Papa Francesco alle consacrate: siate madri feconde, con gioia
Qual è la differenza tra una suora e una zitella? Sembrerebbe l’inizio di una barzelletta piccante, invece è il tema decisamente insolito (almeno così formulato) su cui Sua Santità ha istruito ieri in Vaticano 800 e passa consacrate di 75 diversi paesi, in rappresentanza del variegato esercito di 700.000 consacrate che annovera la Chiesa cattolica. Papa Francesco non si smentisce mai, neppure nel frequente utilizzo, come ormai ci ha abituato, di espressioni ed immagini piuttosto colorite, per dar voce a riflessioni che pochi altrimenti capirebbero e a cui pochi pure si interesserebbero, se fossero espresse in vellutate perifrasi nel gergo tecnico - teologico del mai abbastanza vituperato “ecclesialese”
. Linguaggio che non contempla certo il termine “zitella”, caduto in verità in disuso un po’ dappertutto, soppiantato dal più asettico, esterofilo “single”. Il quale anzitutto suona decisamente meno urtante del primo. Forse perché a differenza di “zitella”, che immediatamente evoca significati di segno tutti negativo, se non addirittura ferocemente beffardo, “single” senza ulteriori specificazioni non dice se la solitudine è una scelta “propria” o “altrui”. E oltretutto si applica a norma di grammatica indistintamente per uomini e donne, come se scelte, motivazioni e conse
guenze del non contrarre matrimonio potessero magari assomigliarsi un po’ tra le due metà del cielo, con buona di mentalità e preconcetti vecchi come il mondo ma ora avvertiti come troppo “maschilisti”. Chissà perché, del resto, il vocabolario manca di equivalente maschile di zitella, appunto
Essendo “single” di gran lunga più giovane, spigliato, trendy, ecco insomma spiegato il suo successo. Ma se il Papa lo avesse preferito a “zitelle”, probabilmente non sarebbe risultato altrettanto incisivo. Eppure sapeva che quest’ultimo oggigiorno suona parecchio antipatico. “Scusatemi se parlo così”, ha aggiunto subito come per correggersi, “ma è così importante questa maternità della vita consacrata, questa fecondità”.
Ecco la sostanza che si cela sotto la forma più o meno azzeccata. Anche la castità, il più controverso dei tre “consigli evangelici” professati con altrettanti voti dai consacrati, può e anzi deve essere “feconda”, “una castità che genera figli spirituali nella Chiesa. La consacrata è madre, deve essere madre e non zitella”, ha detto per la precisione Francesco. Parole da corredare con la precisazione forse non superflua che altrettanto il Papa avrebbe potuto affermare di padri e paternità dei consacrati uomini, se non fosse che nell’ occasione specifica il suo uditorio era l’assemblea dell’Unione internazionale superiore maggiori celebrata a Roma e composta, come già dice il nome (l’ atipico ecclesialese “superiora”), solo da donne.
La “differenza” di cui sopra, attorno a cui Bergoglio appunto rifletteva sta nella “gioia”, parola chiave, che c’è, nel caso delle suore madri, o non c’è, nelle suore zitelle. Gioia ovvero di essere caste ma spiritualmente feconde e che deve animare l’esistenza delle consacrate, ha esortato il papa argentino, chiedendosi pure “che cosa sarebbe la Chiesa senza di voi? Le mancherebbe maternità, affetto, tenerezza!”. Generare vita non nel corpo, ma soprattutto nello spirito. Un “carisma prezioso” per Francesco la castità, “che allarga la libertà del dono a Dio e agli altri”, un “segno del mondo futuro, per fare sempre risplendere il primato di Dio”. Una vocazione esigente, al contrario, troppo, per la mentalità corrente di questo mondo.
Sarà pure ruvido certo linguaggio, ma è servito al Papa a mirare dritto al cuore di quel mistero che è la vita consacrata, evangelico “segno di contraddizione” in cui leggere tra le righe la presenza del Signore che opera silenziosamente nella storia. Contraddizione rispetto alle logiche del mondo, a cui i consacrati mostrano con la loro vita che nessun attaccamento ad affetti, a ricchezze, alle diverse opportunità che la vita può offrire è capace di saziare la sete di infinito del cuore umano
La povertà, nelle parole odierne del Papa, diviene così “il superamento di ogni egoismo nella logica del Vangelo che insegna a confidare nella Provvidenza di Dio” e “si esprime anche in una sobrietà e gioia dell’essenziale, per mettere in guardia dagli idoli materiali che offuscano il senso autentico della vita”. Purché non sia povertà solo “teorica”, che non serve. La povertà, per Jorge Mario Bergoglio, va appresa manco a dirlo “nelle periferie esistenziali della vita”, “toccando la carne di Cristo povero negli ultimi, nei poveri, negli ammalati, nei bambini”.
