Secondo un accreditato luogo comune, la diffusione degli anticoncezionali sarebbe il rimedio più semplice ed efficace contro la piaga dell’aborto. I dati, però, smentiscono questa credenza, dimostrando come la “mentalità contraccettiva” in realtà alimenti la cultura dell’aborto. Giovanni Paolo II ne aveva colto e spiegato le ragioni nella sua enciclica “Evangelium Vitae” già nel 1995…
di Bartolo Salone
Se in ambito cattolico è molto diffusa la consapevolezza del disvalore morale dell’aborto, bisogna prendere atto che non si registra analoga uniformità di vedute circa l’uso dei contraccettivi. Qui il “sensus fidei” del popolo credente sembra essere diviso e non corrispondere più, in molti casi, all’insegnamento ufficiale della Chiesa. Le complesse questioni poste sul tappeto dalla società moderna in materia di sessualità, procreazione e regolazione delle nascite non potevano rimanere senza risposta, e il Magistero si è di conseguenza impegnato, soprattutto nell’ultimo secolo, in un’opera di approfondimento delle problematiche legate alla sessualità umana, in modo da esporre con più matura consapevolezza la dottrina cristiana agli uomini del nostro tempo. Un passaggio cruciale di questo percorso è rappresentato senza dubbio dall’Enciclica “Humanae Vitae” (1968), con cui il Sommo Pontefice Paolo VI, nel riaffermare l’inscindibile connessione tra i due significati (unitivo e procreativo) dell’atto coniugale, ha negato la bontà morale di “ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione”. Con il che anche la contraccezione, quale mezzo di regolazione delle nascite, viene ripudiata dal Magistero ecclesiale, al pari dell’aborto diretto e della sterilizzazione (volontaria o forzata) dell’uomo o della donna.
Al contempo, nell’ottica della valorizzazione del principio della procreazione responsabile, vengono raccomandati – purché ricorrano “seri motivi” derivanti dalle condizioni fisiche o psicologiche dei coniugi o da circostanze esteriori – i metodi naturali di regolazione delle nascite, mediante il ricorso, da parte dei coniugi, ai periodi “infecondi”. Tali metodi, infatti, a differenza della contraccezione, non snaturano il significato oggettivo dell’atto coniugale, limitandosi ad assecondare i ritmi naturali immanenti alle funzioni generative.
I principi affermati dalla “Humanae Vitae”, così in controtendenza rispetto al corso della cultura moderna, nonostante le prime difficoltà di recepimento anche in ambito ecclesiale, sono stati ribaditi in più occasioni da papa Wojtyla, non da ultimo nella famosa Enciclica “Evangelium Vitae”. Potrebbe apparire strano che il tema della contraccezione sia collocato all’interno di una enciclica che si occupa delle offese alla vita umana e sia posto in relazione con l’aborto diretto. Non si tratta, invero, di mettere sullo stesso piano, quanto a disvalore, aborto e contraccezione, dovendo essere chiaro – precisa il Papa – che il primo è un delitto contro la vita, mentre la seconda si oppone alla virtù della castità matrimoniale. Piuttosto, si tratta di cogliere l’intima relazione che esiste tra la ‘mentalità contraccettiva’ e la ‘cultura abortista’. Non si può infatti negare che entrambe affondino le loro radici “in una mentalità edonistica e deresponsabilizzante nei confronti della sessualità e suppongono un concetto egoistico di libertà che vede nella procreazione un ostacolo al dispiegarsi della propria personalità”. Questa intima relazione tra contraccezione e aborto emerge in tutta la sua evidenza e drammaticità – continua l’Enciclica – nella “messa a punto di preparati chimici che, distribuiti con la stessa facilità dei contraccettivi, agiscono in realtà come abortivi nei primissimi stadi di sviluppo della vita del nuovo essere umano” (si pensi, ad esempio, alle problematiche poste dalla cosiddetta ‘pillola del giorno dopo’ o ‘dei cinque giorni dopo’, che potrebbero anche funzionare come abortivi, qualora vi sia stata fecondazione a seguito del rapporto, impedendo l’annidamento nell’utero dell’ovulo fecondato).
La Chiesa cattolica – si rileva ancora – viene sovente accusata di favorire nei fatti l’aborto, a motivo della sua ostinata opposizione alla contraccezione. Quest’accusa, a ben vedere, si rivela però “speciosa”, poiché non tiene conto della connessione, sul piano sia ideologico che sociologico, tra i due fenomeni. Sia l’aborto che la contraccezione, infatti, come appena visto, hanno una radice culturale comune. Non a caso, osserva giustamente il Papa, “la cultura abortista è particolarmente sviluppata proprio in ambienti che rifiutano l’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione”. A quest’ultimo riguardo va aggiunto che sono sempre più numerosi gli studi che dimostrano come i Paesi in cui più si è investito in politiche pubbliche mirate alla diffusione a livello sociale dei metodi contraccettivi sono proprio quelli in cui è più alto il tasso di abortività; anzi, il successo di tali politiche si è accompagnato quasi sempre non ad una riduzione, ma al contrario ad un aumento percentuale del numero degli aborti (per approfondimenti sul tema vedi l’ampio dossier a cura dell’Uccr). Del fenomeno si è cercato di dare delle spiegazioni “razionalizzanti”, poiché esso mette in crisi uno dei “dogmi” più accreditati presso il mondo laico: l’idea, cioè, che tanto le gravidanze indesiderate quanto il contagio da Hiv si combattano attraverso la diffusione massiccia e l’uso regolare dei contraccettivi. Così, ad esempio, si è ipotizzato un non corretto utilizzo delle pratiche contraccettive per spiegare il dato allarmante per cui nel 2011, in Spagna, circa il 43% delle 119mila donne che hanno abortito utilizzavano già in precedenza dei metodi contraccettivi. Ma la spiegazione, come evidenziato da altri, non convince proprio per l’elevata percentuale riscontrata (è fuori dalla realtà pensare che quasi una donna su due tra quelle che hanno poi abortito abbia “errato” nell’uso della tecnica anticoncezionale). Si è proposta così, come alternativa di spiegazione, la teoria dell’“aumento del rischio”: in quest’ottica, il beneficio derivante dall’utilizzo di metodiche dirette a ridurre il rischio (nella specie, quello della gravidanza o di Hiv) finisce con l’essere compensato dal maggior rischio cui il soggetto volontariamente si espone, proprio a motivo della eccessiva fiducia riposta sulla tecnica utilizzata.
Siffatte spiegazioni, tuttavia, mettono in ombra l’aspetto essenziale dell’intera questione, che rimane quello culturale, a cui non a caso il Magistero ecclesiale dedica da sempre la più ampia attenzione. La banalizzazione della sessualità umana, cui lo sviluppo della contraccezione inevitabilmente conduce, non può non indurre a maggiore disinvoltura nell’accostarsi alle pratiche abortive. Infatti, se la vita che potrebbe scaturire dall’incontro sessuale diventa il nemico da evitare assolutamente, l’aborto resta “l’unica risposta risolutiva di fronte ad una contraccezione fallita”. Il solo modo per prevenire la tentazione dell’aborto consiste allora nel riscoprire una visione “alta” della sessualità quale dono di sé nell’amore, come ci viene insegnata dalle Scritture e dalla Tradizione della Chiesa. Solo “un amore vero – ci ricorda Giovanni Paolo II – sa custodire la vita”. In questa affermazione si compendia, in fondo, tutto il Vangelo della Vita!
di Bartolo Salone
Se in ambito cattolico è molto diffusa la consapevolezza del disvalore morale dell’aborto, bisogna prendere atto che non si registra analoga uniformità di vedute circa l’uso dei contraccettivi. Qui il “sensus fidei” del popolo credente sembra essere diviso e non corrispondere più, in molti casi, all’insegnamento ufficiale della Chiesa. Le complesse questioni poste sul tappeto dalla società moderna in materia di sessualità, procreazione e regolazione delle nascite non potevano rimanere senza risposta, e il Magistero si è di conseguenza impegnato, soprattutto nell’ultimo secolo, in un’opera di approfondimento delle problematiche legate alla sessualità umana, in modo da esporre con più matura consapevolezza la dottrina cristiana agli uomini del nostro tempo. Un passaggio cruciale di questo percorso è rappresentato senza dubbio dall’Enciclica “Humanae Vitae” (1968), con cui il Sommo Pontefice Paolo VI, nel riaffermare l’inscindibile connessione tra i due significati (unitivo e procreativo) dell’atto coniugale, ha negato la bontà morale di “ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione”. Con il che anche la contraccezione, quale mezzo di regolazione delle nascite, viene ripudiata dal Magistero ecclesiale, al pari dell’aborto diretto e della sterilizzazione (volontaria o forzata) dell’uomo o della donna.
Al contempo, nell’ottica della valorizzazione del principio della procreazione responsabile, vengono raccomandati – purché ricorrano “seri motivi” derivanti dalle condizioni fisiche o psicologiche dei coniugi o da circostanze esteriori – i metodi naturali di regolazione delle nascite, mediante il ricorso, da parte dei coniugi, ai periodi “infecondi”. Tali metodi, infatti, a differenza della contraccezione, non snaturano il significato oggettivo dell’atto coniugale, limitandosi ad assecondare i ritmi naturali immanenti alle funzioni generative.
I principi affermati dalla “Humanae Vitae”, così in controtendenza rispetto al corso della cultura moderna, nonostante le prime difficoltà di recepimento anche in ambito ecclesiale, sono stati ribaditi in più occasioni da papa Wojtyla, non da ultimo nella famosa Enciclica “Evangelium Vitae”. Potrebbe apparire strano che il tema della contraccezione sia collocato all’interno di una enciclica che si occupa delle offese alla vita umana e sia posto in relazione con l’aborto diretto. Non si tratta, invero, di mettere sullo stesso piano, quanto a disvalore, aborto e contraccezione, dovendo essere chiaro – precisa il Papa – che il primo è un delitto contro la vita, mentre la seconda si oppone alla virtù della castità matrimoniale. Piuttosto, si tratta di cogliere l’intima relazione che esiste tra la ‘mentalità contraccettiva’ e la ‘cultura abortista’. Non si può infatti negare che entrambe affondino le loro radici “in una mentalità edonistica e deresponsabilizzante nei confronti della sessualità e suppongono un concetto egoistico di libertà che vede nella procreazione un ostacolo al dispiegarsi della propria personalità”. Questa intima relazione tra contraccezione e aborto emerge in tutta la sua evidenza e drammaticità – continua l’Enciclica – nella “messa a punto di preparati chimici che, distribuiti con la stessa facilità dei contraccettivi, agiscono in realtà come abortivi nei primissimi stadi di sviluppo della vita del nuovo essere umano” (si pensi, ad esempio, alle problematiche poste dalla cosiddetta ‘pillola del giorno dopo’ o ‘dei cinque giorni dopo’, che potrebbero anche funzionare come abortivi, qualora vi sia stata fecondazione a seguito del rapporto, impedendo l’annidamento nell’utero dell’ovulo fecondato).
La Chiesa cattolica – si rileva ancora – viene sovente accusata di favorire nei fatti l’aborto, a motivo della sua ostinata opposizione alla contraccezione. Quest’accusa, a ben vedere, si rivela però “speciosa”, poiché non tiene conto della connessione, sul piano sia ideologico che sociologico, tra i due fenomeni. Sia l’aborto che la contraccezione, infatti, come appena visto, hanno una radice culturale comune. Non a caso, osserva giustamente il Papa, “la cultura abortista è particolarmente sviluppata proprio in ambienti che rifiutano l’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione”. A quest’ultimo riguardo va aggiunto che sono sempre più numerosi gli studi che dimostrano come i Paesi in cui più si è investito in politiche pubbliche mirate alla diffusione a livello sociale dei metodi contraccettivi sono proprio quelli in cui è più alto il tasso di abortività; anzi, il successo di tali politiche si è accompagnato quasi sempre non ad una riduzione, ma al contrario ad un aumento percentuale del numero degli aborti (per approfondimenti sul tema vedi l’ampio dossier a cura dell’Uccr). Del fenomeno si è cercato di dare delle spiegazioni “razionalizzanti”, poiché esso mette in crisi uno dei “dogmi” più accreditati presso il mondo laico: l’idea, cioè, che tanto le gravidanze indesiderate quanto il contagio da Hiv si combattano attraverso la diffusione massiccia e l’uso regolare dei contraccettivi. Così, ad esempio, si è ipotizzato un non corretto utilizzo delle pratiche contraccettive per spiegare il dato allarmante per cui nel 2011, in Spagna, circa il 43% delle 119mila donne che hanno abortito utilizzavano già in precedenza dei metodi contraccettivi. Ma la spiegazione, come evidenziato da altri, non convince proprio per l’elevata percentuale riscontrata (è fuori dalla realtà pensare che quasi una donna su due tra quelle che hanno poi abortito abbia “errato” nell’uso della tecnica anticoncezionale). Si è proposta così, come alternativa di spiegazione, la teoria dell’“aumento del rischio”: in quest’ottica, il beneficio derivante dall’utilizzo di metodiche dirette a ridurre il rischio (nella specie, quello della gravidanza o di Hiv) finisce con l’essere compensato dal maggior rischio cui il soggetto volontariamente si espone, proprio a motivo della eccessiva fiducia riposta sulla tecnica utilizzata.
Siffatte spiegazioni, tuttavia, mettono in ombra l’aspetto essenziale dell’intera questione, che rimane quello culturale, a cui non a caso il Magistero ecclesiale dedica da sempre la più ampia attenzione. La banalizzazione della sessualità umana, cui lo sviluppo della contraccezione inevitabilmente conduce, non può non indurre a maggiore disinvoltura nell’accostarsi alle pratiche abortive. Infatti, se la vita che potrebbe scaturire dall’incontro sessuale diventa il nemico da evitare assolutamente, l’aborto resta “l’unica risposta risolutiva di fronte ad una contraccezione fallita”. Il solo modo per prevenire la tentazione dell’aborto consiste allora nel riscoprire una visione “alta” della sessualità quale dono di sé nell’amore, come ci viene insegnata dalle Scritture e dalla Tradizione della Chiesa. Solo “un amore vero – ci ricorda Giovanni Paolo II – sa custodire la vita”. In questa affermazione si compendia, in fondo, tutto il Vangelo della Vita!
Tweet |
È presente 1 commento
"Meglio prevenire che curare" dice un proverbio. Non mi allineo con la linea dura che la Chiesa Cattolica ha assunto e continua ad assumere nei confronti delle forme di contraccezione. I paesi più poveri, nei quali le famiglie hanno spesso molti figli, hanno bisogno di un metodo per regolare le nascite (non possono economicamente sostenere tutta la famiglia, e molti MUOIONO di fame). SI HA BISOGNO di un metodo per evitare il contagio di malattie sessualmente trasmissibili, anche tra i nostri giovani che si apprestano presto alla sessualità. Se solo si capisse che il sesso non appartiene alla sfera della regolazione di qualsivoglia religione forse non verrebbero massacrati gli omosessuali in molti paesi, forse sì che allora si salverebbero molte vite umane (penso all'adulterio che in alcuni paesi viene punito con la morte).
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.