Dopo i violenti scontri nelle periferie
di Stoccolma, si riapre il dibattito sull'immigrazione in Svezia
di Giulia Bernini
Per offuscare il mito della Svezia capitale di giustizia sociale, benessere e integrazione sono bastate alcune notti di scontri. A Ragsved è stata incendiata una stazione di polizia, a Skogas è stato bruciato un ristorante, ad Hagsatra un agente è stato gravemente ferito. I manifestanti, per la maggior parte giovani immigrati somali, siriani e turchi, hanno dato alle fiamme auto (guarda il video), edifici pubblici (perfino a una scuola materna) e lanciato contro gli agenti di polizia pietre e altri oggetti contundenti. Con queste azioni intendevano protestare contro la disoccupazione, il caro vita e la mancata integrazione con la popolazione autoctona.
Gli scontri sono iniziati lo scorso 19 maggio a Husby, dove la polizia ha ucciso un immigrato di 69 anni armato. Questo episodio ha rappresentato l'innesco per l'esplosione di una rabbia che covava ormai da tempo nelle periferie di Stoccolma. E' interessante notare che nel quartiere nord l'80% dei 12.000 abitanti è costituito da immigrati provenienti prevalentemente da Siria, Turchia e Somalia. Husby è nato intorno agli anni Settanta nell'ambito del Progetto Meliora su iniziativa del Partito Socialdemocratico svedese con l'obiettivo di garantire un'abitazione accessibile a tutti. L'ambizioso progetto raggiunse i risultati sperati, tanto che in un decennio sono sorte più di un milione di case insieme a spazi pubblici, scuole, biblioteche e chiese.
L'obiettivo di mescolare e integrare diversi gruppi etnici non sembra tuttavia essere stato raggiunto. Secondo recenti studi condotti dal Governo a Husby il 30% dei giovani con un'età compresa tra i 16 e i 29 anni non studia e neppure lavora. L'Ocse ha constatato che nel Paese scandinavo si trova la più alta differenza al mondo tra lavoratori autoctoni e lavoratori di altra nazionalità, e che è inoltre presente una notevole divergenza tra i ricchi e i poveri.
Questa situazione di disagio sociale è aumentata nel corso del tempo, così come il numero dei rifugiati politici che la Svezia ha accolto: nel 2012 sono arrivate circa 44.000 richieste, di cui 12.000 accolte. Nello stesso anno, a incrementare la tensione degli extracomunitari nei confronti di polizia e istituzioni è stata l'approvazione del progetto Reva, denunciato dalle associazioni degli immigrati in quanto “legge razzista”, che consente agli agenti di fermare e denunciare immediatamente tutti coloro che non possiedono il permesso di soggiorno.
Come se non bastasse, la Svezia, come altri Paesi europei, è stata investita dalla crisi economica che ha indotto il Governo ad attuare tagli sui fondi per l'immigrazione. Vi sono poi cause interne, inerenti alla storia e alla cultura della nazione, che possono aver contribuito ai disordini che si sono verificati: “La Svezia è un Paese storicamente isolato, poco avvezzo al multiculturalismo e che da pochi anni si è aperto all'immigrazione” dice Andreas J. Heino, professore alla Goteborg University, che sostiene che i 4/5 degli svedesi pensa che gli immigrati debbano adattarsi “alle loro abitudini” e i 2/3 che non siano in grado di farlo.
Se aggiungiamo questo orientamento interno degli svedesi alla situazione socio-economica della nazione si capisce come l'integrazione sia un processo molto difficile e che deve essere sostenuto da chi arriva, da chi vive già nel Paese e dalle autorità politiche.
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È presente 1 commento
La verita'e'che gli immigrati mussulmani non hanno nessuna voglia di integrarsi ne'in svezia ne'in nessun altro posto sono prepotenti se le dai una mano dopo vogliono tutto il braccio che tornassero ai loro paesi la sono abituati a fare casini!via tutti!
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