Infine l’obbedienza, “ascolto della volontà di Dio” con una significativa precisazione, “accettando che l’obbedienza passi anche attraverso le mediazioni umane”, quelle vale a dire della Chiesa. Alla quale peraltro, altra annotazione del Papa meritevole di sottolineatura, fanno male “gli uomini e le donne di Chiesa che sono carrieristi, arrampicatori, che ‘usano’ il popolo, la Chiesa, i fratelli e le sorelle – quelli che dovrebbero servire – come trampolino per i propri interessi e le ambizioni personali”. Per dire che ogni potere nella Chiesa è servizio.
Sostanza, si diceva sopra, e forme. Quanto infine a queste ultime, resta il fatto che “zitelle” sarebbe tutto sommato raccomandabile non usarlo. Se non altro per non rinfocolare sorde ed annose polemiche su una certa, poco lusinghiera considerazione presso la Chiesa di single (donne e non solo) che vivono non senza sofferenza la propria condizione, subita più che voluta. Questione indubbiamente scivolosa, impossibile forse da esaurire in poco tempo, sicuramente da trattare col rispetto dovuto all’insondabile mistero che è la coscienza di ognuno di noi alle prese con le scelte di vita affettiva e sentimentale. Scelte tutte legittime e socialmente accettabili, anche le più discutibili, propaganda ora la mentalità corrente per reazione alla probabilmente eccessiva rigidità del passato. Ma il disorientamento generale che così si è prodotto è sotto gli occhi di tutti.
Basti dire dell’articolo 1658 del Catechismo della Chiesa cattolica, l’unico forse che si occupa delle cosiddette “persone celibi” (le quali “sono particolarmente vicine al cuore di Gesù”, e “a tutte loro bisogna aprire le porte dei focolari”), tutto venato di un tono di commiserazione degno di ben altre migliori cause. Nell’attesa che una nuova edizione di quell’autorevole testo corregga il tiro, valga per tutti quel che ieri ha detto il Papa, con riferimento sì all’ovvia condizione di single dei consacrati, ma forse non è una forzatura estenderlo a tutte le altre: ogni esistenza può essere animata in Cristo dalla gioia della fecondità spirituale.
Qual è la differenza tra una suora e una zitella? Sembrerebbe l’inizio di una barzelletta piccante, invece è il tema decisamente insolito (almeno così formulato) su cui Sua Santità ha istruito ieri in Vaticano 800 e passa consacrate di 75 diversi paesi, in rappresentanza del variegato esercito di 700.000 consacrate che annovera la Chiesa cattolica. Papa Francesco non si smentisce mai, neppure nel frequente utilizzo, come ormai ci ha abituato, di espressioni ed immagini piuttosto colorite, per dar voce a riflessioni che pochi altrimenti capirebbero e a cui pochi pure si interesserebbero, se fossero espresse in vellutate perifrasi nel gergo tecnico - teologico del mai abbastanza vituperato “ecclesialese”
. Linguaggio che non contempla certo il termine “zitella”, caduto in verità in disuso un po’ dappertutto, soppiantato dal più asettico, esterofilo “single”. Il quale anzitutto suona decisamente meno urtante del primo. Forse perché a differenza di “zitella”, che immediatamente evoca significati di segno tutti negativo, se non addirittura ferocemente beffardo, “single” senza ulteriori specificazioni non dice se la solitudine è una scelta “propria” o “altrui”. E oltretutto si applica a norma di grammatica indistintamente per uomini e donne, come se scelte, motivazioni e conse
guenze del non contrarre matrimonio potessero magari assomigliarsi un po’ tra le due metà del cielo, con buona di mentalità e preconcetti vecchi come il mondo ma ora avvertiti come troppo “maschilisti”. Chissà perché, del resto, il vocabolario manca di equivalente maschile di zitella, appunto
Essendo “single” di gran lunga più giovane, spigliato, trendy, ecco insomma spiegato il suo successo. Ma se il Papa lo avesse preferito a “zitelle”, probabilmente non sarebbe risultato altrettanto incisivo. Eppure sapeva che quest’ultimo oggigiorno suona parecchio antipatico. “Scusatemi se parlo così”, ha aggiunto subito come per correggersi, “ma è così importante questa maternità della vita consacrata, questa fecondità”.
