Risuonano con forza ancora oggi le forti parole pronunciate ieri all’Angelus da Papa Francesco che, ricordando la Beatificazione di don Pino Puglisi, ha elevato la sua preghiera perché “i mafiosi e le mafiose si convertano a Dio”. Su queste parole, Fabio Colagrande ha raccolto il commento di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro e postulatore della Causa di Beatificazione di don Puglisi: ascolta
Radio Vaticana - R. – Innanzitutto le reputo il suggello di un cammino ecclesiale iniziato negli anni Ottanta e che ha avuto il suo momento più alto con il grido di Giovanni Paolo II, vent’anni fa, nella Valle dei Templi, nel mese di maggio, il 9 maggio 1993 per l’esattezza. Questo pensiero, pur nella sua brevità di Papa Francesco, chiude – se così possiamo dire – questo iter in occasione della Beatificazione di Puglisi. Quindi un messaggio meraviglioso, di forza, che deve entrare nella mente – mi permetto di dire – non solo dei palermitani e dei siciliani, ma di tutti i buoni credenti, perché la malavita, che si chiami mafia o con un altro nome, l’abbiamo un po’ in tutto il mondo. Segna la inconciliabilità assoluta tra Vangelo e qualsiasi altra forma di violenza e di sopraffazione. Un bel messaggio quello del Papa, che va a chiudere la bellissima celebrazione avvenuta a Palermo, sabato scorso, dinanzi a 100 mila persone; un bel segno di un popolo nuovo, che desidera liberarsi da questa malapianta, da questo cancro, che è ad ora il dio del potere e il dio del denaro.
D. – Ha colpito molto l’invito di Papa Francesco a pregare perché i mafiosi e le mafiose si convertano a Dio…
R. – Mi permetto di dire che nella parola “convertitevi” ci deve essere il pentimento sincero sia a livello religioso, sia a livello civile. Deve essere incluso anche il concetto di riparazione per il male fatto. La vera conversione diventa liberante, diventa rigenerante: possiamo avere un uomo nuovo. Questa è la forza del cristianesimo, la forza del Vangelo. Per cui in quella parola “convertitevi” c’è il desiderio di resurrezione: più che una condanna è un invito a vivere santamente come vuole il Signore. La grandissima presenza al Foro Italico di Palermo, ma sicuramente anche dinanzi ai televisori milioni di persone hanno potuto assistere alla celebrazione, è il segno che questo piccolo grande uomo, questo umile uomo, con la sua semplicità, con la sua umiltà, il suo senso ecclesiale, fatto di ubbidienza e fatto di povertà, fatto di dolcezza e fatto di mitezza, ha seguito Cristo fino in fondo. Quindi diventa un’immagine trasparente, vivente per gli uomini di oggi, perché è collegato alla Croce di Cristo. Come il chicco di grano: se non muore non porta frutto.
Radio Vaticana - R. – Innanzitutto le reputo il suggello di un cammino ecclesiale iniziato negli anni Ottanta e che ha avuto il suo momento più alto con il grido di Giovanni Paolo II, vent’anni fa, nella Valle dei Templi, nel mese di maggio, il 9 maggio 1993 per l’esattezza. Questo pensiero, pur nella sua brevità di Papa Francesco, chiude – se così possiamo dire – questo iter in occasione della Beatificazione di Puglisi. Quindi un messaggio meraviglioso, di forza, che deve entrare nella mente – mi permetto di dire – non solo dei palermitani e dei siciliani, ma di tutti i buoni credenti, perché la malavita, che si chiami mafia o con un altro nome, l’abbiamo un po’ in tutto il mondo. Segna la inconciliabilità assoluta tra Vangelo e qualsiasi altra forma di violenza e di sopraffazione. Un bel messaggio quello del Papa, che va a chiudere la bellissima celebrazione avvenuta a Palermo, sabato scorso, dinanzi a 100 mila persone; un bel segno di un popolo nuovo, che desidera liberarsi da questa malapianta, da questo cancro, che è ad ora il dio del potere e il dio del denaro.
D. – Ha colpito molto l’invito di Papa Francesco a pregare perché i mafiosi e le mafiose si convertano a Dio…
R. – Mi permetto di dire che nella parola “convertitevi” ci deve essere il pentimento sincero sia a livello religioso, sia a livello civile. Deve essere incluso anche il concetto di riparazione per il male fatto. La vera conversione diventa liberante, diventa rigenerante: possiamo avere un uomo nuovo. Questa è la forza del cristianesimo, la forza del Vangelo. Per cui in quella parola “convertitevi” c’è il desiderio di resurrezione: più che una condanna è un invito a vivere santamente come vuole il Signore. La grandissima presenza al Foro Italico di Palermo, ma sicuramente anche dinanzi ai televisori milioni di persone hanno potuto assistere alla celebrazione, è il segno che questo piccolo grande uomo, questo umile uomo, con la sua semplicità, con la sua umiltà, il suo senso ecclesiale, fatto di ubbidienza e fatto di povertà, fatto di dolcezza e fatto di mitezza, ha seguito Cristo fino in fondo. Quindi diventa un’immagine trasparente, vivente per gli uomini di oggi, perché è collegato alla Croce di Cristo. Come il chicco di grano: se non muore non porta frutto.
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