Tortora, insieme a Vianello, Bongiorno e Baudo è considerato uno dei padri fondatori della radio e della televisione italiana. Negli anni ’80 la sua brillante carriera si blocca improvvisamente a causa delle accuse, poi rivelatesi infondate, di associazione camorristica e traffico di droga
Nel 1983, poco dopo aver condotto con Pippo Baudo la trasmissione televisiva “Italia parla”, la carriera di Tortora si ferma. Il 17 giugno di quell’anno viene arrestato con l'accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico dalla Procura di Napoli. Le testimonianze che “incastrano” Tortora provengono da pregiudicati: Giovanni Pandico, Giovanni Melluso (detto “Gianni il Bello”), Pasquale Barra (noto per aver ucciso alcuni suoi compagni di galera, tra cui Francis Turatello, uno dei capi della criminalità organizzata milanese) e 8 imputati del processo della “Nuova Camorra Organizzata”, tra cui Michelangelo D’Agostino, detto il “Killer dei Cento giorni”.
Da aggiungere anche le testimonianze del pittore Giuseppe Margutti e di sua moglie Rosalba, che sostengono di aver visto Tortora spacciare droga; tali accuse, insieme a quelle dei malavitosi, portano inevitabilmente il presentatore in galera e successivamente agli arresti domiciliari. La “prova schiacciante” sarebbe stata un’agendina trovata in casa del camorrista Puca, detto ‘O Giappone, su cui c'è il nome di Tortora (la perizia calligrafica svelerà che il nome scritto è “Tortona” e non “Tortora”) ed un numero di telefono, inizialmente associato al presentatore ma poi rivelatosi non di sua proprietà.
Negli anni ’80 Tortora ha effettivamente un contatto con uno dei suoi accusatori, Giovanni Pandico. Questo gli aveva mandato dei centrini dal carcere perché venissero venduti all’asta nel programma Portobello. La redazione della trasmissione smarrisce i centrini e Tortora scrive a Pandico una lettera di scuse. L’uomo, schizofrenico e paranoico, inizia a provare per il presentatore sentimenti di odio e vendetta, tanto da iniziare ad inviargli lettere sempre più minacciose.
Nel 1984 Tortora viene eletto deputato al Parlamento europeo col Partito Radicale. Si dimetterà un anno dopo, rinunciando all’immunità parlamentare e scegliendo di continuare gli arresti domiciliari. Presto la sentenza si ribalta, e si approva che le accuse a carico di Tortora sono totalmente infondate. I molti testimoni che in un modo o nell’altro avevano infangato il nome del presentatore avevano diversi motivi per farlo: i camorristi speravano in una riduzione della pena per collaborazione ed il pittore Margutti voleva farsi pubblicità, sperando che la notorietà del caso gli facesse vendere i suoi quadri.
Tortora, dopo questo lungo periodo di assenza, può tornare finalmente in televisione, ma è leggermente invecchiato e soprattutto provato dalla vicenda che gli è capitata. La prima apparizione, che merita una standing ovation del pubblico, avviene sul palco di Portobello, dove un emozionato Tortora dice: “Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo "grazie" a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L'ho detto, e un'altra cosa aggiungo: io sono qui, e lo so anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi. Sarò qui, resterò qui, anche per loro. Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta”.
Enzo Tortora morirà nel 1988 a causa di un tumore polmonare. L’ex detenuto Melluso chiede perdono in un’intervista del 2010 a tutta la famiglia di Tortora, confessando che il piano ai danni del presentatore fu architettato per la vendetta dei due boss Barra e Pandico.
Nel 1983, poco dopo aver condotto con Pippo Baudo la trasmissione televisiva “Italia parla”, la carriera di Tortora si ferma. Il 17 giugno di quell’anno viene arrestato con l'accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico dalla Procura di Napoli. Le testimonianze che “incastrano” Tortora provengono da pregiudicati: Giovanni Pandico, Giovanni Melluso (detto “Gianni il Bello”), Pasquale Barra (noto per aver ucciso alcuni suoi compagni di galera, tra cui Francis Turatello, uno dei capi della criminalità organizzata milanese) e 8 imputati del processo della “Nuova Camorra Organizzata”, tra cui Michelangelo D’Agostino, detto il “Killer dei Cento giorni”.
Da aggiungere anche le testimonianze del pittore Giuseppe Margutti e di sua moglie Rosalba, che sostengono di aver visto Tortora spacciare droga; tali accuse, insieme a quelle dei malavitosi, portano inevitabilmente il presentatore in galera e successivamente agli arresti domiciliari. La “prova schiacciante” sarebbe stata un’agendina trovata in casa del camorrista Puca, detto ‘O Giappone, su cui c'è il nome di Tortora (la perizia calligrafica svelerà che il nome scritto è “Tortona” e non “Tortora”) ed un numero di telefono, inizialmente associato al presentatore ma poi rivelatosi non di sua proprietà.
Negli anni ’80 Tortora ha effettivamente un contatto con uno dei suoi accusatori, Giovanni Pandico. Questo gli aveva mandato dei centrini dal carcere perché venissero venduti all’asta nel programma Portobello. La redazione della trasmissione smarrisce i centrini e Tortora scrive a Pandico una lettera di scuse. L’uomo, schizofrenico e paranoico, inizia a provare per il presentatore sentimenti di odio e vendetta, tanto da iniziare ad inviargli lettere sempre più minacciose.
Nel 1984 Tortora viene eletto deputato al Parlamento europeo col Partito Radicale. Si dimetterà un anno dopo, rinunciando all’immunità parlamentare e scegliendo di continuare gli arresti domiciliari. Presto la sentenza si ribalta, e si approva che le accuse a carico di Tortora sono totalmente infondate. I molti testimoni che in un modo o nell’altro avevano infangato il nome del presentatore avevano diversi motivi per farlo: i camorristi speravano in una riduzione della pena per collaborazione ed il pittore Margutti voleva farsi pubblicità, sperando che la notorietà del caso gli facesse vendere i suoi quadri.
Tortora, dopo questo lungo periodo di assenza, può tornare finalmente in televisione, ma è leggermente invecchiato e soprattutto provato dalla vicenda che gli è capitata. La prima apparizione, che merita una standing ovation del pubblico, avviene sul palco di Portobello, dove un emozionato Tortora dice: “Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo "grazie" a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L'ho detto, e un'altra cosa aggiungo: io sono qui, e lo so anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi. Sarò qui, resterò qui, anche per loro. Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta”.
Enzo Tortora morirà nel 1988 a causa di un tumore polmonare. L’ex detenuto Melluso chiede perdono in un’intervista del 2010 a tutta la famiglia di Tortora, confessando che il piano ai danni del presentatore fu architettato per la vendetta dei due boss Barra e Pandico.
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