ha finito per simboleggiare il potere, anche se è stato qualcosa di più.
D. - Quanto ha cambiato l’Italia e il modo di fare politica?
R. - Lo ha cambiato molto, nel senso che rappresentava intanto un potere inamovibile, perché gli equilibrio della Guerra Fredda rendevano la Democrazia Cristiana il perno, il partito-Stato come si diceva e qualcosa di insostituibile. Secondo: rappresentava un potere abbastanza morbido, che cercava di non essere troppo invasivo, ma che naturalmente - per il fatto di non aver alternative - alla fine ha mostrato tutte le sue rughe e le sue contraddizioni. Quindi, con la fine della Guerra Fredda, si è esaurito nella sua funzione storica.
D. - Andreotti, però, viene ricordato anche per i suoi problemi giudiziari. Un uomo che, però, si è sempre difeso nel processo?
R. - Certamente in questo Andreotti si è rivelato un uomo responsabile, una persona che sapeva che cosa fosse il rispetto delle istituzioni e, in questo senso, anche un abile imputato: alla fine è stato per alcuni reati assolto e per altri è scattata la prescrizione. Ma la sua vicenda spiega che in realtà la complessità della vita italiana del dopoguerra non poteva essere giudica né letta soltanto con lenti giudiziarie.
Il 14 gennaio del 2004, nel giorno dell’85.mo compleanno di Giulio Andreotti, era stata conferita allo statista italiano la laurea in “Utroque Iure” nel corso di una cerimonia svoltasi alla Pontificia Università Lateranense. In quell’occasione, Amedeo Lomonaco aveva chiesto, proprio al presidente Giulio Andreotti, di tracciare un bilancio sul percorso di vita fino ad allora compiuto: ascolta
R. – Personalmente ringrazio Dio di poterli celebrare. Sono piuttosto emozionato per una certa intensità di affetto e di attenzione che vedo… Quando al bilancio, è un po’ difficile… Spero ancora di avere un po’ di tempo per gli attivi e i passivi e poi lo farò all’altro mondo confidando nella Misericordia di Dio.
D. – Quale ruolo ha avuto la fede nella sua vita?
R. - Determinante, a cominciare dagli inizi: io ero rimasto orfano appena nato, eravamo tre ragazzini in famiglia affidati a mia madre, soltanto con una piccola pensione di guerra, e trovammo nella parrocchia una specie di seconda famiglia e un parroco umanissimo, un uomo che mi ha aiutato a dare degli indirizzi - qualche volta ho tardato forse anche a capirli - che poi, quando sono diventato grande - per così dire - mi hanno dato un notevole apporto.
Radio Vaticana - Per 40 anni è stato tra gli emblemi della politica italiana, amato e non da tanti. Un uomo che ha stabilito tanti record: aveva solo 27 anni quando è stato eletto all’assemblea Costituente. Ha guidato 7 volte il governo stabilendo il primato dell'esecutivo piu' breve della Repubblica: 9 giorni. Sessantasei anni vissuti da parlamentare. Due i processi che ha dovuto subire (mafia e omicidio Pecorelli). Andreotti è morto questa mattina poco dopo le 12 nella sua casa romana. Niente camera ardente e funerali in forma privata domani pomeriggio a San Giovanni dei Fiorentini. Tantissimi i messaggi arrivati. Per il presidente Napolitano valutazioni approfondite le si potrà dare solo "in sede di giudizio storico" ma Andreotti ha comunque avuto “un ruolo di grande rilievo nelle istituzioni” e “ha rappresentato con eccezionale continuità l'Italia nelle relazioni internazionali e nella costruzione europea”. Per il premier Letta “se ne va un attore di primissimo piano di oltre sessant'anni di vita pubblica nazionale”.
E' il ricordo di un'amicizia consolidata nel tempo quello cui fa riferimento il cardinale Camilllo Ruini, parlando di Giulio Andreotti. Le sue parole in occasione della Lectio magistralis tenuta oggi a Roma sul Ruolo della fede in Dio nello spazio pubblico. Ascoltiamo il poporato al microfono di Gabriella Ceraso: ascolta
R. - E’ un ricordo molto antico, perché io ho conosciuto personalmente Andreotti nell’86, quando sono venuto qui, a Roma, come segretario della Conferenza episcopale e lui aveva già un notevole ruolo politico. Sono sempre rimasto colpito dalla sua saggezza, dal suo senso dell’umorismo e anche - certo - dalla sua maniera discreta ma tenace di tenersi agganciato ai valori cristiani. Abdreatti non nascondeva la sua fede, non nascondeva il suo credo. Era una persona che sapeva contemperare bene il ruolo istituzionale con le sue convinzioni di credente.
