martedì, giugno 11, 2013
Quale effetto possono avere i videogiochi sullo sviluppo dei bambini? Come sono cambiati e come cambiano col passare del tempo?

di Christian Orsini

I videogiochi si sono diffusi nella società a partire dalla metà degli anni '70 ed inizialmente contavano su alcuni punti luminosi che oscillavano sullo schermo in base agli input dati dalla tastiera del calcolatore. Adesso, con le console (elaboratori elettronici concepiti e studiati per eseguire prevalentemente videogiochi) di ultima generazione, i videogame sono così sviluppati da simulare fedelmente la vita reale, comprese la fisica dei corpi o le reazioni psicologiche dei personaggi antropomorfi; esistono anche videogiochi che si concludono in modo diverso in base alle scelte che l'utente fa durante il gioco. Rispondono a diverse categorie, come i Gdr (gioco di ruolo) o gli Fps (First Person Shooter), e ci sono molti generi: di avventura, di azione, di strategia, di simulazione. Intrattengono una varietà ampissima di utenti, per lo più trai 16 e i 49 anni, ed oggi nel mond ci giocano assiduamente tra i 130 e i 145 milioni di persone di tutte le età.

Ma che impatto hanno i diversi videogiochi su chi li usa, specialmente sui ragazzi nati a cavallo tra il XX e il XXI secolo? Chi ad oggi non ha più di 30 anni è considerato da molti un “utente 2.0” perché si interfaccia col mondo di internet, della tecnologia e dell'universo video-ludico praticamente da sempre; il 90% di loro ha avuto almeno una console nella sua vita. Nintendo, Sony e l'ultima nata (in questo campo) Microsoft sono le produttrici delle tre piattaforme di gioco più conosciute, rispettivamente Nintendo Wii, Playstation e Xbox. Il mercato che ruota attorno a queste aziende è enorme, schiere di programmatori realizzano continuamente videogame ed espansioni che al momento della vendita raggiungono prezzi considerevoli: 60/70 euro per un disco che, spesso, assicura soltanto dalle dieci alle venti ore di gioco e che successivamente è messo da parte per far posto ad un nuovo acquisto. La pirateria poi è molto diffusa, come del resto la compravendita dell'usato.

L'impatto che i videogame hanno sulla società e in particolar modo sui ragazzi è stato oggetto di discussione e studio negli anni passati e lo è tutt'oggi. Una grande fetta di acquisti sono fatti nel settore dei Fps, degli sparatutto e dei giochi di ruolo (scelto un proprio avatar, lo scopo del gioco sta nel farlo crescere ed evolvere attraverso la scoperta delle immense mappe messe a disposizione del giocatore); per citare qualche titolo, ecco Call Of Duty o Grand Theft Auto, molto acclamati e che si basano sulla guerra o, in qualche modo, sull'uccisione degli avversari. C'è chi sostiene che i videogame di questo tipo siano fortemente diseducativi, che anche se giocati in età adulta (come imporrebbe l'indicazione sulla scatola, che spesso, per soddisfare la brama dei figli, non viene considerata) incitino alla violenza e che rendano più insensibili alle atrocità o ai drammi. Dall'altra parte, quella dei videogiocatori, si ride di fronte a queste illazioni: non è il gioco che plasma il videogiocatore, che, a rigor di logica, dovrebbe essere una creatura pensante in grado di valutare quali sono le recinzioni dentro le quali abita il mondo della finzione.

Notizie di ragazzi rimasti chiusi in casa davanti al televisore per giornate intere fanno la loro comparsa ogni mese, articoli di bambini molto più aggressivi e impassibili alla violenza rispetto a dieci anni fa sono all'ordine del giorno. Le cause di questi cambiamenti non sono ancora state realmente trovate, per comodità in tanti le addossano ai videogiochi o alla televisione che, dalla sua, non aiuta con le proposte quotidiane di certi tipi di cartoon e di film. E' chiaro che nella prima infanzia un maggiore contatto con la natura, con il gioco all'aria aperta, con lo sport e con gli amici, anziché col monitor di un terminale, sarebbe più indicato per fornire al bambino una migliore concezione di fratellanza o di condivisione. Mentre spesso i videogiochi sono il ripiego scelto dal tutore che non ha tempo o voglia di seguire il figlio nel gioco e nel tempo di svago.

Per quanto riguarda invece lo svago dei più grandi, la responsabilità è solo loro, visto che hanno la facoltà di scelta totale sulle proprie azioni: premere “start” o uscire con gli amici. Dovrebbero disporre delle capacità di discernimento e di selezione proprie di un adulto e capire dove finisce il gioco e dove inizia il proprio “io”. Purtroppo questa attitudine al giudizio non appartiene a tutti, anzi spesso si sconfina in una serie di problemi psicologici. Alla fine dei conti il videogioco è una tipologia di svago simile alla tv dopo cena o al film al cinema, anzi è più interattiva; c'è qualcuno che la considera potenzialmente educativa se sfruttata al meglio: Gee James P. nel suo libro “Come un videogioco. Insegnare e apprendere nella scuola digitale” invita, forse in maniera provocatoria, a pensare al videogame come ad uno strumento didattico, al pari di una lezione.

La responsabilità, va detto, è anche di chi sta dalla parte opposta del “bancone di vendita”, chi i giochi li programma e li produce e decidere quali siano i contenuti adatti da inserire, cosa sconfina nel blasfemo e cosa urta il senso comune. Ne sono un esempio tutti quei titoli amatoriali che escono in concomitanza con le grandi tragedie; l'ultima creazione è stata quella di un videogioco basato sulla strage di Boston “The Boston Marathon”, nel quale il personaggio doveva evitare delle bombe fatte a pentola a pressione altrimenti sarebbe “saltato in aria”. A detta dei creatori, già “celebri” per questo tipo di produzioni e che rispondono al nome di Lolokaust, dovrebbe essere una risposta “divertente” all'incredibile quantità di informazioni fornite in occasione della strage. Agli occhi del resto del mondo, o quasi, è stata solo la conferma che alla stupidità spesso non c'è fine.

La programmazione dei grandi titoli è comunque affidata a professionisti che il loro lavoro lo sanno fare. Questo non significa però che il comune giocatore non possa cimentarsi lui stesso nella progettazione e nella realizzazione di un gioco inedito anche coi soli mezzi che ha a disposizione. L'idea è stata colta da Julie Uhrman, direttore delegato di Boxer8, che ha fondato il progetto OUYA, la nuova piattaforma open source, una console “autofinanziata” dal mondo di giocatori che hanno contribuito su Kickstarter con un offerta; il 25 giugno 2013 verrà lanciato sul mercato il supporto accessibile e modificabile da tutti, in cui chiunque può inserire un gioco programmato in casa e su cui tutti possono lavorare per garantirne la crescita.


Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa