giovedì, maggio 09, 2013
“Daremo alle Nazioni Unite un’ultima opportunità e se non avremo la risposta che consideriamo opportuna entro 60 giorni ricorreremo ai tribunali”: lo ha annunciato in una conferenza stampa Ira Kurzban, legale statunitense del Bureau des Avocats Internationaux (Bai), che rappresenta le vittime dell’epidemia di colera dichiarata ad Haiti nell’ottobre 2010.  

Misna - Gli avvocati del Bai hanno chiesto all’Onu di risarcire le famiglie delle persone colpite dal colera, che secondo il Center for Disease Control and Prevention (Cdc) di Atlanta è stato introdotto nel paese dai ‘caschi blu’ nepalesi della base di Mirebalais, sul fiume Artibonite che ha contribuito alla massiccia e veloce propagazione. Il Palazzo di Vetro non ha mai ammesso la sua responsabilità, ritenendo impossibile determinare con precisione l’origine della malattia e il 21 febbraio ha respinto nuovamente una richiesta di risarcimento dichiarandola “irricevibile” in base alla sezione 29 della Convenzione sui privilegi e le immunità dell’Onu.

Al monito di Kurzban si è unito anche quello dell’Institute for Justice and Democracy in Haiti (Ijdh), con sede negli Stati Uniti, a nome di circa 8000 famiglie di vittime dell’epidemia che ha provocato fino a oggi 650.000 contagi e 8100 decessi: solo dall’inizio del 2013 si contano 184 morti e 18.000 nuovi casi.

Se l’Onu non arriverà ad un accordo per l’indennizzo richiesto entro due mesi – ha avvertito il direttore dell’Ijdh, Brian Concannon – verrà formalmente denunciata e in sede giudiziaria le verranno chiesti miliardi di dollari di danni. L’Ijdh reclama 100.000 dollari per ogni decesso e 50.000 per ogni contagiato: “Ci attendiamo una risposta rapida. Immunità non vuol dire impunità” ha detto Concannon.

A dicembre l’Onu aveva lanciato un appello per raccogliere 2,2 miliardi di dollari per finanziare una nuova campagna per sradicare l’epidemia. Un programma della durata decennale incentrato sul miglioramento delle condizioni sanitarie in un paese in cui sono ancora decine di migliaia gli sfollati prodotti dal devastante terremoto del gennaio 2010 costretti a vivere in accampamenti.


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