D. - E' stato anche uomo del dialogo?
R. - Ah, certamente! Andreotti parlava con tutti: era capace di tenere rapporti a 360°.
Amedeo Lomonaco ha chiesto un ricordo a padre Michele Simone, notista politico di Civiltà Cattolica: ascolta
R. - Indubbiamente fa parte della storia della Repubblica. Ritengo che, nonostante tutte le cose negative che gli sono state attribuite, non tutte poi provenissero da lui. Penso che la storia darà un giudizio tutto sommato positivo.
D. - Una storia indissolubilmente legata all’esperienza della Democrazia Cristiana...
R. – Andreotti, come dicevo, fa parte della storia della Repubblica e della storia della Democrazia Cristiana. Era un personaggio capace di conoscere veramente che cosa avveniva nel Paese, e quindi di addirizzare il timone della Democrazia Cristiana per darne un’interpretazione positiva. Non ha partecipato a particolari trame negative all’interno della Dc. Ha saputo valorizzare i valori di cui la Dc era portatrice fino al punto di puntellare alla fine la Democrazia Cristiana. Non si può dimenticare poi il suo apporto al compromesso storico e ciò che è accaduto in quell’epoca.
E sullo statista il giornalista del Corriere della Sera Massimo Franco ha scritto il libro "Andreotti. La vita di un uomo politico, la storia di un'epoca" edito da Mondadori". Sentiamolo intervistato da Alessandro Guarasci. ascolta
R. - E’ stato l’uomo che ha, in fondo, rappresentato l’amministrazione dello Stato Italiano, lo Stato democristiano, legato al Vaticano, legato alla Guerra Fredda, dal dopoguerra fino alla fine della Guerra Fredda. In quella fase Andreotti ha finito per simboleggiare il potere, anche se è stato qualcosa di più.
D. - Quanto ha cambiato l’Italia e il modo di fare politica?
R. - Lo ha cambiato molto, nel senso che rappresentava intanto un potere inamovibile, perché gli equilibrio della Guerra Fredda rendevano la Democrazia Cristiana il perno, il partito-Stato come si diceva e qualcosa di insostituibile. Secondo: rappresentava un potere abbastanza morbido, che cercava di non essere troppo invasivo, ma che naturalmente - per il fatto di non aver alternative - alla fine ha mostrato tutte le sue rughe e le sue contraddizioni. Quindi, con la fine della Guerra Fredda, si è esaurito nella sua funzione storica.
D. - Andreotti, però, viene ricordato anche per i suoi problemi giudiziari. Un uomo che, però, si è sempre difeso nel processo?
R. - Certamente in questo Andreotti si è rivelato un uomo responsabile, una persona che sapeva che cosa fosse il rispetto delle istituzioni e, in questo senso, anche un abile imputato: alla fine è stato per alcuni reati assolto e per altri è scattata la prescrizione. Ma la sua vicenda spiega che in realtà la complessità della vita italiana del dopoguerra non poteva essere giudica né letta soltanto con lenti giudiziarie.
Il 14 gennaio del 2004, nel giorno dell’85.mo compleanno di Giulio Andreotti, era stata conferita allo statista italiano la laurea in “Utroque Iure” nel corso di una cerimonia svoltasi alla Pontificia Università Lateranense. In quell’occasione, Amedeo Lomonaco aveva chiesto, proprio al presidente Giulio Andreotti, di tracciare un bilancio sul percorso di vita fino ad allora compiuto: ascolta
R. – Personalmente ringrazio Dio di poterli celebrare. Sono piuttosto emozionato per una certa intensità di affetto e di attenzione che vedo… Quando al bilancio, è un po’ difficile… Spero ancora di avere un po’ di tempo per gli attivi e i passivi e poi lo farò all’altro mondo confidando nella Misericordia di Dio.
D. – Quale ruolo ha avuto la fede nella sua vita?
R. - Determinante, a cominciare dagli inizi: io ero rimasto orfano appena nato, eravamo tre ragazzini in famiglia affidati a mia madre, soltanto con una piccola pensione di guerra, e trovammo nella parrocchia una specie di seconda famiglia e un parroco umanissimo, un uomo che mi ha aiutato a dare degli indirizzi - qualche volta ho tardato forse anche a capirli - che poi, quando sono diventato grande - per così dire - mi hanno dato un notevole apporto.
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