I ribelli siriani, che hanno rapito quattro caschi blu dell'Onu sulle alture del Golan, hanno diffuso un video in cui spiegano che la loro azione è stata mossa da ragioni di sicurezza.
Radio Vaticana - I soldati, di nazionalità filippina, sarebbero trattenuti per proteggerli dai combattimenti tra i ribelli e gang di criminali fedeli al presidente Bashar Al-Assad. Intanto, il premier turco Erdogan ha accusato Damasco di utilizzare armi chimiche. Da parte sua, il premier britannico Cameron è giunto a Mosca per un incontro con il presidente Putin. Al centro del faccia a faccia proprio la situazione siriana; Mosca ha dato una nuova disponibilità per riavviare il processo di risoluzione politica, mentre la Francia, in linea con Washington, ribadisce che un futuro della Siria con Assad è fuori discussione. Insomma, qualcosa si sta muovendo dopo mesi di impasse. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Lorenzo Trombetta, dell’Ansa di Beirut: ascolta
R. – La Russia già in passato ha dato disponibilità per ospitare una Conferenza internazionale, o per sponsorizzare una Conferenza internazionale basata sui principi che sono molto vicini a quelli del regime del presidente Bashar Al-Assad. Principi che non prevedono una esclusione immediata del rais di Damasco dal potere. Il fatto che adesso anche gli Stati Uniti abbiano detto sì ad una Conferenza internazionale - che forse, secondo fonti informate, dovrebbe tenersi i primi di giugno a Ginevra – questo non vuol dire che la situazione sarà risolta. Significa innanzitutto che stanno prendendo tempo, perché da qui all’inizio di giugno passeranno altre settimane con altri bilanci giornalieri di morti in Siria; e poi anche i presupposti di questa Conferenza internazionale sono per adesso molto vaghi: si parla di una transizione politica senza veramente fissarne i punti nel dettaglio, senza capire come questa transizione politica potrà verificarsi e tra l’altro i vari partner interni, regionali, non sono poi così d’accordo sui termini di questa transizione politica.
D. – A peggiorare la situazione c’è il fatto che molti dei ribelli – almeno secondo le informazioni che arrivano dalla Siria – si siano alleati con Al Musra, un gruppo definito dagli Stati Uniti terroristico per essere vicino, molto vicino ad Al-Qaida. Non rischia questo di complicare la situazione sul fronte della fornitura delle armi ai ribelli da parte dei Paesi occidentali?
R. – I Paesi occidentali, in particolare gli Stati Uniti, hanno nei mesi scorsi tentato di inviare armi ad alcune frange - che loro definiscono moderate - del fronte dei ribelli, in particolare nella regione meridionale confinante con la Giordania. Negli ultimi giorni abbiamo avuto notizie confermate che invece queste armi e queste munizioni non sono arrivate così copiosamente, tant’è vero che i ribelli della Siria meridionale si sono dovuti ritirare da un’importante cittadina. Per quanto riguarda le frange che gli occidentali non considerano “buone” – perché si mostrano con dei principi ostili all’Occidente - questo è un po’ il frutto di un assenteismo della comunità internazionale che ha spinto nelle braccia di questi qaedisti, jihadisti – alcuni anche stranieri - una società civile siriana che prima ha cercato di protestare in modo pacifico, poi si è rivolta alle armi. Con quelle stesse armi poi si è rivolta a quelli che per noi sono considerati un po’ il “diavolo”, ma se nessuno li aiutava era molto difficile che si rivolgessero a qualcun altro; in fondo i soldi, le armi ed anche gli altri mezzi sono arrivati dalle forze del Golfo che sono le più oscurantiste.
D. – Intanto, in Libano, Hezbollah rinvigorisce l’alleanza e dice: “Aiuteremo la Siria a liberare il Golan”. Il Libano dunque torna ad essere un protagonista della crisi siriana, anche se ovviamente crescono anche i rischi con queste dichiarazioni…
R. – Le dichiarazioni di Nasrallah, leader del movimento sciita filo-iraniano, cadono in un momento in cui il presidente Bashar Al-Assad è in grande difficoltà, dopo i raid aerei israeliani, dopo i massacri compiuti all’inizio di maggio nella regione costiera, massacri evidentemente compiuti su una base confessionale, per ripulire confessionalmente una regione che forse domani sarà usata come rifugio di Al-Assad e dei suoi alleati. È ovvio che Nasrallah, Hezbollah e l’Iran stanno adesso cercando di alzare almeno a livello retorico la tensione, ma questo non vuol dire alzare di fatto la tensione sul terreno. Non credo, e nessuno lo crede qui in Libano, che Hezbollah possa veramente sostenere una sedicente resistenza siriana sul Golan, non è mai esistita di fatto; tra l’altro quella regione del Golan è sempre più occupata da ribelli siriani anti Assad che hanno una forte retorica jihadista anti-israeliana ed anti-occidentale. Quindi, caso mai bisogna guardarsi - dal punto di vista israeliano ed occidentale – da queste nuove formazioni che molto più di Assad hanno intenzione di attaccare e forse addirittura di liberare – come dicono nei loro proclami – il Golan occupato da Israele. Hezbollah sta facendo soltanto un servizio a Bashar Al-Assad, almeno retorico; sta alzando la voce ma non credo che Hezbollah abbia interesse ad impegnarsi su di un altro fronte.
