Cambia orizzonte il progetto da 400 miliardi di euro che ipotizzava la creazione di un impianto solare da 60 mila megawatt entro il 2050.
Greenreport - Desertec doveva servire a produrre energia sostenibile per l’Europa, il Nord-Africa e il Medio Oriente, costruendo le centrali nei paesi della sponda sud del Mediterraneo e trasferendo l’elettricità così prodotta verso il Vecchio Continente, grazie a collegamenti sottomarini ad alta tensione. La Desertec Foundation venne fondata il 20 gennaio 2009 con l’intento di promuovere l’idea di un vasto progetto per la produzione di energia da fonti rinnovabili (principalmente solare) nei deserti di tutto il mondo. Tra i fondatori l’Associazione tedesca del Club di Roma, alcuni della rete di scienziati TREC, sostenitori privati e promotori di varia natura; circa 30 sono i membri di staff e coordinatori nei vari Paesi,e poi una vasta comunità di sostenitori in tutto il mondo, tra cui banche di primo piano come Munich Re, Deutsche Bank, e aziende come E. On, Siemens, Rwe.
Il progetto, spesso dibattuto tra chi ne vedeva le possibilità di sviluppo per i paesi ad economia emergente e chi lo interpretava come una sorta di neocolonianilismo energetico, adesso cambia forma.
Una delle aziende di punta, la tedesca Siemens, ne è uscita; Paul van Son, amministratore delegato di Desertec Industrial Initiative, ammette la necessità di un ridimensionamento totale del programma, che era stato pensato per soddisfare il 20% dei consumi elettrici europei entro il 2050.
«Francamente, quattro anni fa Desertec era tutta una questione di trasportare l’energia dal Nord Africa», ha dichiarato van Son al sito EurActiv. «Abbiamo abbandonato questo pensiero unilaterale. Ora si tratta di creare mercati integrati in cui le rinnovabili porteranno i loro vantaggi. Questo è il principale obiettivo». Desertec ha racimolato pochi fondi dai potenziali investitori dei 400 miliardi previsti e il progetto di creare potenza elettrica aggiuntiva a quanta ne produce già l’Europa, oltretutto così difficile da trasportare, sembra ormai superato. Per non parlare dei problemi tecnici legati alla situazione delle reti elettriche di trasmissione, sottodimensionate anche per la distribuzione interna, e non solo in Italia.
I partner del progetto cercheranno dunque di potenziare gli accordi bilaterali con i Paesi dell’area Nord Africa e Medio Oriente (Mena), per realizzare impianti eolici e solari destinati soprattutto alla crescente domanda energetica di quell’area geografica. Anche il Marocco, tra i più accesi sostenitori di Desertec, punterà più sull’autoproduzione di energia rinnovabile e meno sull’esportazione, al pari della vicina Algeria. Le industrie italiane potrebbero avere comunque «una grande opportunità: fornire le infrastrutture energetiche per lo sviluppo di paesi che vedranno raddoppiare i consumi in 10 anni», ha sottolineato Gianluigi Angelantoni, presidente di Anest, l’associazione dei produttori di solare termodinamico.
Dagli Stati generali delle energie rinnovabili del Mediterraneo organizzati a maggio nell’ambito di SolarExpo 2013 dal consorzio Res4med, è emerso che entro il 2015 la domanda di energia dei paesi del Sud e dell’Est Mediterraneo ammonterà al 42% della domanda totale del bacino (nel 2006 era solo il 29%) e la Turchia diventerà il secondo consumatore. Il consumo energetico pro capite (che oggi è 3,5 volte inferiore rispetto a quello dei paesi del Nord) aumenterà 4 volte più rapidamente; quindi c’è un enorme spazio per le rinnovabili derivanti soprattutto dal vento e dal sole, considerate fondamentali non solo per ridurre le emissioni climalteranti ma anche come volano di sviluppo economico per i paesi della sponda settentrionale e orientale del Mediterraneo.
In questa cornice gli impianti che servono però sono soprattutto quelli destinati a soddisfare la domanda nazionale e diffusa di energia; quindi, anziché impianti di grande taglia e concentrati in poche aree, quello che serve è una generazione distribuita, basata su piccoli e piccolissimi impianti di rinnovabili che potranno – oltre all’energia- distribuire anche reddito e benessere economico.
Greenreport - Desertec doveva servire a produrre energia sostenibile per l’Europa, il Nord-Africa e il Medio Oriente, costruendo le centrali nei paesi della sponda sud del Mediterraneo e trasferendo l’elettricità così prodotta verso il Vecchio Continente, grazie a collegamenti sottomarini ad alta tensione. La Desertec Foundation venne fondata il 20 gennaio 2009 con l’intento di promuovere l’idea di un vasto progetto per la produzione di energia da fonti rinnovabili (principalmente solare) nei deserti di tutto il mondo. Tra i fondatori l’Associazione tedesca del Club di Roma, alcuni della rete di scienziati TREC, sostenitori privati e promotori di varia natura; circa 30 sono i membri di staff e coordinatori nei vari Paesi,e poi una vasta comunità di sostenitori in tutto il mondo, tra cui banche di primo piano come Munich Re, Deutsche Bank, e aziende come E. On, Siemens, Rwe.
Il progetto, spesso dibattuto tra chi ne vedeva le possibilità di sviluppo per i paesi ad economia emergente e chi lo interpretava come una sorta di neocolonianilismo energetico, adesso cambia forma.
Una delle aziende di punta, la tedesca Siemens, ne è uscita; Paul van Son, amministratore delegato di Desertec Industrial Initiative, ammette la necessità di un ridimensionamento totale del programma, che era stato pensato per soddisfare il 20% dei consumi elettrici europei entro il 2050.
«Francamente, quattro anni fa Desertec era tutta una questione di trasportare l’energia dal Nord Africa», ha dichiarato van Son al sito EurActiv. «Abbiamo abbandonato questo pensiero unilaterale. Ora si tratta di creare mercati integrati in cui le rinnovabili porteranno i loro vantaggi. Questo è il principale obiettivo». Desertec ha racimolato pochi fondi dai potenziali investitori dei 400 miliardi previsti e il progetto di creare potenza elettrica aggiuntiva a quanta ne produce già l’Europa, oltretutto così difficile da trasportare, sembra ormai superato. Per non parlare dei problemi tecnici legati alla situazione delle reti elettriche di trasmissione, sottodimensionate anche per la distribuzione interna, e non solo in Italia.
I partner del progetto cercheranno dunque di potenziare gli accordi bilaterali con i Paesi dell’area Nord Africa e Medio Oriente (Mena), per realizzare impianti eolici e solari destinati soprattutto alla crescente domanda energetica di quell’area geografica. Anche il Marocco, tra i più accesi sostenitori di Desertec, punterà più sull’autoproduzione di energia rinnovabile e meno sull’esportazione, al pari della vicina Algeria. Le industrie italiane potrebbero avere comunque «una grande opportunità: fornire le infrastrutture energetiche per lo sviluppo di paesi che vedranno raddoppiare i consumi in 10 anni», ha sottolineato Gianluigi Angelantoni, presidente di Anest, l’associazione dei produttori di solare termodinamico.
Dagli Stati generali delle energie rinnovabili del Mediterraneo organizzati a maggio nell’ambito di SolarExpo 2013 dal consorzio Res4med, è emerso che entro il 2015 la domanda di energia dei paesi del Sud e dell’Est Mediterraneo ammonterà al 42% della domanda totale del bacino (nel 2006 era solo il 29%) e la Turchia diventerà il secondo consumatore. Il consumo energetico pro capite (che oggi è 3,5 volte inferiore rispetto a quello dei paesi del Nord) aumenterà 4 volte più rapidamente; quindi c’è un enorme spazio per le rinnovabili derivanti soprattutto dal vento e dal sole, considerate fondamentali non solo per ridurre le emissioni climalteranti ma anche come volano di sviluppo economico per i paesi della sponda settentrionale e orientale del Mediterraneo.
In questa cornice gli impianti che servono però sono soprattutto quelli destinati a soddisfare la domanda nazionale e diffusa di energia; quindi, anziché impianti di grande taglia e concentrati in poche aree, quello che serve è una generazione distribuita, basata su piccoli e piccolissimi impianti di rinnovabili che potranno – oltre all’energia- distribuire anche reddito e benessere economico.
di Lucia Venturi
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