L’enigma di un Dio che si manifesta nella storia di un popolo e dell’umanità. La ragionevolezza della rivelazione biblica alla luce del dato storico.
di Bartolo Salone
L’ebraismo si presenta come la prima grande religione rivelata della storia dell’umanità. L’idea che sta alla base non solo dell’ebraismo, ma anche delle altre grandi tradizioni religiose monoteistiche (cristianesimo e islam), è infatti quella di un Dio che, nella sua trascendenza, si rivela, facendosi conoscere dall’uomo e rendendosi a lui prossimo. Senza una Sua iniziativa, ad essere sinceri, sarebbe impossibile ogni conoscenza umana di Dio che non si limiti ai riduttivi postulati di una religione “naturale” (o razionale) che di fatto riduce il Divino ad una idea astratta, ad un concetto logico o ad una semplice dimostrazione matematica. La ragione umana, in effetti, può condurci fino ad un certo punto, poiché ci consente al più di affermare l’esistenza di Dio, ma poco o nulla ci permette di dire sulla Sua natura, per la quale non rimane che affidarci, con fede, alla sacra rivelazione. Di sé stesso, poi, Dio non ha svelato tutto, ma solo l’essenziale: quel che occorreva, cioè, perché potessimo instaurare con Lui un rapporto personale e condurre una vita santa e retta. Il di più ci avrebbe infatti condotti alla superbia.
Ma come nasce l’idea di un Dio unico e trascendente? Questo rimane un vero e proprio enigma, che, al di fuori dell’ottica della fede, risulta davvero inspiegabile da un punto di vista storico. Da quel che sappiamo, questa consapevolezza accompagna Israele fin dai primordi della sua storia. Jahweh è il Dio di Israele fin dall’epoca di Abramo (1850 ca. a. C.), il solo Dio a cui rendere culto. Tutta la storia di Israele, del resto, ci viene presentata dalla Bibbia come scaturente da un patto di alleanza, da Dio sempre confermato e rinnovato nonostante le ricorrenti infedeltà del popolo, più volte incorso nel primo dei peccati, che è l’idolatria.
Gli storici moderni osservano però che il monoteismo propriamente inteso (quale credenza nell’esistenza di un solo Dio) abbia avuto una gestazione lenta nell’ambito dello stesso ebraismo, essendosi affermato con certezza solo nel VI sec. a. C., cioè a partire dall’esilio in Babilonia. Fino a quel momento, in Israele, la fede in Jahweh sarebbe convissuta con la credenza in altre divinità (alle quali però non veniva tributato alcun culto né pubblico né privato). Ciononostante l’esperienza religiosa di Israele presenta delle peculiarità che la contraddistinguono rispetto a quella dei popoli circostanti. Mentre questi ultimi, infatti, conoscevano delle forme di “enoteismo” (vale a dire una religione che ammette una pluralità di divinità, pur affermando la supremazia di una sola di esse), Israele si caratterizza, fin dai primordi della sua storia, per la presenza di una rigida “monolatria”: Jahweh non è una divinità fra le altre (politeismo puro) né la divinità principale a cui rendere il culto maggiore (enoteismo), ma è la sola divinità a cui il popolo deve tributare il culto, ad esclusione di tutte le altre. Da questo punto di vista, la religione ebraica non ha precedenti: una tale monolatria (poi evoluta nel VI sec. a. C. in vero e proprio monoteismo) costituisce un autentico mistero non spiegabile in base ad influssi delle culture circostanti.
