La Chiesa apra le sue porte, perché chiunque si possa sentire amato e perdonato, e anche i lontani accolti con amore e rispetto.
Radio Vaticana - È il messaggio che Papa Francesco ha lanciato all’udienza generale di questa mattina, durante la quale ha spiegato la definizione data dal Concilio della Chiesa come “Popolo di Dio”. Il Papa ha instaurato con gli oltre 70 mila presenti in Piazza S. Pietro un vero e proprio dialogo, salutato da numerosi applausi. La cronaca nel servizio di Alessandro De Carolis: ascolta
Non un gruppo selezionato e impermeabile, ma un “Popolo di Dio” con le porte aperte sul mondo, che per legge ha quella dell’amore cristiano, che accoglie, rispetta, perdona, incoraggia. Questo intendevano i Padri conciliari quando affermarono che la Chiesa è “Popolo di Dio”. Papa Francesco lo ha ribadito con la “plasticità” tipica delle sue catechesi, coinvolgenti e dirette, che non si accontentano di un ascolto distratto ma sollecitano un’adesione reale. Anzitutto, ha esordito, essere “Popolo di Dio”...
“...vuol dire che Dio non appartiene in modo proprio ad alcun popolo; perché è Lui che ci chiama, ci convoca, ci invita a fare parte del suo popolo, e questo invito è rivolto a tutti, senza distinzione, perché la misericordia di Dio ‘vuole la salvezza per tutti’ (…) Gesù non dice agli Apostoli e a noi di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di elite. (…) Vorrei dire anche a chi si sente lontano da Dio e dalla Chiesa, a chi è timoroso o indifferente, a chi pensa di non poter più cambiare: il Signore chiama anche te a far parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore”.
Amore è la parola chiave, “amore a Dio e amore al prossimo”. Che “non è – chiarisce Papa Francesco – sterile sentimentalismo o qualcosa di vago”. È “riconoscere Dio come unico Signore della vita e, allo stesso tempo, l’accogliere l’altro come vero fratello, superando divisioni, rivalità, incomprensioni, egoismi”:
“Quando noi guardiamo sui giornali o sulla televisione, tante guerre fra cristiani, ma come può capitare questo? Dentro il popolo di Dio, quante guerre! Nei quartieri, nei posti di lavoro, quante guerre per invidia, gelosie! Anche nella stessa famiglia, quante guerre interne! Noi dobbiamo chiedere al Signore che ci faccia capire bene questa legge dell’amore. Quanto è bello amarci gli uni con gli altri come fratelli veri! Quanto è bello!”.
A Papa Francesco non basta però limitarsi a constatare la bellezza del messaggio cristiano. Chiede un passo in più, un impegno che il Pastore propone con un sorriso e il gregge fa suo con entusiasmo:
“Facciamo una cosa oggi. Forse tutti abbiamo simpatie e non simpatie; forse tanti di noi sono un po’ arrabbiati con qualcuno; allora diciamo al Signore: Signore, io sono arrabbiato con questo e con questa; io ti prego per lui e per lei. Pregare per coloro con i quali siamo arrabbiati è un bel passo in questa legge dell’amore. Lo facciamo? Facciamolo oggi!”.
La legge dell’amore non deve regolare solo la vita del singolo cristiano, ma va annunciata. Chi segue Cristo, ricorda il Papa, è sale e lievito nel mondo, è luce. Come quella sfolgorante – osserva Papa Francesco tra nuovi applausi – che può illuminare lo Stadio Olimpico a Roma, o quello del San Lorenzo a Buenos Aires, quando in 70 mila accendono ciascuno la propria. Luce, ribadisce ancora, che sa illuminare anche “una realtà buia” e “segnata dal male”:
“La presenza del male c’è, il Diavolo agisce. Ma vorrei dire a voce alta: Dio è più forte! Voi credete questo: che Dio è più forte? Ma lo diciamo insieme, lo diciamo insieme tutti: Dio è più forte. E sapete perché è più forte? Perché Lui è il Signore, è l’unico Signore!”.
