venerdì, maggio 31, 2013
Resta sempre alta la tensione tra Israele e Siria, all'indomani dell'annuncio di Mosca che ha confermato la fornitura dei sistemi missilistici antiaerei S-300 a Damasco.

Radio Vaticana - Israele fa sapere che agirà in modo da prevenire che i missili russi diventino operativi sul suolo siriano. E c’è qualche esponente politico che parla anche di minacce di attacchi chimici dalla Siria a Israele. Da parte sua, il ministro degli Esteri siriano, Muallim, afferma che “se Israele attaccherà nuovamente la Siria la rappresaglia sarà immediata”. Fausta Speranza ha parlato del braccio di ferro in atto nell’area con Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste: ascolta

R. – Sono delle schermaglie, perché naturalmente ad Israele non può far piacere che siano iniziate le consegne dei primi missili S300 da parte della Russia ad Assad. Questa è sicuramente una situazione allarmante. Il braccio di ferro vero, però, continua ad essere quello riguardante l’opposizione siriana, che sta cercando – sembra – in tutti i modi di non fare effettuare la Conferenza Ginevra 2 di pace, progettata da Kerry e dal ministro Lavrov, e coloro che invece cercano di ricondurre la questione sotto l’egida dell’Onu e trovare un tavolino negoziale politico. In questo momento, quindi, credo che la questione principale sia cercare di uscire dalla logica militare, dalla logica della guerra - i cui effetti terribili abbiamo già visto - per cercare di tornare ad una logica negoziale diplomatica concertata.

D. – Si può dire però che si sono creati diversi livelli d’impasse diplomatica...

R. – Questa è la constatazione più giusta, perché gli stessi che hanno convocato la Conferenza, per esempio gli Stati Uniti appoggiati dall’Europa, in realtà sulla vicenda siriana negli ultimi tempi si sono spaccati. Gli Stati Uniti hanno in seno almeno un paio di anime: coloro che vorrebbero un intervento forte, di aiuto all’opposizione siriana, per tentare di dare la spallata militare sul campo invece che andare a trattare con Assad, e una componente molto forte, che ha incontrato alcuni rappresentanti dell’opposizione. Questa corrente è molto seguita anche in Turchia e ha come rappresentanti in Europa la Gran Bretagna. Quindi anche l’Europa si è poi presentata spaccata sulla vicenda della fine dell’embargo e dell’inizio dei rifornimenti di armi all’opposizione. La realtà, quindi, è che ci sono numerose fratture all’interno della posizione occidentale, americana, europea e anche dell’alleato turco, mentre, invece, la Federazione russa sta cercando di presentare la propria coalizione - con l’Iran, con la Cina e con gli altri Paesi centro-asiatici, che in qualche modo la stanno appoggiando, compreso poi alla fine il braccio armato di hezbollah - con una posizione molto più coesa, che vuole la pace, vuole andare alla trattativa, ma mostra i muscoli e se occorre anche gli artigli.

D. – L’Italia è tra i Paesi europei più importanti esposti sul Mediterraneo, potrebbe avere un ruolo nella crisi siriana?

R. – L’Italia ha già comunque preso una buona decisione, quando ha deciso di non vendere le armi in territorio siriano. Secondo me, però, non basta: noi dobbiamo cercare di aiutare la Conferenza che, come si è capito, vedo come una delle pochissime, forse l’unica strada, per uscire dal massacro in Siria e, addirittura, con uno scontro, come si ipotizzava, con Israele, o l’uso di armi di distruzione di massa. Tutto questo è alle porte. Solo Ginevra 2 può cercare di fermare questa strada, lasciando – a mio parere – perdere deliberazioni come la no-fly zone e altre cose che, nel tempo, nei decenni precedenti, hanno dimostrato tutta la loro debolezza. Prendiamo, uno per tutti, il caso iracheno. Mi concentrerei invece nel tentativo di aprire un tavolino pre-negoziale, cercando di smussare gli angoli, prima di arrivare direttamente alla Conferenza ancora con tutto aperto e, quindi, in una situazione molto più difficile.


È presente 1 commento

mogol_gr ha detto...

Meno male che Bashar c'é.

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