Due mesi fa, il 13 marzo, veniva eletto al soglio di Pietro il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, con il nome di Francesco.
Radio Vaticana - Il suo sorriso, la sua spontaneità e il suo farsi vicino per testimoniare Gesù Cristo, hanno preso corpo, in mille modi, in questi due mesi, nei suoi gesti e nelle sue parole che tanto hanno colpito il mondo. A conoscere bene Papa Francesco, da 21 anni, è l’arcivescovo ausiliare di Buenos Aires, mons. Eduardo Garcia. Debora Donnini gli ha chiesto cosa l’abbia colpito di più del cardinale Bergoglio in questi anni:
R. – Quizá lo que mas me llamò la atención... Quello che forse mi ha sempre colpito è il suo “basso profilo” di fronte a qualsiasi avvenimento: cercare non il luogo più noto, ma quello più semplice. Persino quando è diventato vicario generale dell’arcidiocesi, la carica più importante dopo l’arcivescovo, ha mantenuto questa condotta di non primeggiare. Quello che più mi colpisce è che si tratta di una persona con un così “basso profilo”, ma con una profondità spirituale così forte e così grande.
D. – “Tenerezza” e “misericordia” sono due parole molto importanti per Papa Francesco. “Misericordia” l’ha usata nel primo Angelus e “tenerezza” nella Messa d’inizio Pontificato. Per lei, questi sono due tratti fondamentali di Papa Francesco?
R. – Sì, creo que definen tambien... Sì, credo che definiscano anche il suo rapporto con Dio. Lui sperimenta la misericordia di Dio, sperimenta la tenerezza di un Dio che si avvicina a noi con il calore di un padre e di una madre, perché hanno questo sguardo di tenerezza, il loro cuore è così semplice e sono capaci di esercitare questa misericordia, che è perdono, compagnia, aiuto. Credo che queste parole hanno definito la grande quantità dei suoi messaggi ed anche delle sue azioni. Durante il periodo passato a Buenos Aires, come arcivescovo cercava sempre di conciliare le situazioni, senza mai portarle all’estremo, perché la sua esperienza è che Dio ci accompagna, ci segue, ci sostiene, conosce i nostri tempi e aspetta sempre una risposta, un cambiamento, un atteggiamento nuovo.
D. – La concezione che ha del suo ministero, si può concepire come un servizio al popolo di Dio?
R. – Creo que antes del servicio... Credo che prima che come servizio, lui veda il suo ministero come una paternità, perché sperimenta sul popolo di Dio la paternità di Dio come padre. Quindi quando uno ama con questo cuore di padre, può servire in maniera semplice. Se sperimenta, infatti, questa paternità di Dio, sperimenta anche questa paternità sul suo popolo. Il servizio, dunque, nasce giustamente dalla paternità.
D. – Nella prima udienza generale, Papa Francesco ha invitato ad andare nelle periferie dell’esistenza e ad aprire le porte delle parrocchie. Cosa significa questo e cosa ha fatto lui in questo senso a Buenos Aires, per esempio?
R. – Claro, bueno eso es un camino... Chiaramente, è una strada che abbiamo percorso a Buenos Aires negli ultimi dieci anni. Una Chiesa che esce è una Chiesa che sta dove si trova la gente. Una delle proposte della pastorale della nostra Chiesa è durante la Settimana Santa, quando le persone fanno della città un santuario, dove si sperimenta la presenza di Dio. Usciamo per le strade, per mostrare la fede con i nostri gesti, con un atteggiamento missionario. Per Papa Francesco la nuova evangelizzazione ha un nome: missione. Come all’origine della Chiesa, bisogna stare dove si trova la gente, condividendo la vita e manifestando lì il nostro sentire e il nostro credere: una Chiesa con le porte aperte non solo per ricevere chi viene, ma per andare incontro alla gente; non per catturare la gente, ma per contagiarla con l’esperienza della fede.
D. – Quindi Papa Francesco desidera che la Chiesa in sé e che i cristiani come tali vivano sempre una dimensione missionaria in due sensi: quello di camminare insieme e di annunciare Gesù Cristo, con un’attitudine costante...
R. – Como una cosa que vale... Come una cosa che vale sempre. Bisogna pensare a tutta la nostra attività di Chiesa ed anche alla nostra vita cristiana in questa dimensione missionaria e non solamente in una dimensione intima della fede. Pensare, quindi, la vita abituale della nostra parrocchia, la catechesi, la liturgia, l’azione sociale, in questa dimensione missionaria, che è fondamentalmente incontro con gli altri. E l’annuncio si dà in questo incontro, perché quando s’incontra qualcuno, ognuno porta quello che ha e quello che è. Quindi, quando usciamo per incontrare gli altri, se crediamo veramente, la fede si manifesta. Quello che vediamo di Papa Francesco è quello che è, lui mostra quello che ha sempre vissuto come sacerdote, come vescovo tra di noi e questo è quello che rende tanto genuini i suoi gesti. Come Papa sta facendo quello che ha fatto sempre come sacerdote, come vescovo, con questo regalo che gli ha dato in questo momento il Signore: la grazia di un’allegria che si nota, un’allegria molto evidente.
