Intervista al professore Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, rete telematica eco-pacifista, che si è particolarmente distinto nella lotta contro l’inquinamento provocato dall’Ilva nella città pugliese
Le indagini messe in atto dal docente tarantino sono state essenziali per avviare i provvedimenti giudiziari da parte della magistratura. L’alta concentrazione di diossina riscontrata nel latte materno, nel sangue dei bambini così come nei fondali del Mar Piccolo (dove si pescano le cozze e altri frutti di mare) o ancora nei formaggi prodotti dagli allevatori locali sono alcune delle prove eclatanti del disastro ambientale scatenato dal mostro siderurgico.
D - In un suo articolo, pubblicato il 22 aprile sul Fatto Quotidiano, cita una proverbio africano: “Tratta bene la terra, non c’è stata data dai nostri padri, c’è stata prestata dai nostri figli”. La frase riportata era una risposta alle affermazioni di un esponente politico fortemente convinto della priorità del lavoro rispetto alla salvaguardia della salute e dell’ambiente. A tal proposito come si potrebbe conciliare il dilemma lavoro-salute?
R - Esattamente come viene affrontato in altre città europee dove si realizzano impianti industriali a debita distanza dai centri abitati, impiegando tecnologie migliori rispetto a quelle dell’Ilva e con una partecipazione dei cittadini che promuovono un principio di sviluppo sostenibile. È impensabile che in una sola città si concentrino tanti impianti che provocano un disastro ambientale. Questo è l’esempio di un eclatante forma di sviluppo non sostenuto.
D - L’informazione italiana è stata manipolata da uomini potenti che hanno comprato intere pagine dei principali giornali italiani a difesa dell’Ilva. Nonostante il nostro sia un Paese democratico, fra le tante battaglie occorre quindi lottare anche per la libertà di stampa?
R - Indubbiamente. Il principio di avere un’informazione pluralistica e indipendente è fondamentale. Molti giornalisti hanno saputo fare belle inchieste ascoltando chi come noi ha cercato di offrire altri punti di vista al problema. Taranto in questo senso si è impegnata ammirevolmente, forse proprio per questo c’è stata una sorta di pressione da parte dei vertici dell’informazione per controllare quei bravi giornalisti che erano sfuggiti alla “sorveglianza”.
D - Durante un suo intervento disse che l’Ilva potrebbe diventare azienda leader nel settore della green economy attuando la produzione di pannelli fotovoltaici. Potrebbe approfondire questo aspetto molto interessante?
R - Io credo che sull’area dove attualmente sorge l’Ilva si potrebbero installare pannelli fotovoltaici producendo così energia pulita. Sarebbe un investimento importante che riconvertirebbe il sito a un uso non meno redditizio di quello attuale, anzi si potrebbe persino risparmiare nei costi di bonifica e quindi guadagnarci.
D - La consapevolezza della gravità della situazione fra i tarantini è ormai una certezza: non c’è più rassegnazione ma solo il desiderio di cambiare lo stato delle cose. Al referendum dello scorso mese ben 30.000 persone hanno votato per la chiusura dell’Ilva: questa mobilitazione fa sperare in un concreto cambiamento?
R - Sì, il processo di crescita richiede molto tempo. Nella città esiste una vera e propria lotta fra due culture: una coinvolge molte persone che rappresentano la parte attiva della lotta, mentre l’altra non è pienamente consapevole di poter svolgere questa protesta. Poi ci sono coloro che sopravvivono al problema e per motivi culturali, in termini antropologici, sono ai margini della partecipazione attiva. Loro costituiscono una sorta di città dell’indifferenza e della rassegnazione che magari nei momenti più tragici sfocia in ribellione. Questa parte di cittadini rappresenta l’aspetto più enigmatico della città.
D - Lei ha compiuto diverse indagini fra cui quelle che hanno dimostrato la presenza di piombo nel sangue dei bambini. La diffusione di questi dati allarmanti ha generato una ribellione fra la popolazione particolarmente significativa: crede che Taranto riuscirà a salvare i propri figli e non lasciare che nessuno si sacrifichi più in nome del profitto?
R - Io penso di sì. È questo tipo di analisi che dimostra come l’inquinamento si presenti non in modo visibile, ma si nasconda nei corpi della gente. Da ciò può nascere una nuova consapevolezza anche fra coloro che sono ancora restii e potranno comprendere che il problema ricade sulla salute. Purtroppo molte persone sono cambiate dopo aver vissuto sulla propria pelle alcune tragedie che hanno devastato le loro vite. Altre città invece sono riuscite a cambiare lo stato delle cose senza toccare il fondo della disperazione ma prevenendo il futuro.
di Paola Bisconti
Le indagini messe in atto dal docente tarantino sono state essenziali per avviare i provvedimenti giudiziari da parte della magistratura. L’alta concentrazione di diossina riscontrata nel latte materno, nel sangue dei bambini così come nei fondali del Mar Piccolo (dove si pescano le cozze e altri frutti di mare) o ancora nei formaggi prodotti dagli allevatori locali sono alcune delle prove eclatanti del disastro ambientale scatenato dal mostro siderurgico.
D - In un suo articolo, pubblicato il 22 aprile sul Fatto Quotidiano, cita una proverbio africano: “Tratta bene la terra, non c’è stata data dai nostri padri, c’è stata prestata dai nostri figli”. La frase riportata era una risposta alle affermazioni di un esponente politico fortemente convinto della priorità del lavoro rispetto alla salvaguardia della salute e dell’ambiente. A tal proposito come si potrebbe conciliare il dilemma lavoro-salute?
R - Esattamente come viene affrontato in altre città europee dove si realizzano impianti industriali a debita distanza dai centri abitati, impiegando tecnologie migliori rispetto a quelle dell’Ilva e con una partecipazione dei cittadini che promuovono un principio di sviluppo sostenibile. È impensabile che in una sola città si concentrino tanti impianti che provocano un disastro ambientale. Questo è l’esempio di un eclatante forma di sviluppo non sostenuto.
D - L’informazione italiana è stata manipolata da uomini potenti che hanno comprato intere pagine dei principali giornali italiani a difesa dell’Ilva. Nonostante il nostro sia un Paese democratico, fra le tante battaglie occorre quindi lottare anche per la libertà di stampa?
R - Indubbiamente. Il principio di avere un’informazione pluralistica e indipendente è fondamentale. Molti giornalisti hanno saputo fare belle inchieste ascoltando chi come noi ha cercato di offrire altri punti di vista al problema. Taranto in questo senso si è impegnata ammirevolmente, forse proprio per questo c’è stata una sorta di pressione da parte dei vertici dell’informazione per controllare quei bravi giornalisti che erano sfuggiti alla “sorveglianza”.
D - Durante un suo intervento disse che l’Ilva potrebbe diventare azienda leader nel settore della green economy attuando la produzione di pannelli fotovoltaici. Potrebbe approfondire questo aspetto molto interessante?
R - Io credo che sull’area dove attualmente sorge l’Ilva si potrebbero installare pannelli fotovoltaici producendo così energia pulita. Sarebbe un investimento importante che riconvertirebbe il sito a un uso non meno redditizio di quello attuale, anzi si potrebbe persino risparmiare nei costi di bonifica e quindi guadagnarci.
D - La consapevolezza della gravità della situazione fra i tarantini è ormai una certezza: non c’è più rassegnazione ma solo il desiderio di cambiare lo stato delle cose. Al referendum dello scorso mese ben 30.000 persone hanno votato per la chiusura dell’Ilva: questa mobilitazione fa sperare in un concreto cambiamento?
R - Sì, il processo di crescita richiede molto tempo. Nella città esiste una vera e propria lotta fra due culture: una coinvolge molte persone che rappresentano la parte attiva della lotta, mentre l’altra non è pienamente consapevole di poter svolgere questa protesta. Poi ci sono coloro che sopravvivono al problema e per motivi culturali, in termini antropologici, sono ai margini della partecipazione attiva. Loro costituiscono una sorta di città dell’indifferenza e della rassegnazione che magari nei momenti più tragici sfocia in ribellione. Questa parte di cittadini rappresenta l’aspetto più enigmatico della città.
D - Lei ha compiuto diverse indagini fra cui quelle che hanno dimostrato la presenza di piombo nel sangue dei bambini. La diffusione di questi dati allarmanti ha generato una ribellione fra la popolazione particolarmente significativa: crede che Taranto riuscirà a salvare i propri figli e non lasciare che nessuno si sacrifichi più in nome del profitto?
R - Io penso di sì. È questo tipo di analisi che dimostra come l’inquinamento si presenti non in modo visibile, ma si nasconda nei corpi della gente. Da ciò può nascere una nuova consapevolezza anche fra coloro che sono ancora restii e potranno comprendere che il problema ricade sulla salute. Purtroppo molte persone sono cambiate dopo aver vissuto sulla propria pelle alcune tragedie che hanno devastato le loro vite. Altre città invece sono riuscite a cambiare lo stato delle cose senza toccare il fondo della disperazione ma prevenendo il futuro.
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Sono presenti 2 commenti
VAI A FARE IL PROFESSORE SIGNOR MARESCOTTI,NOI VOGLIAMO LAVORARE IN PACE.SENZA LAVORO NESSUN FUTURO.
esatto
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