Molti furono i giornalisti che nel corso del secolo scorso morirono per mano della criminalità organizzata. La loro colpa? Il coraggio. Quando la verità diventa una minaccia la mafia punisce i coraggiosi con la morte
di Ilaria Sulla
Il primo è Cosimo Cristina, ucciso nel 1960, che fondò un periodico chiamato “Prospettive Siciliane”. Iniziò da subito ad occuparsi del fenomeno mafioso, e non passò molto tempo prima che le famiglie decidessero di zittirlo per sempre. L’omicidio fu architettato nei minimi particolari in modo da sembrare un suicidio (la stessa cosa capitò a Peppino Impastato). Il corpo del giovane Cristina fu trovato sui binari delle ferrovie vicino Termini Imerese e ciò fece pensare da subito al suicidio: ci vollero ben 6 anni prima della riapertura del caso, avuta anche grazie ai colleghi del giornalista e in particolare a Mario Francesi, altro giornalista ucciso 19 anni dopo dalla mafia. Dopo l’accusa al capomafia di Termini Agostino Rubino (consigliere della DC) e al boss Santo Gaeta e le loro successive assoluzioni, il caso venne archiviato e cadde nel dimenticatoio .
Giovanni Spampinato morì invece nel 1972. Il giornalista fu l’autore di una dettagliata inchiesta sulle figure neofasciste e sui relativi rapporti con le mafie, portando alla luce i traffici di opere d’arte, armi, sigarette e droga. Il suo omicidio avvenne pochi anni dopo la strage di Piazza Fontana e pochi giorni dopo le rivelazioni di Spampinato sulla presenza a Ragusa del “bombardiere nero” Delle Chiaie (all’epoca ricercato per aver bombardato l’Altare della Patria) e di figure neofasciste legate a Junio Valerio Borghese, l’uomo che aveva tentato un colpo di stato nel 1970. Giovanni Spampinato morì prima di poter documentare tutto ciò: lo raggiunsero due pallottole mentre era nella sua Cinquecento. A differenza del collega Cristina, l’omicida aveva un nome: si tratta di Roberto Campria, il figlio del Presidente del tribunale di Ragusa.
Il più conosciuto tra tutti è Peppino Impastato, che morì a Cinisi nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978. Si era presentato nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali, ma non riuscì mai a terminare la campagna elettorale. La sua “colpa” è stata quella di aver parlato apertamente della mafia (anche all'interno della sua stessa famiglia) grazie alla fondazione di “Radio Aut”. Denunciava costantemente il capomafia Gaetano Badalamenti, spesso definito “Tano Seduto”, e tutti i criminali che ruotavano intorno alla sua figura e trafficavano droga a livello internazionale attraverso il controllo dell’aeroporto di Cinisi. Inizialmente il suo omicidio, che avvenne la notte precedente alla restituzione del corpo senza vita di Aldo Moro, passò quasi inosservato. Si riuscì addirittura a farlo passare per suicidio a causa di una lettera di qualche tempo prima in cui Peppino dichiarava la sua sfiducia nei confronti della vita. Solo nel 2002, dopo la condanna di altri autori del delitto, Gaetano Badalamenti fu condannato all’ergastolo.
Per ultimo Mario Francese, morto nel 1979. Fu l’unico giornalista a riuscire ad intervistare Antonietta Bagarella, moglie di Totò Riina. Per il suo assassinio sono stati condannati: Totò Riina, Leoluca Bagarella, Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo Provenzano con la seguente motivazione: “Il movente dell'omicidio Francese è sicuramente ricollegabile allo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un'approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni '70”. Nel 2002 si suicidò il figlio Giuseppe, dopo essersi dedicato per tutta la sua carriera giornalistica all’omicidio del padre.
