lunedì, maggio 27, 2013
Risuonano con forza ancora oggi le forti parole pronunciate ieri all’Angelus da Papa Francesco che, ricordando la Beatificazione di don Pino Puglisi, ha elevato la sua preghiera perché “i mafiosi e le mafiose si convertano a Dio”. Su queste parole, Fabio Colagrande ha raccolto il commento di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro e postulatore della Causa di Beatificazione di don Puglisi: ascolta  

Radio Vaticana - R. – Innanzitutto le reputo il suggello di un cammino ecclesiale iniziato negli anni Ottanta e che ha avuto il suo momento più alto con il grido di Giovanni Paolo II, vent’anni fa, nella Valle dei Templi, nel mese di maggio, il 9 maggio 1993 per l’esattezza. Questo pensiero, pur nella sua brevità di Papa Francesco, chiude – se così possiamo dire – questo iter in occasione della Beatificazione di Puglisi. Quindi un messaggio meraviglioso, di forza, che deve entrare nella mente – mi permetto di dire – non solo dei palermitani e dei siciliani, ma di tutti i buoni credenti, perché la malavita, che si chiami mafia o con un altro nome, l’abbiamo un po’ in tutto il mondo. Segna la inconciliabilità assoluta tra Vangelo e qualsiasi altra forma di violenza e di sopraffazione. Un bel messaggio quello del Papa, che va a chiudere la bellissima celebrazione avvenuta a Palermo, sabato scorso, dinanzi a 100 mila persone; un bel segno di un popolo nuovo, che desidera liberarsi da questa malapianta, da questo cancro, che è ad ora il dio del potere e il dio del denaro.

D. – Ha colpito molto l’invito di Papa Francesco a pregare perché i mafiosi e le mafiose si convertano a Dio…

R. – Mi permetto di dire che nella parola “convertitevi” ci deve essere il pentimento sincero sia a livello religioso, sia a livello civile. Deve essere incluso anche il concetto di riparazione per il male fatto. La vera conversione diventa liberante, diventa rigenerante: possiamo avere un uomo nuovo. Questa è la forza del cristianesimo, la forza del Vangelo. Per cui in quella parola “convertitevi” c’è il desiderio di resurrezione: più che una condanna è un invito a vivere santamente come vuole il Signore. La grandissima presenza al Foro Italico di Palermo, ma sicuramente anche dinanzi ai televisori milioni di persone hanno potuto assistere alla celebrazione, è il segno che questo piccolo grande uomo, questo umile uomo, con la sua semplicità, con la sua umiltà, il suo senso ecclesiale, fatto di ubbidienza e fatto di povertà, fatto di dolcezza e fatto di mitezza, ha seguito Cristo fino in fondo. Quindi diventa un’immagine trasparente, vivente per gli uomini di oggi, perché è collegato alla Croce di Cristo. Come il chicco di grano: se non muore non porta frutto.


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