L’auspicio finale riporta il Papa al principio, ricapitolando la catechesi con la forza e il calore di un abbraccio che tutti fa sentire partecipi e in prima linea:
“La Chiesa sia luogo della misericordia e della speranza di Dio, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato, perdonato e incoraggiato a vivere secondo la vita buona del Vangelo. E per far sentire l'altro accolto, amato, perdonato e incoraggiato la Chiesa deve essere con le porte aperte, perché tutti possano entrare. E noi dobbiamo uscire da quelle porte e annunciare il Vangelo”.
Non un gruppo selezionato e impermeabile, ma un “Popolo di Dio” con le porte aperte sul mondo, che per legge ha quella dell’amore cristiano, che accoglie, rispetta, perdona, incoraggia. Questo intendevano i Padri conciliari quando affermarono che la Chiesa è “Popolo di Dio”. Papa Francesco lo ha ribadito con la “plasticità” tipica delle sue catechesi, coinvolgenti e dirette, che non si accontentano di un ascolto distratto ma sollecitano un’adesione reale. Anzitutto, ha esordito, essere “Popolo di Dio”...
“...vuol dire che Dio non appartiene in modo proprio ad alcun popolo; perché è Lui che ci chiama, ci convoca, ci invita a fare parte del suo popolo, e questo invito è rivolto a tutti, senza distinzione, perché la misericordia di Dio ‘vuole la salvezza per tutti’ (…) Gesù non dice agli Apostoli e a noi di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di elite. (…) Vorrei dire anche a chi si sente lontano da Dio e dalla Chiesa, a chi è timoroso o indifferente, a chi pensa di non poter più cambiare: il Signore chiama anche te a far parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore”.
Amore è la parola chiave, “amore a Dio e amore al prossimo”. Che “non è – chiarisce Papa Francesco – sterile sentimentalismo o qualcosa di vago”. È “riconoscere Dio come unico Signore della vita e, allo stesso tempo, l’accogliere l’altro come vero fratello, superando divisioni, rivalità, incomprensioni, egoismi”:
“Quando noi guardiamo sui giornali o sulla televisione, tante guerre fra cristiani, ma come può capitare questo? Dentro il popolo di Dio, quante guerre! Nei quartieri, nei posti di lavoro, quante guerre per invidia, gelosie! Anche nella stessa famiglia, quante guerre interne! Noi dobbiamo chiedere al Signore che ci faccia capire bene questa legge dell’amore. Quanto è bello amarci gli uni con gli altri come fratelli veri! Quanto è bello!”.
A Papa Francesco non basta però limitarsi a constatare la bellezza del messaggio cristiano. Chiede un passo in più, un impegno che il Pastore propone con un sorriso e il gregge fa suo con entusiasmo:
“Facciamo una cosa oggi. Forse tutti abbiamo simpatie e non simpatie; forse tanti di noi sono un po’ arrabbiati con qualcuno; allora diciamo al Signore: Signore, io sono arrabbiato con questo e con questa; io ti prego per lui e per lei. Pregare per coloro con i quali siamo arrabbiati è un bel passo in questa legge dell’amore. Lo facciamo? Facciamolo oggi!”.
La legge dell’amore non deve regolare solo la vita del singolo cristiano, ma va annunciata. Chi segue Cristo, ricorda il Papa, è sale e lievito nel mondo, è luce. Come quella sfolgorante – osserva Papa Francesco tra nuovi applausi – che può illuminare lo Stadio Olimpico a Roma, o quello del San Lorenzo a Buenos Aires, quando in 70 mila accendono ciascuno la propria. Luce, ribadisce ancora, che sa illuminare anche “una realtà buia” e “segnata dal male”:
“La presenza del male c’è, il Diavolo agisce. Ma vorrei dire a voce alta: Dio è più forte! Voi credete questo: che Dio è più forte? Ma lo diciamo insieme, lo diciamo insieme tutti: Dio è più forte. E sapete perché è più forte? Perché Lui è il Signore, è l’unico Signore!”.
L’auspicio finale riporta il Papa al principio, ricapitolando la catechesi con la forza e il calore di un abbraccio che tutti fa sentire partecipi e in prima linea:
“La Chiesa sia luogo della misericordia e della speranza di Dio, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato, perdonato e incoraggiato a vivere secondo la vita buona del Vangelo. E per far sentire l'altro accolto, amato, perdonato e incoraggiato la Chiesa deve essere con le porte aperte, perché tutti possano entrare. E noi dobbiamo uscire da quelle porte e annunciare il Vangelo”.
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