mercoledì, maggio 08, 2013
Il martirio di chi ha speso una vita a favore delle minoranze raccontato nel libro di Zuccolini e Pietrolucci

di Fabio Vitucci

Shahbaz Bhatti muore il 2 marzo 2011 ad Islamabad, ucciso da estremisti musulmani quando era Ministro per le Minoranze in Pakistan e stava combattendo varie battaglie per i diritti umani dei cristiani e di tutte le minoranze del paese asiatico. Il libro edito dalle Edizioni Paoline racconta tutta la sua vita e il suo impegno politico, emanazione diretta della sua fede cristiana e della sequela a Gesù Cristo: come racconterà spesso lui stesso, Shahbaz si sente chiamato a dare la sua vita per i bisognosi, e non c’è nulla che potrà distoglierlo dal suo intento, nemmeno la paura della morte (paura che inizia ad attanagliarlo già da qualche mese prima dell’attentato, da quando cioè si era esposto in prima persona per la liberazione di Asia Bibi e per l’abolizione della legge sulla blasfemia).

Sono stati tanti i successi riportati da Shahbaz con una lunga attività politica e diplomatica, che ha visto l’appoggio anche di tante personalità straniere colpite dalla sua tenacia e dalla riscoperta che la strada del dialogo è sempre possibile. Innanzitutto Shahbaz riesce nell’istituzione del Ministero delle Minoranze, di cui diventa titolare, e che per la prima volta porta alla ribalta nel Pakistan islamizzato le istanze di cristiani, indù, sikh, che insieme ai musulmani avevano contribuito alla nascita del Paese e che lo stesso Ali Jinnah, storico fondatore del Pakistan, aveva dichiarato uguali a tutti gli altri davanti alla legge e membri a pieno titolo di uno stato laico e pluralista.

Ma nel corso dei secoli così non era stato, e il processo di islamizzazione aveva reso il Pakistan una delle nazioni più fondamentaliste del mondo arabo, dove interi villaggi cristiani vengono rasi al suolo, dove chiamarsi Joseph o Anthony vuol dire subire vessazioni di ogni tipo, anche in ambito lavorativo, dove la legge sulla blasfemia è usata per dirimere controversie di qualsiasi tipo sempre a favore dei musulmani.

Shahbaz però non ci sta: come dice nella prefazione Andrea Riccardi, egli “credeva nella funzione delle minoranze perché hanno un compito prezioso: essere memoria vivente che l’altro esiste e aiutare le maggioranze a liberarsi dagli istinti totalizzanti”. E così l’azione di Shahbaz è ad ampio spettro: parte da opere di carità e supporto verso tutti, anche musulmani, in momenti difficili come il terremoto in Pakistan; si declina nell’appoggio a campagne come quella contro la creazione di una carta d’identità separata per i non musulmani; si sviluppa con la creazione di “comitati locali per l’armonia interreligiosa”, nella consapevolezza che solo il dialogo continuo, soprattutto con i musulmani moderati, poteva rompere quelle barriere di discriminazione e isolamento che le minoranze vivevano ormai da secoli.

Da Ministro Shahbaz ottiene, come detto, tanti risultati, da una legge nazionale che obbliga ogni ufficio pubblico ad assumere il 5% di dipendenti tra le minoranze religiose all’assegnazione di 4 posti in Senato proprio per le minoranze (fino ad allora escluse dal Parlamento), dall’istituzione della Festa delle Minoranze alle stesura e all’adesione da parte di vari leader musulmani di un documento contro ogni forma di terrorismo. E’ toccante leggere nelle pagine del libro di come Shahbaz si butti a capofitto in ogni sua iniziativa, sempre guidato dalla fede in Dio, e di come riesca a coinvolgere nella sua azione tante personalità del mondo islamico grazie all’esempio, al rispetto per gli altri e ad una continua tensione verso il dialogo.

A 42 anni, in pieno centro e senza scorta (ormai da qualche mese, con una scelta gravissima del governo), Shahbaz Bhatti viene ucciso da chi voleva bloccare la sua opera. Ma così non è stato: tanti si sono ispirati alla sua azione, in Pakistan e all’estero, e, come ha detto il vescovo pakistano Joseph Coutts, “Shahbaz era un uomo con una missione: portare pace, armonia, comprensione e amore in un Paese che sta sperimentando una crescente intolleranza in nome della religione. Questa missione non è finita con la sua morte ma deve continuare. Bhatti ci ha mostrato una strada, la via del dialogo e della pace, del lavoro per i poveri e dell’amicizia con tutti. Dobbiamo continuare a camminare su questa strada con coraggio, perché la sua morte possa portare frutto in abbondanza”.

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