mercoledì, maggio 29, 2013
A causa della crisi economica molti si privano, spesso obbligati dai debiti, delle cose più preziose che hanno e che quasi sempre conservano un valore affettivo. Si dice che chi vende il suo oro sia arrivato davvero all'ultima spiaggia, e non c'è da sorprendersi se il fenomeno negli ultimi anni ha raggiunto percentuali di richiesta a dir poco esorbitanti 

di Ilaria Sulla 

Secondo i dati dell’Eurispes, nel 2012 il 28,5% degli italiani si è rivolto almeno una volta ai famosi “compro-oro” rispetto all'8,5% dell’anno precedente. Purtroppo le attività che offrono questo tipo di servizio non sono sempre a norma e infatti, come sostengono l’Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio e l’Associazione Nazionale Operatori Professionali Oro, “l’assenza di una normativa ben articolata permette a chiunque, in poco tempo, di diventare titolare di un compro-oro. Su oltre 20.000 attività, nella data del censimento eseguito nel 2011 soltanto 346 erano registrate all’Albo Professionale Oro della Banca d’Italia”.

Così accade che spesso le collanine, gli orologi, gli orecchini in oro rimasti nel cassetto per molti anni e conservati come tesori di famiglia vadano in mano a persone senza scrupoli che, consapevoli delle gravi difficoltà economiche in cui riversano molte famiglie italiane, approfittano della debolezza altrui o semplicemente del bisogno di denaro contante per arricchirsi illegalmente.

Come afferma Nunzio Ragno: “Siamo passati da un rapporto di un esercente ogni 13mila abitanti, di solo due anni fa, all’attuale rapporto mediamente calcolato in uno a 6-7mila abitanti. Si tratta di un fenomeno in ascesa netta, tant’è che le questure pullulano di richieste di licenze nuove”.

Il titolare di un compro-oro di Torino ammette: “Seguiamo il mercato e, se c'è un settore in crescita, in molti cercano di trovare uno spazio”. In effetti, inserirsi in questo ambiente non è per nulla difficile: basta richiedere una licenza alla questura, registrarsi alla camera di commercio ed essere incensurati. Così, in tre semplici mosse si mette in piedi un'attività. Ovviamente non si può fare di tutta l'erba un fascio, perché chi lo fa rispettando la legge in molti casi offre un servizio davvero utile alle famiglie in difficoltà. Infatti, una volta che l’esercizio è stato aperto e il commerciante ha iniziato a comprare l’oro, deve tenerlo in negozio per dieci giorni e renderlo sempre a disposizione delle forze dell’ordine. Poi, una volta scaduto il termine, può mandarlo alle ditte specializzate che lo fondono. In questo modo l'attività può dirsi "legale", ma non sempre questo meccanismo si attiva, anzi spesso e volentieri si verificano errori più o meno voluti.

Ad esempio, una recente inchiesta ha messo alla luce la relazione tra i “compro-oro” e la mafia calabrese. I pm D’Amico e Boccassini hanno mostrato una connivenza tra le due parti che si verificherebbe ormai da molto tempo. In questo modo si allontana sempre di più l’idea del mafioso che “si sporca le mani”, cioè di quello con la pistola in tasca: il giro di denaro (anzi d'oro) che ruota attorno ai “compro-oro” e alla mafia spesso è più grande di quello che si pensa, e soprattutto rende l’usura e il riciclaggio le principali cause di entrata della ‘ndrangheta, che trova un altro modo per arricchirsi sulle spalle dei più deboli.


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