Talvolta, nel dibattito storiografico, viene citata come precedente storico a cui Israele si sarebbe ispirat, la breve esperienza “monoteistica” che avrebbe caratterizzato l’antico Egitto nel XIV sec. a. C. In quel periodo il faraone Amenofi IV, nel tentativo di rafforzare il suo potere politico, cercò effettivamente di introdurre una religione monoteistica fondata sul culto esclusivo del Dio solare o Dio della luce, che chiamò Aton. Ma questa rivoluzione religiosa ebbe vita breve, visto che alla morte del faraone il popolo ritornò al tradizionale politeismo religioso. Che questa breve esperienza religiosa abbia influenzato il monoteismo biblico è però improbabile, poiché presuppone un’antichità del monoteismo ebraico che oggi la stragrande maggioranza degli storici non ammette. L’obiezione maggiore alla derivazione del monoteismo biblico dalla riforma religiosa di Amenofi IV deriva però dalla constatazione che la concezione biblica della Divinità, al di là delle apparenze, è profondamente diversa. Aton infatti, pur essendo considerato da Amenofi IV il solo Dio, rimane una divinità solare, identificandosi con un elemento della natura, conformemente alle antiche visioni cosmologiche. Invece Jahweh è un Dio assolutamente trascendente, il quale non si confonde con le realtà del mondo naturale. Non a caso il primo comandamento vieta qualsiasi immagine di Dio! La trascendenza di Dio, unitamente al divieto di costruire immagini o idoli, rappresenta un ulteriore elemento di rottura della visione religiosa ebraica rispetto a quella delle civiltà limitrofe. Infine, il Dio biblico presenta una fortissima connotazione etica che non si riscontra nelle divinità pagane: Jahweh è definito in numerosi luoghi della Bibbia come il Santo di Israele, il Dio che ama il diritto e la giustizia, il Dio che sostiene l’orfano e la vedova. Un Dio buono, compassionevole e misericordioso, lento all’ira e grande nell’amore.
Ancor oggi molti si chiedono con meraviglia come un piccolo popolo come Israele, ininfluente dal punto di vista politico e poco sviluppato sotto il profilo economico, scientifico e culturale (almeno se paragonato alle grandi civiltà dell’epoca antica) abbia potuto elaborare una concezione della divinità così originale e raffinata, destinata a sopravvivere nell’arco dei secoli fino ai nostri giorni. Che questo popolo così piccolo e disprezzato abbia realmente ricevuto una speciale rivelazione di Dio? La storia pare confermare questo mirabile mistero di fede.
di Bartolo Salone
L’ebraismo si presenta come la prima grande religione rivelata della storia dell’umanità. L’idea che sta alla base non solo dell’ebraismo, ma anche delle altre grandi tradizioni religiose monoteistiche (cristianesimo e islam), è infatti quella di un Dio che, nella sua trascendenza, si rivela, facendosi conoscere dall’uomo e rendendosi a lui prossimo. Senza una Sua iniziativa, ad essere sinceri, sarebbe impossibile ogni conoscenza umana di Dio che non si limiti ai riduttivi postulati di una religione “naturale” (o razionale) che di fatto riduce il Divino ad una idea astratta, ad un concetto logico o ad una semplice dimostrazione matematica. La ragione umana, in effetti, può condurci fino ad un certo punto, poiché ci consente al più di affermare l’esistenza di Dio, ma poco o nulla ci permette di dire sulla Sua natura, per la quale non rimane che affidarci, con fede, alla sacra rivelazione. Di sé stesso, poi, Dio non ha svelato tutto, ma solo l’essenziale: quel che occorreva, cioè, perché potessimo instaurare con Lui un rapporto personale e condurre una vita santa e retta. Il di più ci avrebbe infatti condotti alla superbia.
Ma come nasce l’idea di un Dio unico e trascendente? Questo rimane un vero e proprio enigma, che, al di fuori dell’ottica della fede, risulta davvero inspiegabile da un punto di vista storico. Da quel che sappiamo, questa consapevolezza accompagna Israele fin dai primordi della sua storia. Jahweh è il Dio di Israele fin dall’epoca di Abramo (1850 ca. a. C.), il solo Dio a cui rendere culto. Tutta la storia di Israele, del resto, ci viene presentata dalla Bibbia come scaturente da un patto di alleanza, da Dio sempre confermato e rinnovato nonostante le ricorrenti infedeltà del popolo, più volte incorso nel primo dei peccati, che è l’idolatria.
