Giuseppe Uva: a cinque anni dalla sua morte, per Amnesty International Italia "verità e giustizia ancora lontane"
Il 14 giugno 2013 saranno trascorsi cinque anni dalla morte di Giuseppe Uva, un uomo di 43 anni fermato alle 3 del mattino del 14 giugno 2008 a Varese.
Amnesty - Insieme a un amico, Alberto Biggiogero, Giuseppe Uva venne portato in una caserma dei Carabinieri, da cui partì una richiesta di trattamento sanitario obbligatorio (Tso) a seguito della quale venne trasportato al pronto soccorso alle prime luci dell'alba. Successivamente, fu trasferito al reparto psichiatrico dell'ospedale di Varese, dove trascorse le ultime ore prima della morte, avvenuta nella mattinata.
A cinque anni dalla morte di Giuseppe Uva, Amnesty International Italia rileva quanto l'accertamento della verità sia ancora lontano.
Sulla morte di Giuseppe Uva sono stati aperti due procedimenti nei confronti del personale medico delle strutture presso le quali l'uomo venne trasferito, chiusi in primo grado con l'assoluzione degli imputati. Sull'intera vicenda rischia di cadere la prescrizione, in data 16 giugno 2014.
Il giudice di I grado ha rilevato la lacunosità dell'ipotesi accusatoria formulata dal pubblico ministero verso il personale medico, notando che essa poggiava "su basi talmente fragili da rendere francamente impossibile un qualsivoglia fondato giudizio sul merito dell'accusa (...)", lasciando invece "oscure le ragioni per le quali un soggetto di soli 43 anni (...) potesse essere giunto a morte a poche ore di distanza dal 'trattenimento' operato nei suoi confronti dalle forze dell'ordine".
Di fronte al mancato approfondimento, in fase di indagine, di quanto accaduto nel periodo trascorso tra l'intervento dei Carabinieri e l'ingresso di Giuseppe Uva al pronto soccorso, Amnesty International Italia esprime preoccupazione che le indagini portate avanti finora non siano conformi agli obblighi di efficacia, indipendenza, tempestività e completezza che gli standard internazionali impongono agli stati, a fronte del decesso di una persona che si è trovata nelle mani delle forze di polizia.
Al contempo, l'organizzazione per i diritti umani rileva la costante stigmatizzazione nei confronti dei familiari di Giuseppe Uva, la cui sorella Lucia è stata querelata per diffamazione e risulta per questo indagata dalla stessa procura che ha la titolarità delle indagini sula morte di suo fratello.
Le vicende processuali del caso di Giuseppe Uva costituiscono per Amnesty International Italia un ulteriore segnale che è urgente, necessario e non più differibile che il paese si doti di strumenti adeguati a prevenire morti in custodia, maltrattamenti e tortura da parte delle forze di polizia e ad investigarli in maniera efficace: tra questi, il reato di tortura e un meccanismo di prevenzione indipendente come richiesto dai trattati internazionali a cui l'Italia ha aderito e, in particolare, dal Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti, ratificato dall'Italia nel 2013, come richiesto per anni da Amnesty International nei suoi appelli alle istituzioni italiane.
Le richieste dei provvedimenti legislativi e delle misure necessarie a prevenire l'impunità delle forze di polizia fanno parte dell'Agenda in 10 punti che Amnesty International ha sottoposto in vista delle ultime elezioni politiche a tutti i candidati e ai leader delle forze politiche in lizza, lanciando la campagna "Ricordati che devi rispondere".
L'Agenda è stata sottoscritta da 440 candidati, di cui 117 sono stati poi eletti al parlamento.
Amnesty International Italia chiede il rispetto degli impegni presi da parte dei singoli parlamentari, nonché di tutti i leader che compongono il governo cosiddetto di larghe intese (Pd, Pdl, Scelta Civica, Partito radicale) in merito ai 10 punti della sua Agenda. L'organizzazione per i diritti umani sottolinea, in particolare, che tutti i leader delle forze politiche e dei partiti rappresentati nel governo si sono impegnati per l'introduzione di misure che garantiscano la trasparenza dell'operato delle forze di polizia e per l'introduzione del reato di tortura (punto 1 dell'Agenda) e si aspetta dunque che questo impegno sia mantenuto.
Sulla morte di Giuseppe Uva sono stati aperti due procedimenti nei confronti del personale medico delle strutture presso le quali l'uomo venne trasferito, chiusi in primo grado con l'assoluzione degli imputati. Sull'intera vicenda rischia di cadere la prescrizione, in data 16 giugno 2014.
Il giudice di I grado ha rilevato la lacunosità dell'ipotesi accusatoria formulata dal pubblico ministero verso il personale medico, notando che essa poggiava "su basi talmente fragili da rendere francamente impossibile un qualsivoglia fondato giudizio sul merito dell'accusa (...)", lasciando invece "oscure le ragioni per le quali un soggetto di soli 43 anni (...) potesse essere giunto a morte a poche ore di distanza dal 'trattenimento' operato nei suoi confronti dalle forze dell'ordine".
Di fronte al mancato approfondimento, in fase di indagine, di quanto accaduto nel periodo trascorso tra l'intervento dei Carabinieri e l'ingresso di Giuseppe Uva al pronto soccorso, Amnesty International Italia esprime preoccupazione che le indagini portate avanti finora non siano conformi agli obblighi di efficacia, indipendenza, tempestività e completezza che gli standard internazionali impongono agli stati, a fronte del decesso di una persona che si è trovata nelle mani delle forze di polizia.
Al contempo, l'organizzazione per i diritti umani rileva la costante stigmatizzazione nei confronti dei familiari di Giuseppe Uva, la cui sorella Lucia è stata querelata per diffamazione e risulta per questo indagata dalla stessa procura che ha la titolarità delle indagini sula morte di suo fratello.
Le vicende processuali del caso di Giuseppe Uva costituiscono per Amnesty International Italia un ulteriore segnale che è urgente, necessario e non più differibile che il paese si doti di strumenti adeguati a prevenire morti in custodia, maltrattamenti e tortura da parte delle forze di polizia e ad investigarli in maniera efficace: tra questi, il reato di tortura e un meccanismo di prevenzione indipendente come richiesto dai trattati internazionali a cui l'Italia ha aderito e, in particolare, dal Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti, ratificato dall'Italia nel 2013, come richiesto per anni da Amnesty International nei suoi appelli alle istituzioni italiane.
Le richieste dei provvedimenti legislativi e delle misure necessarie a prevenire l'impunità delle forze di polizia fanno parte dell'Agenda in 10 punti che Amnesty International ha sottoposto in vista delle ultime elezioni politiche a tutti i candidati e ai leader delle forze politiche in lizza, lanciando la campagna "Ricordati che devi rispondere".
L'Agenda è stata sottoscritta da 440 candidati, di cui 117 sono stati poi eletti al parlamento.
Amnesty International Italia chiede il rispetto degli impegni presi da parte dei singoli parlamentari, nonché di tutti i leader che compongono il governo cosiddetto di larghe intese (Pd, Pdl, Scelta Civica, Partito radicale) in merito ai 10 punti della sua Agenda. L'organizzazione per i diritti umani sottolinea, in particolare, che tutti i leader delle forze politiche e dei partiti rappresentati nel governo si sono impegnati per l'introduzione di misure che garantiscano la trasparenza dell'operato delle forze di polizia e per l'introduzione del reato di tortura (punto 1 dell'Agenda) e si aspetta dunque che questo impegno sia mantenuto.
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