giovedì, maggio 30, 2013
Storia di Arthur Rimbaud, il più grande poeta francese di tutti i tempi. In vita nessuno volle pubblicare i suoi versi.

di Paolo Di Mizio

“Ah, sognare è indegno. / Perché è pura perdita. / E se anche ridiventassi / l’antico viaggiatore, / mai la locanda verde / potrebbe essermi riaperta”. Arthur Rimbaud (1854-1891).

Nei versi del poeta francese la locanda verde è il simbolo della memoria: lì è racchiuso tutto ciò che siamo stati, la giovinezza, l’età dell’oro, un’epoca felice – fosse anche soltanto nel ricordo. La locanda verde non ci aprirà più. Perché ciò che siamo stati, non saremo mai di nuovo. Nulla ritorna, tutto finisce. La morte è sempre a un passo.

Rimbaud fu il primo “poeta maledetto”, definizione coniata per lui dal poeta Paul Verlaine, con il quale ebbe una tempestosa relazione omosessuale. Verlaine, sposato con una donna molto ricca, abbandonò la moglie per il giovanissimo Rimbaud. I due fuggirono a Londra, dove presto finirono col prendersi a pugni e spararsi a pistolettate.

Le loro strade si separarono. Verlaine tornò dalla ricca moglie. Rimbaud rimase solo, a girovagare tra Francia e Belgio, con il fardello dei suoi sogni, dei suoi scritti, delle sue ubriacature di assenzio. Sognò tutta la vita di avere un amore tranquillo con una donna, ma non gli fu dato. Cercò per tutta la vita di liberarsi dalle ristrettezze economiche, ma non gli fu dato.

Ora disperato, ora orgoglioso della sua ipersensibilità, scrisse di sé: “Aveva più forza di un santo, più buonsenso di un viaggiatore – e aveva se stesso, soltanto se stesso!, come testimone della propria gloria e della propria ragione.”

Compose poesie di ineguagliata allucinazione. “Le bateau ivre”, “La barca ubriaca”, è il suo capolavoro, i cui primi versi sono questi:

“Come presi a discendere i fiumi impassibili, / Non mi sentii più guidato dai bardotti: / Pellirossa urlanti li avevano bersagliati / Inchiodandoli nudi ai pali variopinti.”

I bardotti sono animali ibridi nati dall’accoppiamento di un maschio di cavallo con una femmina d’asino. Ecco i versi finali del poemetto:

“Non posso più, o onde, bagnato dai vostri languori, / rubare la scia ai legni che portano cotone, / né attraversare l’orgoglio delle bandiere e delle fiamme, / né nuotare sotto gli occhi orribili dei pontoni.”

Il senso dell’intera composizione è tra i più oscuri della poesia occidentale, forse riproduzione di uno stato di allucinazione dovuto all’alcool o all’oppio.

Rimbaud inventò un modo nuovo di scrivere versi, un modo rivoluzionario, visionario, intossicante: inventò una poesia psichedelica con oltre un secolo d’anticipo sui poeti della “beat generation”. Nessun editore volle mai pubblicare i suoi versi. E questo la dice lunga sull’incapacità del mondo di comprendere i veri geni.

Rimbaud cercò di pubblicare una raccolta delle sue poesie pagandola di tasca propria. Ma quando i libretti furono pronti, il giovane, come spesso gli accadeva, non aveva il becco di un quattrino. Lo stampatore non gli volle consegnare neppure un volume e se li tenne tutti chiusi in una cassa in magazzino.

Di un poeta chiamato Arthur Rimbaud il mondo ebbe notizia soltanto dopo la sua morte, quando su di lui scrisse un articolo il suo amico ed ex amante Paul Verlaine, che era un poeta affermato. Allora vennero fuori anche i libri che lo stampatore avaro teneva in una cassetta in magazzino. Senza Verlaine, non sapremmo nulla di Rimbaud, e ignoreremmo anche l’esistenza di questo genio della letteratura mondiale.

Abissinia. Rimbaud, foto inedita
Intanto il giovane Arthur – aveva poco più di vent’anni – deluso, quasi sopraffatto dai suoi demoni e dalla condanna sociale per la vita sregolata, scandalosa e soprattutto infruttuosa che aveva condotto, abbandonò la poesia, esercitando quasi un’amputazione della sua anima: credette di poter praticare un taglio consapevole e decisivo con il mondo delirante della sua immaginazione. Dopo aver vagabondato per mezza Europa, finì col cercare fortuna in Abissinia. E’ solo una leggenda che diventasse un mercante di schiavi: in realtà vendeva armi e caffè.

Dall’Abissinia mandò una foto-cartolina a sua madre: “per ricordarti che volto ho” scrisse sul fronte. Dall’altro lato aggiunse poche parole per informarla – e tranquillizzarla – che aveva abbandonato ogni velleità di poeta, e che era finalmente diventato un rispettabile commerciante.

Durante una spedizione nella savana per la consegna di una partita d’armi a un gruppo di guerriglieri, morirono i suoi due soci. I guerriglieri contestarono la consegna e alla fine pagarono per le armi una cifra inferiore a quella pattuita. Con la somma Rimbaud dovette rimborsare vari debiti contratti dai soci ora defunti. In tasca non gli rimase quasi nulla.

La malasorte continuava ad accompagnarlo. In Abissinia fu colto da un tumore al ginocchio. Raggiunse faticosamente e avventurosamente l’Egitto e da qui si imbarcò per la Francia. In patria fu ricoverato e curato. Ma l’amputazione della gamba e una successiva infezione lo portarono alla morte. Aveva appena 37 anni.

Un commerciante svizzero, che lo aveva conosciuto in Africa, trovandosi in Francia, si sentì in dovere di fare visita alla madre del poeta, alla quale disse, con tono consolatorio: “Signora, le assicuro, Arthur era molto devoto agli affari: era un commerciante serio, per bene”.

Come se essere “un commerciante per bene” potesse costituire il suo migliore epitaffio e attestare la sua definitiva emancipazione dalla dannazione di essere stato un poeta.

Arthur Rimbaud è oggi considerato, quasi unanimemente, il più grande poeta francese di tutti i tempi. Come Dante Alighieri, non ha avuto imitatori. Aveva scritto i primi versi a quindici anni, gli ultimi a ventidue.


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