Dopo 4 anni dalla morte del giovane di Roma, ieri è arrivata una sentenza che condanna i medici per omicidio colposo e assolve gli ufficiali giudiziari. Ma cerchiamo di far chiarezza in una storia che è tutto fuorché limpida.
di Ilaria Sulla
Stefano Cucchi è un ragazzo giovane e appassionato di sport. Nel 2009 ha poco più di trent’anni e fa boxe, ma la sola passione per l’attività fisica non basta a riempire la sua vita: Cucchi si droga da qualche anno, tenta di disintossicarsi nelle comunità terapeutiche, ma non è così semplice. Pesa poco, pochissimo (43 chilogrammi) e soffre di attacchi di epilessia. Il 15 ottobre dello stesso anno viene portato in carcere e si decide per la custodia cautelare. Il giovane è stato trovato in possesso di hashish, cocaina ed antiepilettici. Per il processo non si aspetta molto: il giorno dopo viene processato per direttissima e si decide di attendere una settimana per un’altra udienza, date le precarie condizioni del ragazzo che ha addirittura difficoltà a camminare e che in quell’occasione non denuncia a nessuno di aver subito delle percosse durante l'arresto.
Invece di migliorare, le condizioni di Cucchi si aggravano in poco tempo. E’ necessario il ricovero ma lo rifiuta, così viene riportato a in carcere e pochi giorni dopo muore nell’ospedale Sandro Pertini di Roma, con un peso corporeo che non supera i 37 chili.
Le cause della morte restano tutt’ora sconosciute: il ragazzo è morto per la debolezza, per le conseguenze che derivano dalla dipendenza da droga o perché qualcuno l’ha ucciso? Gli indagati sono i medici (che non gli avrebbero prestato il necessario soccorso) e gli ufficiali giudiziari (che gli avrebbero usato violenza). Le vittime, oltre a Cucchi, sono i suoi familiari, che hanno notizie del ragazzo solo quando ricevono la richiesta di autopsia e dopo che viene negata loro la possibilità di conoscere le sue reali condizioni di salute.
Carlo Giovanardi, allora segretario di Stato, dichiara in occasione delle indagini che le responsabilità della morte del ragazzo sono da imputare alla tossicodipendenza da cui era affetto, e ne dichiara la sieropositività. Ma la notizia è falsa, Cucchi non era sieropositivo e Giovanardi è costretto a scusarsi con la famiglia, che resta convinta del fatto che qualcuno abbia usato violenza nei confronti del giovane, e per provarlo rende pubbliche le foto scattate all’obitorio del corpo di Cucchi martoriato da percosse.
Pian piano si fanno avanti i testimoni: i detenuti Marco Fabrizi e Annamaria Costanzo e un altro testimone ghanese dichiarano che Cucchi è stato picchiato, perché è stato proprio lui a rivelarlo nei giorni precedenti la sua morte. Le indagini preliminari danno ragione alla versione che vuole Stefano ucciso anche a causa delle percosse.
Il 5 giugno 2013 si arriva alla sentenza di primo grado per sei medici dell’ospedale Pertini (condannati a 2 anni per omicidio colposo). Le guardie giudiziarie vengono assolte, con sdegno di familiari e amici della vittima che, una volta pronunciata la sentenza, inveiscono nei confronti dei giudici e della solita “giustizia ingiusta”.
di Ilaria Sulla
Stefano Cucchi è un ragazzo giovane e appassionato di sport. Nel 2009 ha poco più di trent’anni e fa boxe, ma la sola passione per l’attività fisica non basta a riempire la sua vita: Cucchi si droga da qualche anno, tenta di disintossicarsi nelle comunità terapeutiche, ma non è così semplice. Pesa poco, pochissimo (43 chilogrammi) e soffre di attacchi di epilessia. Il 15 ottobre dello stesso anno viene portato in carcere e si decide per la custodia cautelare. Il giovane è stato trovato in possesso di hashish, cocaina ed antiepilettici. Per il processo non si aspetta molto: il giorno dopo viene processato per direttissima e si decide di attendere una settimana per un’altra udienza, date le precarie condizioni del ragazzo che ha addirittura difficoltà a camminare e che in quell’occasione non denuncia a nessuno di aver subito delle percosse durante l'arresto.
Invece di migliorare, le condizioni di Cucchi si aggravano in poco tempo. E’ necessario il ricovero ma lo rifiuta, così viene riportato a in carcere e pochi giorni dopo muore nell’ospedale Sandro Pertini di Roma, con un peso corporeo che non supera i 37 chili.
Le cause della morte restano tutt’ora sconosciute: il ragazzo è morto per la debolezza, per le conseguenze che derivano dalla dipendenza da droga o perché qualcuno l’ha ucciso? Gli indagati sono i medici (che non gli avrebbero prestato il necessario soccorso) e gli ufficiali giudiziari (che gli avrebbero usato violenza). Le vittime, oltre a Cucchi, sono i suoi familiari, che hanno notizie del ragazzo solo quando ricevono la richiesta di autopsia e dopo che viene negata loro la possibilità di conoscere le sue reali condizioni di salute.
Carlo Giovanardi, allora segretario di Stato, dichiara in occasione delle indagini che le responsabilità della morte del ragazzo sono da imputare alla tossicodipendenza da cui era affetto, e ne dichiara la sieropositività. Ma la notizia è falsa, Cucchi non era sieropositivo e Giovanardi è costretto a scusarsi con la famiglia, che resta convinta del fatto che qualcuno abbia usato violenza nei confronti del giovane, e per provarlo rende pubbliche le foto scattate all’obitorio del corpo di Cucchi martoriato da percosse.
Pian piano si fanno avanti i testimoni: i detenuti Marco Fabrizi e Annamaria Costanzo e un altro testimone ghanese dichiarano che Cucchi è stato picchiato, perché è stato proprio lui a rivelarlo nei giorni precedenti la sua morte. Le indagini preliminari danno ragione alla versione che vuole Stefano ucciso anche a causa delle percosse.
Il 5 giugno 2013 si arriva alla sentenza di primo grado per sei medici dell’ospedale Pertini (condannati a 2 anni per omicidio colposo). Le guardie giudiziarie vengono assolte, con sdegno di familiari e amici della vittima che, una volta pronunciata la sentenza, inveiscono nei confronti dei giudici e della solita “giustizia ingiusta”.
Tweet |
Sono presenti 2 commenti
Il/la gentile giornalista che ha scritto quest'articolo confonde gli ufficiali giudiziari con gli agenti di polizia penitenziaria: si tratta di professionalità completamente differenti per compito, preparazione e qualifica. Qui gli ufficiali giudiziari non c'entrano assolutamente nulla... E non si vede come potrebbero, posto che si tratta di funzionari che si occupano di diritto civile.
Non entro nel merito del dramma di questo povero ragazzo, e non giudico di fatti che non conosco. Prego solo di avere cura di meglio documentarsi prima di impugnare una penna.
Grazie
Paolo
Si tratta non di un errore di documentazione, ma di una semplice imprecisione terminologica, che può essere corretta senza troppe polemiche. Solo chi è perito di diritto processuale può aver chiara la distinzione tra ufficiale giudiziario (che si occupa prevalentemente di notifiche, anche nel procedimento penale, ma non di esecuzione di provvedimenti coercitivi o di custodia)e agenti e/o ufficiali di polizia giudiziaria (nella specie agenti di polizia penitenziaria). Possiamo dunque perdonare l'errore alla giovane autrice.
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.