Radio Vaticana - Il suo sorriso, la sua spontaneità e il suo farsi vicino per testimoniare Gesù Cristo, hanno preso corpo, in mille modi, in questi due mesi, nei suoi gesti e nelle sue parole che tanto hanno colpito il mondo. A conoscere bene Papa Francesco, da 21 anni, è l’arcivescovo ausiliare di Buenos Aires, mons. Eduardo Garcia. Debora Donnini gli ha chiesto cosa l’abbia colpito di più del cardinale Bergoglio in questi anni:
R. – Quizá lo que mas me llamò la atención... Quello che forse mi ha sempre colpito è il suo “basso profilo” di fronte a qualsiasi avvenimento: cercare non il luogo più noto, ma quello più semplice. Persino quando è diventato vicario generale dell’arcidiocesi, la carica più importante dopo l’arcivescovo, ha mantenuto questa condotta di non primeggiare. Quello che più mi colpisce è che si tratta di una persona con un così “basso profilo”, ma con una profondità spirituale così forte e così grande.
D. – “Tenerezza” e “misericordia” sono due parole molto importanti per Papa Francesco. “Misericordia” l’ha usata nel primo Angelus e “tenerezza” nella Messa d’inizio Pontificato. Per lei, questi sono due tratti fondamentali di Papa Francesco?
R. – Sì, creo que definen tambien... Sì, credo che definiscano anche il suo rapporto con Dio. Lui sperimenta la misericordia di Dio, sperimenta la tenerezza di un Dio che si avvicina a noi con il calore di un padre e di una madre, perché hanno questo sguardo di tenerezza, il loro cuore è così semplice e sono capaci di esercitare questa misericordia, che è perdono, compagnia, aiuto. Credo che queste parole hanno definito la grande quantità dei suoi messaggi ed anche delle sue azioni. Durante il periodo passato a Buenos Aires, come arcivescovo cercava sempre di conciliare le situazioni, senza mai portarle all’estremo, perché la sua esperienza è che Dio ci accompagna, ci segue, ci sostiene, conosce i nostri tempi e aspetta sempre una risposta, un cambiamento, un atteggiamento nuovo.
D. – La concezione che ha del suo ministero, si può concepire come un servizio al popolo di Dio?
R. – Creo que antes del servicio... Credo che prima che come servizio, lui veda il suo ministero come una paternità, perché sperimenta sul popolo di Dio la paternità di Dio come padre. Quindi quando uno ama con questo cuore di padre, può servire in maniera semplice. Se sperimenta, infatti, questa paternità di Dio, sperimenta anche questa paternità sul suo popolo. Il servizio, dunque, nasce giustamente dalla paternità.
D. – Nella prima udienza generale, Papa Francesco ha invitato ad andare nelle periferie dell’esistenza e ad aprire le porte delle parrocchie. Cosa significa questo e cosa ha fatto lui in questo senso a Buenos Aires, per esempio?
R. – Claro, bueno eso es un camino... Chiaramente, è una strada che abbiamo percorso a Buenos Aires negli ultimi dieci anni. Una Chiesa che esce è una Chiesa che sta dove si trova la gente. Una delle proposte della pastorale della nostra Chiesa è durante la Settimana Santa, quando le persone fanno della città un santuario, dove si sperimenta la presenza di Dio. Usciamo per le strade, per mostrare la fede con i nostri gesti, con un atteggiamento missionario. Per Papa Francesco la nuova evangelizzazione ha un nome: missione. Come all’origine della Chiesa, bisogna stare dove si trova la gente, condividendo la vita e manifestando lì il nostro sentire e il nostro credere: una Chiesa con le porte aperte non solo per ricevere chi viene, ma per andare incontro alla gente; non per catturare la gente, ma per contagiarla con l’esperienza della fede.
D. – Quindi Papa Francesco desidera che la Chiesa in sé e che i cristiani come tali vivano sempre una dimensione missionaria in due sensi: quello di camminare insieme e di annunciare Gesù Cristo, con un’attitudine costante...
R. – Como una cosa que vale... Come una cosa che vale sempre. Bisogna pensare a tutta la nostra attività di Chiesa ed anche alla nostra vita cristiana in questa dimensione missionaria e non solamente in una dimensione intima della fede. Pensare, quindi, la vita abituale della nostra parrocchia, la catechesi, la liturgia, l’azione sociale, in questa dimensione missionaria, che è fondamentalmente incontro con gli altri. E l’annuncio si dà in questo incontro, perché quando s’incontra qualcuno, ognuno porta quello che ha e quello che è. Quindi, quando usciamo per incontrare gli altri, se crediamo veramente, la fede si manifesta. Quello che vediamo di Papa Francesco è quello che è, lui mostra quello che ha sempre vissuto come sacerdote, come vescovo tra di noi e questo è quello che rende tanto genuini i suoi gesti. Come Papa sta facendo quello che ha fatto sempre come sacerdote, come vescovo, con questo regalo che gli ha dato in questo momento il Signore: la grazia di un’allegria che si nota, un’allegria molto evidente.
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