Gli storici moderni osservano però che il monoteismo propriamente inteso (quale credenza nell’esistenza di un solo Dio) abbia avuto una gestazione lenta nell’ambito dello stesso ebraismo, essendosi affermato con certezza solo nel VI sec. a. C., cioè a partire dall’esilio in Babilonia. Fino a quel momento, in Israele, la fede in Jahweh sarebbe convissuta con la credenza in altre divinità (alle quali però non veniva tributato alcun culto né pubblico né privato). Ciononostante l’esperienza religiosa di Israele presenta delle peculiarità che la contraddistinguono rispetto a quella dei popoli circostanti. Mentre questi ultimi, infatti, conoscevano delle forme di “enoteismo” (vale a dire una religione che ammette una pluralità di divinità, pur affermando la supremazia di una sola di esse), Israele si caratterizza, fin dai primordi della sua storia, per la presenza di una rigida “monolatria”: Jahweh non è una divinità fra le altre (politeismo puro) né la divinità principale a cui rendere il culto maggiore (enoteismo), ma è la sola divinità a cui il popolo deve tributare il culto, ad esclusione di tutte le altre. Da questo punto di vista, la religione ebraica non ha precedenti: una tale monolatria (poi evoluta nel VI sec. a. C. in vero e proprio monoteismo) costituisce un autentico mistero non spiegabile in base ad influssi delle culture circostanti.
Talvolta, nel dibattito storiografico, viene citata come precedente storico a cui Israele si sarebbe ispirat, la breve esperienza “monoteistica” che avrebbe caratterizzato l’antico Egitto nel XIV sec. a. C. In quel periodo il faraone Amenofi IV, nel tentativo di rafforzare il suo potere politico, cercò effettivamente di introdurre una religione monoteistica fondata sul culto esclusivo del Dio solare o Dio della luce, che chiamò Aton. Ma questa rivoluzione religiosa ebbe vita breve, visto che alla morte del faraone il popolo ritornò al tradizionale politeismo religioso. Che questa breve esperienza religiosa abbia influenzato il monoteismo biblico è però improbabile, poiché presuppone un’antichità del monoteismo ebraico che oggi la stragrande maggioranza degli storici non ammette. L’obiezione maggiore alla derivazione del monoteismo biblico dalla riforma religiosa di Amenofi IV deriva però dalla constatazione che la concezione biblica della Divinità, al di là delle apparenze, è profondamente diversa. Aton infatti, pur essendo considerato da Amenofi IV il solo Dio, rimane una divinità solare, identificandosi con un elemento della natura, conformemente alle antiche visioni cosmologiche. Invece Jahweh è un Dio assolutamente trascendente, il quale non si confonde con le realtà del mondo naturale. Non a caso il primo comandamento vieta qualsiasi immagine di Dio! La trascendenza di Dio, unitamente al divieto di costruire immagini o idoli, rappresenta un ulteriore elemento di rottura della visione religiosa ebraica rispetto a quella delle civiltà limitrofe. Infine, il Dio biblico presenta una fortissima connotazione etica che non si riscontra nelle divinità pagane: Jahweh è definito in numerosi luoghi della Bibbia come il Santo di Israele, il Dio che ama il diritto e la giustizia, il Dio che sostiene l’orfano e la vedova. Un Dio buono, compassionevole e misericordioso, lento all’ira e grande nell’amore.
Ancor oggi molti si chiedono con meraviglia come un piccolo popolo come Israele, ininfluente dal punto di vista politico e poco sviluppato sotto il profilo economico, scientifico e culturale (almeno se paragonato alle grandi civiltà dell’epoca antica) abbia potuto elaborare una concezione della divinità così originale e raffinata, destinata a sopravvivere nell’arco dei secoli fino ai nostri giorni. Che questo popolo così piccolo e disprezzato abbia realmente ricevuto una speciale rivelazione di Dio? La storia pare confermare questo mirabile mistero di fede.
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È presente 1 commento
Sul monoteismo propongo un approfondimento: http://www.uccronline.it/2016/04/26/il-monoteismo-ebraico-e-le-errate-critiche-di-jan-assmann/
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