venerdì, maggio 24, 2013
Il Comune di Feltre, in provincia di Belluno, ha istituito l'assessorato ai Beni comuni e alla democrazia partecipativa: l'assessore Valter Bonan racconta l'esperienza dei laboratori di cittadinanza 

Città Nuova - Non sono molti in Italia i Comuni ad avere un assessorato ai Beni comuni e alla democrazia partecipativa: tra questi c'è Feltre, in provincia di Belluno, dove dopo le elezioni dello scorso anno l'incarico di guidarlo è stato conferito a Valter Bonan. Sotto la guida di questo assessore, per rendere concreta la democrazia partecipativa, è partita l'esperienza della Casa dei beni comuni: un progetto che riunisce i cittadini in forma singola o associata, il cui cuore pulsante sono i sei laboratori di cittadinanza – ciascuno competente per aree tematiche, corrispondenti ai diversi assessorati. Con l'approvazione del regolamento, lo scorso 26 marzo la loro attività è entrata nel vivo: l'assessore Bonan ci spiega come funzionano.

Come è nata l'idea dell'assessorato ai Beni comuni e dei laboratori di cittadinanza? «Quasi naturalmente direi, anche per quella che è la mia esperienza pregressa nel campo del sociale, già ben prima di stendere il programma elettorale. I beni comuni sono una questione fondante nel superamento del dualismo pubblico/privato, arrivando ad una terziarietà per la quale è necessaria una forma diversa di partecipazione: nel nostro piccolo vogliamo essere un esempio di democrazia deliberativa, non solo consultiva».

Quali sono i beni comuni che ricadono nella sfera di competenza del suo assessorato? «Innanzitutto il paesaggio, in quanto sintesi di tutti questi beni e delle questioni collegate: la gestione dell'acqua, il consumo del suolo, il risparmio energetico, l'agricoltura. In questo senso stiamo lavorando per la creazione di un distretto del biologico, così che i piccoli produttori possano mantenere la funzione di presidio del territorio. Altro bene da tutelare è il diritto all'informazione e alla conoscenza: progettiamo di riconvertire il campus universitario perché diventi centro di promozione e diffusione di tutte le iniziative volte a questo scopo». 

Come funzionano i laboratori di cittadinanza? «Sono organi propositivi, oltre che consultivi, ai quali ciascun cittadino o associazione può iscriversi: per ora hanno aderito in media 60 persone per laboratorio. Ognuno di questi può elaborare proposte per le proprie aree di competenza da presentare al Consiglio e alla Giunta, che hanno l'obbligo di prenderle in considerazione; e qualora una proposta non venisse accolta, l'assessore o commissione competente devono motivare la decisione nella seduta successiva del laboratorio. Un elemento importante è poi che i laboratori, oltre che su iniziativa delle commissioni consiliari, dell'assessore o del facilitatore – ossia il “coordinatore” del laboratorio, nominato dai membri stessi –, si possano autoconvocare su richiesta di un terzo degli iscritti: la loro attività, dunque, si svolge in maniera anche indipendente dall'amministrazione. Anche il regolamento, approvato dal Consiglio, è frutto dei laboratori stessi».


Quali sono stati i passi avanti più importanti che sono stati compiuti? «Un grande elemento di innovazione stimolato dall'istituzione della Casa dei beni comuni sono stati i Consigli comunali aperti, in cui ogni cittadino ha diritto di intervenire; ma anche diverse proposte per la gestione delle certificazioni energetiche degli edifici, dell'uso degli spazi formativi e iniziative come il banco alimentare. Il più grande traguardo raggiunto, però, è l'istituzionalizzazione degli strumenti per i processi partecipativi: le manifestazioni e le singole mobilitazioni vanno bene, ma rischiano di rimanere soltanto cose temporanee, mentre servono spazi certi, continuativi e regolamentati. Il riconoscimento dei beni comuni parte dal basso, non dalle istituzioni, e solo così si possono ottenere degli effetti concreti e duraturi sul piano normativo»

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