Radio Vaticana - I soldati, di nazionalità filippina, sarebbero trattenuti per proteggerli dai combattimenti tra i ribelli e gang di criminali fedeli al presidente Bashar Al-Assad. Intanto, il premier turco Erdogan ha accusato Damasco di utilizzare armi chimiche. Da parte sua, il premier britannico Cameron è giunto a Mosca per un incontro con il presidente Putin. Al centro del faccia a faccia proprio la situazione siriana; Mosca ha dato una nuova disponibilità per riavviare il processo di risoluzione politica, mentre la Francia, in linea con Washington, ribadisce che un futuro della Siria con Assad è fuori discussione. Insomma, qualcosa si sta muovendo dopo mesi di impasse. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Lorenzo Trombetta, dell’Ansa di Beirut: ascolta
R. – La Russia già in passato ha dato disponibilità per ospitare una Conferenza internazionale, o per sponsorizzare una Conferenza internazionale basata sui principi che sono molto vicini a quelli del regime del presidente Bashar Al-Assad. Principi che non prevedono una esclusione immediata del rais di Damasco dal potere. Il fatto che adesso anche gli Stati Uniti abbiano detto sì ad una Conferenza internazionale - che forse, secondo fonti informate, dovrebbe tenersi i primi di giugno a Ginevra – questo non vuol dire che la situazione sarà risolta. Significa innanzitutto che stanno prendendo tempo, perché da qui all’inizio di giugno passeranno altre settimane con altri bilanci giornalieri di morti in Siria; e poi anche i presupposti di questa Conferenza internazionale sono per adesso molto vaghi: si parla di una transizione politica senza veramente fissarne i punti nel dettaglio, senza capire come questa transizione politica potrà verificarsi e tra l’altro i vari partner interni, regionali, non sono poi così d’accordo sui termini di questa transizione politica.
D. – A peggiorare la situazione c’è il fatto che molti dei ribelli – almeno secondo le informazioni che arrivano dalla Siria – si siano alleati con Al Musra, un gruppo definito dagli Stati Uniti terroristico per essere vicino, molto vicino ad Al-Qaida. Non rischia questo di complicare la situazione sul fronte della fornitura delle armi ai ribelli da parte dei Paesi occidentali?
R. – I Paesi occidentali, in particolare gli Stati Uniti, hanno nei mesi scorsi tentato di inviare armi ad alcune frange - che loro definiscono moderate - del fronte dei ribelli, in particolare nella regione meridionale confinante con la Giordania. Negli ultimi giorni abbiamo avuto notizie confermate che invece queste armi e queste munizioni non sono arrivate così copiosamente, tant’è vero che i ribelli della Siria meridionale si sono dovuti ritirare da un’importante cittadina. Per quanto riguarda le frange che gli occidentali non considerano “buone” – perché si mostrano con dei principi ostili all’Occidente - questo è un po’ il frutto di un assenteismo della comunità internazionale che ha spinto nelle braccia di questi qaedisti, jihadisti – alcuni anche stranieri - una società civile siriana che prima ha cercato di protestare in modo pacifico, poi si è rivolta alle armi. Con quelle stesse armi poi si è rivolta a quelli che per noi sono considerati un po’ il “diavolo”, ma se nessuno li aiutava era molto difficile che si rivolgessero a qualcun altro; in fondo i soldi, le armi ed anche gli altri mezzi sono arrivati dalle forze del Golfo che sono le più oscurantiste.
D. – Intanto, in Libano, Hezbollah rinvigorisce l’alleanza e dice: “Aiuteremo la Siria a liberare il Golan”. Il Libano dunque torna ad essere un protagonista della crisi siriana, anche se ovviamente crescono anche i rischi con queste dichiarazioni…
R. – Le dichiarazioni di Nasrallah, leader del movimento sciita filo-iraniano, cadono in un momento in cui il presidente Bashar Al-Assad è in grande difficoltà, dopo i raid aerei israeliani, dopo i massacri compiuti all’inizio di maggio nella regione costiera, massacri evidentemente compiuti su una base confessionale, per ripulire confessionalmente una regione che forse domani sarà usata come rifugio di Al-Assad e dei suoi alleati. È ovvio che Nasrallah, Hezbollah e l’Iran stanno adesso cercando di alzare almeno a livello retorico la tensione, ma questo non vuol dire alzare di fatto la tensione sul terreno. Non credo, e nessuno lo crede qui in Libano, che Hezbollah possa veramente sostenere una sedicente resistenza siriana sul Golan, non è mai esistita di fatto; tra l’altro quella regione del Golan è sempre più occupata da ribelli siriani anti Assad che hanno una forte retorica jihadista anti-israeliana ed anti-occidentale. Quindi, caso mai bisogna guardarsi - dal punto di vista israeliano ed occidentale – da queste nuove formazioni che molto più di Assad hanno intenzione di attaccare e forse addirittura di liberare – come dicono nei loro proclami – il Golan occupato da Israele. Hezbollah sta facendo soltanto un servizio a Bashar Al-Assad, almeno retorico; sta alzando la voce ma non credo che Hezbollah abbia interesse ad impegnarsi su di un altro fronte.
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