Ecco la sostanza che si cela sotto la forma più o meno azzeccata. Anche la castità, il più controverso dei tre “consigli evangelici” professati con altrettanti voti dai consacrati, può e anzi deve essere “feconda”, “una castità che genera figli spirituali nella Chiesa. La consacrata è madre, deve essere madre e non zitella”, ha detto per la precisione Francesco. Parole da corredare con la precisazione forse non superflua che altrettanto il Papa avrebbe potuto affermare di padri e paternità dei consacrati uomini, se non fosse che nell’ occasione specifica il suo uditorio era l’assemblea dell’Unione internazionale superiore maggiori celebrata a Roma e composta, come già dice il nome (l’ atipico ecclesialese “superiora”), solo da donne.
La “differenza” di cui sopra, attorno a cui Bergoglio appunto rifletteva sta nella “gioia”, parola chiave, che c’è, nel caso delle suore madri, o non c’è, nelle suore zitelle. Gioia ovvero di essere caste ma spiritualmente feconde e che deve animare l’esistenza delle consacrate, ha esortato il papa argentino, chiedendosi pure “che cosa sarebbe la Chiesa senza di voi? Le mancherebbe maternità, affetto, tenerezza!”. Generare vita non nel corpo, ma soprattutto nello spirito. Un “carisma prezioso” per Francesco la castità, “che allarga la libertà del dono a Dio e agli altri”, un “segno del mondo futuro, per fare sempre risplendere il primato di Dio”. Una vocazione esigente, al contrario, troppo, per la mentalità corrente di questo mondo.
Sarà pure ruvido certo linguaggio, ma è servito al Papa a mirare dritto al cuore di quel mistero che è la vita consacrata, evangelico “segno di contraddizione” in cui leggere tra le righe la presenza del Signore che opera silenziosamente nella storia. Contraddizione rispetto alle logiche del mondo, a cui i consacrati mostrano con la loro vita che nessun attaccamento ad affetti, a ricchezze, alle diverse opportunità che la vita può offrire è capace di saziare la sete di infinito del cuore umano
La povertà, nelle parole odierne del Papa, diviene così “il superamento di ogni egoismo nella logica del Vangelo che insegna a confidare nella Provvidenza di Dio” e “si esprime anche in una sobrietà e gioia dell’essenziale, per mettere in guardia dagli idoli materiali che offuscano il senso autentico della vita”. Purché non sia povertà solo “teorica”, che non serve. La povertà, per Jorge Mario Bergoglio, va appresa manco a dirlo “nelle periferie esistenziali della vita”, “toccando la carne di Cristo povero negli ultimi, nei poveri, negli ammalati, nei bambini”.
Infine l’obbedienza, “ascolto della volontà di Dio” con una significativa precisazione, “accettando che l’obbedienza passi anche attraverso le mediazioni umane”, quelle vale a dire della Chiesa. Alla quale peraltro, altra annotazione del Papa meritevole di sottolineatura, fanno male “gli uomini e le donne di Chiesa che sono carrieristi, arrampicatori, che ‘usano’ il popolo, la Chiesa, i fratelli e le sorelle – quelli che dovrebbero servire – come trampolino per i propri interessi e le ambizioni personali”. Per dire che ogni potere nella Chiesa è servizio.
Sostanza, si diceva sopra, e forme. Quanto infine a queste ultime, resta il fatto che “zitelle” sarebbe tutto sommato raccomandabile non usarlo. Se non altro per non rinfocolare sorde ed annose polemiche su una certa, poco lusinghiera considerazione presso la Chiesa di single (donne e non solo) che vivono non senza sofferenza la propria condizione, subita più che voluta. Questione indubbiamente scivolosa, impossibile forse da esaurire in poco tempo, sicuramente da trattare col rispetto dovuto all’insondabile mistero che è la coscienza di ognuno di noi alle prese con le scelte di vita affettiva e sentimentale. Scelte tutte legittime e socialmente accettabili, anche le più discutibili, propaganda ora la mentalità corrente per reazione alla probabilmente eccessiva rigidità del passato. Ma il disorientamento generale che così si è prodotto è sotto gli occhi di tutti.
Basti dire dell’articolo 1658 del Catechismo della Chiesa cattolica, l’unico forse che si occupa delle cosiddette “persone celibi” (le quali “sono particolarmente vicine al cuore di Gesù”, e “a tutte loro bisogna aprire le porte dei focolari”), tutto venato di un tono di commiserazione degno di ben altre migliori cause. Nell’attesa che una nuova edizione di quell’autorevole testo corregga il tiro, valga per tutti quel che ieri ha detto il Papa, con riferimento sì all’ovvia condizione di single dei consacrati, ma forse non è una forzatura estenderlo a tutte le altre: ogni esistenza può essere animata in Cristo dalla gioia della fecondità spirituale.
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