giovedì, maggio 16, 2013
La decisione dell’Ufficio di presidenza della Camera dei deputati sull’estensione dell’assistenza sanitaria integrativa ai “conviventi dello stesso sesso” sembra eludere il ruolo legislativo del Parlamento in materia e introduce un'altra ingiustificata discriminazione non presente nella nostra Carta fondativa. 

Città Nuova - Il parere del giurista Notizie come quella della decisione assunta nell’ambito dell’ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati, relativa all’estensione dell’assistenza sanitaria integrativa ai “conviventi dello stesso sesso” del deputato che ne faccia richiesta, è rimbalzata, pur nella sua stringatezza, su tutti gli organi di stampa e sul web. Ha l’apparenza di un sassolino gettato nell’acqua, i cui effetti però possono arrivare lontano . La questione, sollevata anche in precedenza da qualche membro della Camera portatore di un interesse personale ha trovato accoglimento nel provvedimento assunto a maggioranza dall’ufficio di Presidenza, organo presieduto dal presidente della Camera dei deputati, e composto attualmente da tre vicepresidenti, tre questori e una decina di deputati segretari . L’iter richiederà la modifica del regolamento di assistenza sanitaria integrativa dei deputati in riferimento all’art.2 su “Altri soggetti iscritti”, che oggi non comprendono i conviventi dello stesso sesso. L’estensione approvata riguarderà le prestazioni sanitarie indicate, anche quelle “straordinarie”, cui seguono i rimborsi secondo limiti e procedure previste.

Questi i dati essenziali, che hanno peraltro l’effetto di innescare conseguenze e rilievi non trascurabili.

L’estensione che, come si è argomentato sui media e da parte dei proponenti, annullerebbe una ingiustificata discriminazione nei confronti dei parlamentari di orientamento omosessuale, in realtà ne introduce un’altra nei confronti di analoghe situazioni per soggetti non appartenenti alla cosidetta “casta”, inducendo così nei cittadini, già gravati di notevoli sacrifici, la netta sensazione di ulteriori “privilegi” riservati ai parlamentari di turno.

Ma in realtà, la decisione imputabile a un organo così ristretto, quale l’Ufficio di Presidenza della Camera, pare acquistare piuttosto un valore simbolico e in qualche modo provocatorio verso ulteriori e più rilevanti provvedimenti, giustificabili in vista di un’eguaglianza che ora viene invocata ai fini del riconoscimento di diritti analoghi per tutti coloro che abbiano instaurato una convivenza con persone dello stesso sesso.

A sostegno della decisione assunta si sono richiamate anche le sentenze della Corte costituzionale (n. 138/2010) e la più recente della Cassazione civile (15 marzo 2012), ma entrambe ribadiscono in materia il ruolo ineludibile del Parlamento, al quale unicamente compete di individuare eventuali forme di tutela per via normativa anche per le unioni omosessuali. È dunque il Parlamento nella pluralità dei suoi membri che può e deve operare scelte per il Paese, ancor più se riguardano materie di rilevanza costituzionale, e la famiglia lo è.

L’art. 29 la prevede come «società naturale fondata sul matrimonio», e così l’ha sostenuta e difesa anche Togliatti, autorevole esponente del partito comunista, durante i lavori dell’Assemblea Costituente. La Costituzione la contempla come soggetto, di cui riconosce i diritti, originari e preesistenti, a cui segue la previsione e la tutela dei figli. Se così è, appare fuori luogo l’espressione di chi, nel sostenere la copertura assicurativa dei deputati, afferma che non importa se i conviventi sono del medesimo sesso o di “sesso opposto”: la diversità uomo-donna, indispensabile ad ogni procreazione (naturale o artificiale), è complementare e non opposta, anzi indispensabile nella formazione di una famiglia, dove gli equilibri relazionali trovano tutela anche nel nostro codice civile.

Non è certo in questione il valore della persona come tale: la Costituzione riconosce la “pari dignità sociale” quale espressione di un’eguaglianza che non è peraltro identità o egualitarismo, ma eguale valore per ognuno senza differenze. Non vi sono dunque persone "altre" in ragione di un orientamento sessuale, ma solo persone a cui la nostra Costituzione guarda senza discriminazione alcuna. Così l’art. 2, nel riconoscere e garantire “i diritti inviolabili dell’uomo” ne assicura la tutela e considera la personalità individuale di ciascuno anche nelle formazioni sociali, ma senza dimenticare le tante diversità che costituiscono una risorsa.

                                                                                                                             di Adriana Cosseddu


Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa