I genetisti italiani esprimono soddisfazione dopo il "no" ai brevetti del Dna umano, deciso dalla Corte suprema degli Stati Uniti.
Secondo la sentenza, è possibile brevettare materiale genetico prodotto sinteticamente, mentre non è possibile farlo con i geni estratti dal corpo umano isolando il Dna. Alessandro Guarasci ha chiesto un commento a don Roberto Colombo, docente della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Cattolica di Milano: ascolta
R. – La persona umana trascende il suo genoma e non è riducibile ad esso. Nessun organo, tessuto o cellula del nostro corpo può diventare oggetto di un brevetto, né può venire sfruttata commercialmente. La sentenza è un passo molto importante, di grandissimo valore etico e giuridico per la tutela dei diritti umani di fronte a talune pretese di esclusività delle aziende ed anche degli istituti di ricerca applicata alla bio-medicina, su alcune parti del patrimonio genetico di ciascun uomo e di tutta l’umanità. Con questa sentenza, non viene compromessa la possibilità di sviluppare nuovi test genetici che possono aiutare la diagnosi e suggerire terapie più promettenti per i pazienti affetti da alcune malattie, ma si intende solo sottolineare che queste prospettive diagnostiche e terapeutiche non passano attraverso la strada di una brevettabilità delle sequenze del genoma umano.
D. – Questo, secondo lei, apre comunque anche nuove possibilità di cura?
R. – Non si tratta di un passaggio immediato, né facile, né breve, dalla diagnosi alla terapia genetica. Di certo, la conoscenza dei difetti genetici può suggerire alcune strade per un eventuale intervento terapeutico.
D. – Secondo lei, perché questo verdetto della Corte suprema degli Stati Uniti poi potrà avere effetti anche a livello internazionale? Perché guardare in modo particolare agli Stati Uniti?
R. – Perché è proprio negli Stati Uniti che l’industria ha sviluppato un numero enorme di domande di brevetti – che già a partire dagli anni Duemila superavano i tre milioni di domande presentate – e proprio perché gli investimenti compiuti negli Stati Uniti sono stati enormi che occorreva fare chiarezza a proposito di che cosa è lecito fare delle sequenze conosciute e conoscibili del Dna umano, e che cosa invece deve rimanere patrimonio pubblico, di tutti, di ciascun uomo e di tutta l’umanità.
Secondo la sentenza, è possibile brevettare materiale genetico prodotto sinteticamente, mentre non è possibile farlo con i geni estratti dal corpo umano isolando il Dna. Alessandro Guarasci ha chiesto un commento a don Roberto Colombo, docente della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Cattolica di Milano: ascolta
R. – La persona umana trascende il suo genoma e non è riducibile ad esso. Nessun organo, tessuto o cellula del nostro corpo può diventare oggetto di un brevetto, né può venire sfruttata commercialmente. La sentenza è un passo molto importante, di grandissimo valore etico e giuridico per la tutela dei diritti umani di fronte a talune pretese di esclusività delle aziende ed anche degli istituti di ricerca applicata alla bio-medicina, su alcune parti del patrimonio genetico di ciascun uomo e di tutta l’umanità. Con questa sentenza, non viene compromessa la possibilità di sviluppare nuovi test genetici che possono aiutare la diagnosi e suggerire terapie più promettenti per i pazienti affetti da alcune malattie, ma si intende solo sottolineare che queste prospettive diagnostiche e terapeutiche non passano attraverso la strada di una brevettabilità delle sequenze del genoma umano.
D. – Questo, secondo lei, apre comunque anche nuove possibilità di cura?
R. – Non si tratta di un passaggio immediato, né facile, né breve, dalla diagnosi alla terapia genetica. Di certo, la conoscenza dei difetti genetici può suggerire alcune strade per un eventuale intervento terapeutico.
D. – Secondo lei, perché questo verdetto della Corte suprema degli Stati Uniti poi potrà avere effetti anche a livello internazionale? Perché guardare in modo particolare agli Stati Uniti?
R. – Perché è proprio negli Stati Uniti che l’industria ha sviluppato un numero enorme di domande di brevetti – che già a partire dagli anni Duemila superavano i tre milioni di domande presentate – e proprio perché gli investimenti compiuti negli Stati Uniti sono stati enormi che occorreva fare chiarezza a proposito di che cosa è lecito fare delle sequenze conosciute e conoscibili del Dna umano, e che cosa invece deve rimanere patrimonio pubblico, di tutti, di ciascun uomo e di tutta l’umanità.
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