I giornalisti uccisi dalla mafia sono questi e molti altri. Ricordiamo anche Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Giancarlo Siani, Mauro Rostagno, Beppe Alfano ed altre persone coraggiose che hanno dedicato una vita intera alla denuncia del mondo mafioso e ne sono rimaste vittime ingiustamente sconosciute.
di Ilaria Sulla
Il primo è Cosimo Cristina, ucciso nel 1960, che fondò un periodico chiamato “Prospettive Siciliane”. Iniziò da subito ad occuparsi del fenomeno mafioso, e non passò molto tempo prima che le famiglie decidessero di zittirlo per sempre. L’omicidio fu architettato nei minimi particolari in modo da sembrare un suicidio (la stessa cosa capitò a Peppino Impastato). Il corpo del giovane Cristina fu trovato sui binari delle ferrovie vicino Termini Imerese e ciò fece pensare da subito al suicidio: ci vollero ben 6 anni prima della riapertura del caso, avuta anche grazie ai colleghi del giornalista e in particolare a Mario Francesi, altro giornalista ucciso 19 anni dopo dalla mafia. Dopo l’accusa al capomafia di Termini Agostino Rubino (consigliere della DC) e al boss Santo Gaeta e le loro successive assoluzioni, il caso venne archiviato e cadde nel dimenticatoio .
Giovanni Spampinato morì invece nel 1972. Il giornalista fu l’autore di una dettagliata inchiesta sulle figure neofasciste e sui relativi rapporti con le mafie, portando alla luce i traffici di opere d’arte, armi, sigarette e droga. Il suo omicidio avvenne pochi anni dopo la strage di Piazza Fontana e pochi giorni dopo le rivelazioni di Spampinato sulla presenza a Ragusa del “bombardiere nero” Delle Chiaie (all’epoca ricercato per aver bombardato l’Altare della Patria) e di figure neofasciste legate a Junio Valerio Borghese, l’uomo che aveva tentato un colpo di stato nel 1970. Giovanni Spampinato morì prima di poter documentare tutto ciò: lo raggiunsero due pallottole mentre era nella sua Cinquecento. A differenza del collega Cristina, l’omicida aveva un nome: si tratta di Roberto Campria, il figlio del Presidente del tribunale di Ragusa.
Il più conosciuto tra tutti è Peppino Impastato, che morì a Cinisi nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978. Si era presentato nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali, ma non riuscì mai a terminare la campagna elettorale. La sua “colpa” è stata quella di aver parlato apertamente della mafia (anche all'interno della sua stessa famiglia) grazie alla fondazione di “Radio Aut”. Denunciava costantemente il capomafia Gaetano Badalamenti, spesso definito “Tano Seduto”, e tutti i criminali che ruotavano intorno alla sua figura e trafficavano droga a livello internazionale attraverso il controllo dell’aeroporto di Cinisi. Inizialmente il suo omicidio, che avvenne la notte precedente alla restituzione del corpo senza vita di Aldo Moro, passò quasi inosservato. Si riuscì addirittura a farlo passare per suicidio a causa di una lettera di qualche tempo prima in cui Peppino dichiarava la sua sfiducia nei confronti della vita. Solo nel 2002, dopo la condanna di altri autori del delitto, Gaetano Badalamenti fu condannato all’ergastolo.
Per ultimo Mario Francese, morto nel 1979. Fu l’unico giornalista a riuscire ad intervistare Antonietta Bagarella, moglie di Totò Riina. Per il suo assassinio sono stati condannati: Totò Riina, Leoluca Bagarella, Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo Provenzano con la seguente motivazione: “Il movente dell'omicidio Francese è sicuramente ricollegabile allo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un'approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni '70”. Nel 2002 si suicidò il figlio Giuseppe, dopo essersi dedicato per tutta la sua carriera giornalistica all’omicidio del padre.
I giornalisti uccisi dalla mafia sono questi e molti altri. Ricordiamo anche Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Giancarlo Siani, Mauro Rostagno, Beppe Alfano ed altre persone coraggiose che hanno dedicato una vita intera alla denuncia del mondo mafioso e ne sono rimaste vittime ingiustamente sconosciute.
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